1° maggio: la festa del lavoro porta un’unica novità “la marchetta”

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Ho incominciato a seguire l’evento suggestivamente democratico coma la “festa del Lavoro” fin da quando, nei primi anni ’50 del secolo scorso, negli anni delle scuole elementari il maestro (che era mio zio) intratteneva l’intera scolaresca sui temi planetari del mondo del lavoro spiegando con il cucchiaino, anno dopo anno con l’apporto di evidenti novità nel corso dei cinque anni, le motivazioni che avevano portato quasi tutto il mondo a festeggiare quell’evento che era datato verso la fine del 19° secolo:

  • In Italia manifestazioni per il 1° maggio vennero organizzate dal 1890al 1923. Nel 1923 il regime fascista ne proibì la celebrazione. La festività venne, infine, riconosciuta ufficialmente con un decreto legislativo del 1946, dopo la fine della seconda guerra mondiale e la definitiva sconfitta del fascismo.

Il maestro delle elementari, mio zio, ebbe la capacità di non trasformare mai nella narrazione lo scopo della festa del lavoro per trasformarla in una manifestazione antifascista (lui che da comunista convinto aveva anche combattuto in Libia con il grado di capitano dei granatieri). Ci fece capire, come capimmo, che quella festa era destinata ai lavoratori e, quindi, a tutti i lavoratori italiani di qualsiasi colore e/o ideologia politica. Nel privato, a casa, non mancò di inculcarmi tutti quei principi della sinistra e del socialismo che in gran parte, oggi, non esistono più.

Ed io, uscito da quella scuola e senza il supporto di lezioni per la festa del lavoro nelle medie e nelle superiori, sono rimasto quasi vincolato a quelle novità sulla festa che quel maestro riusciva a scovare anno dopo anno per tutti e cinque gli anni delle elementari; quella era una scuola !!

Da allora, e sono passati circa 72 anni, sono in attesa di novità sull’essenza di quella festa che si è trasformata negli anni soltanto in una sorta di inarrestabile ed ossessivo “coult dell’antifascismo” con la soppressione di qualsiasi aggancio ai valori della sinistra democratica che nulla dovrebbe avere a che fare con la maniacale contestazione del fascismo che questo punto, dopo tantissimi anni, è tra l’altro ampiamente sconosciuto ai più.

Questa ossessione, nelle celebrazioni di quest’anno, si è accentuata per ragioni legate al fatto che l’Italia è governata dal centro destra con la “ragazza della Garbatella” che, in verità, ne ha per tutti e he d tutti è difficilmente attaccabile.

Ma proprio in questi giorni, pre e post festa, una novità assoluta è uscita con la parola “marchetta” che l’operaio-segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, ha tirato fuori dal cilindro della sua enorme esperienza di fabbrica per traumatizzare chi lo ascolta sperando in qualche novità e chi, invece, lo ascolta sperando che pronuncia proprio quelle parole per rispolverare antiche e sepolte esternazioni della sinistra radicale degli anni ’60 fino al famoso, o famigerato sessantotto.

E’ vero che “la marchetta” è diventata famosa per via dei contributi versati all’INPS sull’altrettanto famosa tessera previdenziale personale (quando imperava il mondo cartaceo), ma è altrettanto vero che può significare anche un’altra cosa, molto brutta ed offensiva se consideriamo che a capo del governo c’è una donna (Giorgia Meloni) e al ministero del lavoro c’è un’altra donna (Marina Calderone), senza dimenticare  che ai vertici del più grande partito della sinistra c’è Elly Schlein che non è assolutamente da meno rispetto alle altre due.

Dagli altri due capi del sindacato italiano, PierPaolo Bombardieri (Uil) e Luigi Sbarra  (CISL), nessunissima novità di rilievo, neppure la marchetta.

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