Gambino/52: Pagani, tasse – giustizia e monnezza in una rivolta di popolo

Aldo Bianchini

PAGANI – Non me  ne vogliate ma sarebbe abbastanza facile, ed anche pleonastico, accoppiare le due parole: giustizia e monnezza. Vi devo deludere ma non è così, anche quando si parla di Pagani, del “sistema Pagani” o del processo “Linea d’ombra”; non è così perché, sebbene i due vocaboli si sposerebbero bene in un Paese che ha dimenticato di essere stato la “culla del diritto”, i due termini indicano due percorsi assolutamente diversi e necessari. La giustizia a Pagani deve fare il suo corso. La monnezza a Pagani deve seguire la sua strada. Però non si può sottacere che a Pagani qualcosa di strano sta davvero accadendo. Per continuare nel mio ragionamento devo fare una premessa doverosamente necessaria. A Pagani c’è sempre stato il “vizietto” di eludere (se non proprio evadere!!) le tasse sui servizi comuni. Questo è un dato incontestabile che adesso si è allargato a dismisura assumendo quasi le vesti di una vera e propria rivolta di popolo. Ma le rivolte di popolo, se la storia mi sorregge, hanno sempre un obiettivo ben preciso. Quando durante la rivoluzione francese la ghigliottina incominciò a mietere vittime anche tra i rivoltosi accadde che furono ghigliottinati anche i capi della rivoluzione a seguito di una vera e propria rivolta di popolo. Ora viviamo tempi moderni e certamente lontani da quelle tragedie ma l’umore del popolo è sempre lo stesso. E quello paganese, in un primo momento giustizialista, probabilmente ha cominciato a capire che l’ondata giudiziaria non si fermerà con la punizione dei presunti colpevoli ma ricadrà sul nome e sull’onore della città almeno peri prossimi vent’anni. Con grave nocumento all’economia già di per se devastata. E allora il popolo che non ha altre armi se non quelle della protesta civile che fa: si ferma e non paga le tasse provocando la degenerazione dei servizi. Quello che sta accadendo in questi giorni a Pagani non ha precedenti nella storia della provincia di Salerno e dimostra quanto sia “tosto” il popolo paganese. Ormai i cumuli di monnezza hanno invaso e travolto tutto e tutti, ci sono strade completamente ostruite, cassonetti che vengono dati alle fiamme, interi cumuli fatiscenti abbandonati a se stessi senza il minimo di precauzione igieniche. Anche il giusto e lodevole appello del Prefetto a ritornare sui propri passi abbandonando la linea della “rivolta fiscale” è caduto nel vuoto. La genesi del problema, forse, è di ben altra natura. La  gente è vero che vuole giustizia ma la vuole concreta, certa e ravvicinata. Da osservatore faccio appello alla mia libertà di pensiero per osservare che a Pagani, invece, si sta facendo il contrario. E’ stato sciolto un consiglio comunale, sono stati nominati tre commissari che della realtà paganese non conoscono neppure le connotazioni superficiali, è stata decapitata una classe dirigente ed, infine è stato avviato un processo che tra alti e bassi sembra battere la fiacca e le cui conclusioni si allontanano nel tempo. E’ normale e comprensibile che la giustizia debba avere i suoi tempi e debba essere lasciata serenamente nel solco del suo corso, ma è altrettanto vero che la città ribolle di rabbia per il mancato sviluppo economico, per le mancate occasioni di lavoro, per i licenziamenti che fioccano come neve, per il blocco totale dei lavori pubblici, per gli investimenti che languono e per la gestione politico-amministrativa che non esiste più. Fatte tutte queste premesse si corre seriamente il rischio che la giustizia tanto agognata non riuscirà a produrre i desiderati effetti benefici ma finirà per consegnare definitivamente la città nelle mani della malavita organizzata. Bisogna fare presto, costi quello che costi, altrimenti la gente nel suo immaginario collettivo miscelerà per davvero la giustizia alla monnezza, ed allora potrebbe essere davvero la fine.

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