GAMBNO/57: l’ira di D’Onofrio

 

Marilena Mascolo

PAGANI – Siamo alle solite. E’ stato sufficiente che un pregiudicato parlasse per “sentito dire” che subito si è sollevata, come un’alta marea, tutta la stampa ingorda di notizie vergognose. E il nome di Massimo D’Onofrio è stato scaraventato di nuovo su tutti i giornali. Come se nessuno ricordasse i precedenti dell’uno e dell’altro, Vincenzo Greco e Massimo D’Onofrio, e le specifiche peculiarità di entrambi che non hanno mai avuto e non avranno mai alcun punto di contatto. Il primo, Vincenzo Greco, è un pentito figlio addirittura di un altro pentito “Alfonso”, quasi come fosse un mestiere che si tramanda di padre in figlio per intere generazioni. Un mestiere squallido e incredibilmente poco credibile, che però fa comodo all’occorrenza, quando cioè si deve accusare (o peggio infamare!!) a tutti i costi, costi quello che costi. E costringe una persona per bene, un incensurato, un professionista a cercare di difendersi da una marea di melma: <<Assisto con sdegno e con preoccupazione  all’ennesimo tentativo di ledere la mia dignità. A quanto pare il mio nome “deve” comunque essere invocato; sia chiaro, la “Festa dei Miracoli” a casa mia non c’e’ mai stata e soprattutto basta con la fiera dell’inciucio infamante in grado di distruggere famiglie, carriere, onore, solo per appagare il gusto del coinvolgimento a tutti i costi. E cosi accade che ci si trova costretti a difendersi perché qualcuno afferma, de relato,  che qualcun altro era presente ad una festa elettorale, di quelle dove tra porte aperte, congratulazioni leziose, abbracci non sempre sinceri, in una città di 12 km quadrati, si è in grado di incontrare chiunque senza poterlo sapere ne ricordarlo. Se tutto ciò dovesse diventare una prova della mio onestà, allora temo che per ogni cittadino paganese abituato a vivere il sociale si porrà da oggi in poi un grave problema poiché chiunque in questa città, dai più ai meno onesti, ha stretto mani di sconosciuti, di conoscenti, di elettori senza chiedere certificati penali o pre-confessioni liturgiche. Spero per il bene di Pagani che tutto ciò finisca presto; lo spero per i miei concittadini, per la classe dirigente, lo spero per me, lo spero per i miei figli>>. Il racconto, per certi versi anche dettagliato, recitato in aula dal pentito di camorra Vincenzo Greco viene mascherato come un racconto raccolto dalle confidenze di Michele Petrosino D’Auria ma potrebbe, benissimo, essere un racconto ricostruito con meticolosa (o quasi!!) precisione dalle descrizioni dettagliate fornite dai giornali da circa due anni sulle vicende paganesi. Se a ciò aggiungiamo le lunghe ore, i giorni, le settimane, i mesi e gli anni passati in carcere a leggere ed a confezionare si può facilmente intuire che per questi personaggi apparire in teleconferenza è come per un giornalista televisivo fare un collegamento via satellite. Anche all’interno delle patrie galere, è risaputo, i pentiti che riescono ad avere le vetrine delle tv e delle prime pagine acquisiscono una sorta di valore aggiunto al loro già consolidato ruolo di potere che soltanto con gli anni di detenzione si può ottenere. E allora, mi sono sempre chiesta, quale valore processuale può avere una simile invereconda confessione, fatta oltretutto per de relato ? La risposta è semplice: niente!!, non può avere nessun valore, e i tanti processi ce lo dimostrano in continuazione. Le confessioni de relato, però, sono buone soltanto per distruggere la serenità familiare, come dice giustamente D’Onofrio, e per infangare l’onore della gente. In questo la stampa dovrebbe essere più accorta e non dovrebbe prendere tout-court queste orripilanti manipolazioni, anzi dovrebbe cercare sempre di analizzare il metodo con cui gli stessi magistrati utilizzano i pentiti. Non è un caso se la Procura della Repubblica di Salerno in questo è stata maestra e se ha anche scontato prezzi altissimi e qualche inchiesta da parte dei colleghi magistrati di Napoli. Non è pensabile, difatti, che la Procura salernitana sia tra le prime in Italia per il numero di pentiti puntualmente utilizzati in barba alle indagini tradizionali e scientifiche. Ma le lezioni del passato, probabilmente, non sono servite a nulla e si continua ad insistere con i pentiti che spesso la fanno da padroni e risultano più scaltri degli stessi inquirenti. La storia è lunga, molto lunga. Continueremo a seguire il processo “Linea d’Ombra” nato per smantellare il “Sistema Pagani”, almeno così è stato detto e scritto.

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