LA SOLITUDINE DELLA RICCHEZZA MATERIALE

Alfonso D’Alessio

Nell’arco di un mese abbiamo appreso due notizie che hanno fatto sorridere i più. A Cavriago, provincia di Reggio Emilia, un anziano novantenne si è presentato dal maresciallo della benemerita della locale stazione con i risparmi dell’ultimo decennio, contenuti in un sacchetto di plastica. Cinquantamila euro. “Teneteli voi” ha detto al militare, tra lo stupore di quanti erano presenti. L’anziano custodiva il denaro in casa per paura dei ladri e per mancanza di fiducia nelle banche. L’altra notizia ci porta a Tagliacozzo in provincia dell’Aquila. Qui un’anziana signora ottantaquattrenne  lascia due milioni di euro a Chicco tramite testamento olografo. Fin qui apparentemente nulla di strano, se non fosse che il fortunato Chicco è un barboncino. Motivazione? Chicco, dopo la morte del marito, è ritenuto l’unico essere vivente degno e meritevole di amore e attenzione. Diciamolo pure, la tentazione di sorridere beffandoci dei due “nonni” è stata forte. Ed è rimasta tale nonostante le giustificazioni che abbiamo provato ad immaginare. Oggi avere paura delle banche alla stessa stregua dei ladri rischia di non apparire più del tutto fuori luogo. Nel dare pecunia ad esse, e nel richiedere sempre alle medesime un prestito, c’è una disparità tale di interessi, ancora più moralmente discutibile alla luce dei tassi di favore di cui beneficiano dalla BCE, che qualche malevolo giudizio viene ispirato inevitabilmente. Ma soffermandoci di più sui due fatti, credo che dal sorriso si passi ad un’amara tristezza. Immaginerei gli anziani come saggi distaccati dalla venialità materiale, se non per l’elevazione dello spirito raggiunta, almeno per l’oggettivo distacco cui, volente o nolente e causa la veneranda età, saranno a breve sottoposti. Ancora, li immaginerei tra i nipoti e i familiari a godersi attimi di gioco che da giovani hanno dovuto sacrificare al lavoro. L’immaginerei smaniosi di trasmettere i frutti dell’esperienza di vita che hanno maturato. E quand’anche la durezza della vita li avesse privati di nipoti, familiari, giovani che si abbeverano delle storie di vita, li immaginerei intenti ad aiutare gli altri a non incappare nelle stesse sofferenze. L’idea che nessuno, se non un cane per quanto affettuoso e servizievole, meritevole di protezione e attenzione, e non i figli, i barboni, i meno abbienti, gli affamati, gli assetati, sia degno di aiuto, la trovo aberrante come una bestemmia. Così come trovo sconcertante la superficialità con cui i mezzi di comunicazione fotografano due realtà di solitudine e povertà umana. Altro che ricchezza da proteggere o malamente destinata di cui sorridere o farla passare come normale, qui c’è una povertà che è peggio di quella materiale. Un’idea di come colmarla ce l’ho.

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