Per Mariella … mia madre !!

 

 

 A. Lisa Lupo

Venni accanto al tuo letto, in una corsia che sapeva di malattia e mi parve di scoprire per la prima volta quell’odore. Ti baciai sul collo e tu avevi il profumo che hanno le donne mamme, anche se sono delle mamme bambine. Venni col mio entusiasmo di una che doveva portarti via il giorno dopo, era venerdì, come oggi, erano circa le diciotto, come ora, tanti anni fa, ma sembra ora, adesso io ti mostro gli occhiali che ho comprato e tu cerchi di mostrarti attenta, io come al solito ti sommergo di parole, l’entusiasmo di essere ragazza, a noi che ci vogliamo bene non può succedere nulla, vero mamma? Ti chiesi del sogno che avevi fatto e che mi avevi raccontato, un sogno premonitore, noi le sensitive, tu fosti vaga ed eri tanto stanca, così fragile, così bambina, la mia sorella mamma. Quella fu l’ultima volta che ti assaporai con le mie carezze, il tatto la gioia di toccarti, la certezza che eri mia. Tu mi tenesti la mano come a volermi fermare, e ti assopisti così, tenendomi la mano. Me ne andai sussurrandoti: Ci vediamo domani.

Ci vedremo ancora madre mia?

Ti vorrei vedere anche per un minuto e toccarti come se avessi quell’età fatta di sogni vissuti insieme e di risate o di feroci liti, quando tu volevi ubbidienza e trovavi ribellione ed io cercavo un fiore, veramente lo rubavo  al giardino comunale e te lo portavo, per farmi perdonare. Che importa se scrivo cose uguali ogni anno o cose che altri figli hanno scritto, mica sono migliore degli altri ma ho bisogno di farlo e di fermare questi miei pensieri d’amore immenso sconfinato ineguagliabile amore immarcescibile. E così il giorno dopo, tu ti addormentasti per sempre ma non è vero, tu ti addormentasti prima, tenendomi la mano. Il giorno dopo, la bambina Nanù morì con te e comparve la donna matura ed agguerrita. Ci hanno sepolto insieme; oggi è la donna che scrive di te anzi, che scrive di noi. Fummo tanto unite da essere ancora legate, come se non fosse passato un giorno dalla tua morte. Ieri alla radio hanno trasmesso la canzone di Giorgio Gaber che ti piaceva tanto, pare fatto apposta per rendere acerrimo il dolore che mi provoca la piaga sempre viva che ho nel cuore. Quando sto male ti chiamo, quando cammino basta un nulla per ricordare, oh scusa queste lacrime, scusa questo renderti triste, tu che non sapevi di me che piangevo e mi lodavi con le tue amiche perché ero forte, una bambina che buttava giù sciroppi amari senza batter ciglio. Il mio coraggio ti lusingava o forse ti stupiva non so. Quella sera, anzi oggi, no allora, andai via a piedi e percorsi la strada con i pensieri di quella età, la ragazza madre che amava sua madre. Gli occhiali nuovi che erano un gesto di vanità, ora ricordo come ero vestita ed i mocassini neri che calzavo ed un passo leggero, le calze velate i capelli legati a crocchia con la riga in mezzo. Non faceva freddo quel trenta Novembre, tu moristi col sole. Una come te non muore con il cielo grigio, a me sembra una presa in giro del destino ma la voglio vedere come una cosa poetica, fecero il tuo funerale e pioveva, silenziosamente una pioggia fitta era simile alle mie lacrime dignitose, quelle della figlia tua, che non faceva scene in pubblico. Ma non ci pensai a questo, l’ho analizzato dopo, fui dignitosa perché non avevo capito. Ed ancora oggi io non ho capito; razionalmente sì, ci ha pensato la vita e ci hanno pensato gli altri a farmi capire come si esiste senza madre. Questo mio parlarti è un modo che non rispetta il periodo, la sintassi o altro ma che importa, come ha scritto il tuo poeta Neruda: e lei non è con me. 

Eri troppo giovane, amavi troppo la vita, ma ché?!  Ma non si fa così, no, non si fa così!

Ciao mamma, scusa se quando eri qui, ti ho amato male, non te l’ho detto abbastanza, ma ti ho amata tanto!

Ritratto di Olga. Autore Pablo Picasso

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