TERRORISMO: quel tragico 16 marzo 1978

Aldo Bianchini

SALERNO – La mattina del 16 marzo 1978, giovedì, mi alzai di buonora. Ero un giovane ispettore di vigilanza dell’INAIL e dovevo recarmi, per ragioni d’ufficio, a Vallo della Lucania dove in Pretura dovevo presiedere ad alcune “inchieste pretorili” per alcuni infortuni sul lavoro. Scesi di casa e, come sempre, mi portai nell’edicola di fronte per l’acquisto del quotidiano “Il Mattino”. Fui colpito dal titolo a tutta prima pagina di “La Repubblica” e quella mattina acquistai anche il quotidiano nazionale che solitamente non leggo. Raggiunsi l’autovettura di servizio, salutai l’autista ed insieme partimmo alla Volta di Vallo della Lucania. Erano le ore 7.30 da poco passate. Apro La Repubblica e leggo il titolone: “Antelope Cobbler ? Semplicissimo è Aldo Moro, presidente della DC”. Lessi l’articolo a firma di Eugenio Scalfari (mitico direttore) tutto d’un fiato anche perché, lo devo riconoscere, rispecchiava quasi in toto il mio pensiero su quella scandalosa vicenda della Lockheed che aveva, si disse, pagato incredibili tangenti alla politica nazionale per la fornitura dei famosi o famigerati C/130 (aerei militari da trasporto). Rimasi per qualche minuto molto perplesso e pensieroso, davvero la politica italiana era caduta così in basso che gli scandali si succedevano agli scandali; ecco perché la “lotta armata” condotta dalle Brigate Rosse e dai gruppi eversivi di destra continuava a mietere vittime ed a fare proseliti tra le giovani generazioni. Mi riportò alla realtà il fedele Armando, l’autista dell’INAIL; eravamo giunti ad Agropoli e occorreva un buon caffè. Arrivammo a Vallo della Lucania poco prima delle ore 9.00 e salii subito al primo piano del palazzo di giustizia vallese per presentarmi al cospetto del dott. Alfredo Greco che allora era Pretore e dinnanzi al quale dovevano essere celebrate le inchieste pretorili infortunistiche ex artt. 54-56 e 63 del T.U. n. 1124 del 30/06/1965. Il Pretore mi accolse con la sua consueta e notissima affabilità; demmo un’occhiata ai fascicoli delle inchieste da celebrare e subito dopo scendemmo le scale per recarci verso il bar posto proprio di fronte al palazzo del tribunale. Le ore 9.00 erano passate da qualche minuto, stavamo centellinando una tazza di caffè quando dalla gracchiante voce della radio (in filodiffusione) del bar che stava trasmettendo alcune canzoni del Festival di San Remo arrivò l’annuncio di un’edizione straordinaria del radiogiornale. “Pochi minuti fa in Via Mario Fani, a Roma, è stato sequestrato il presidente della DC Aldo Moro e sono stati uccisi i cinque uomini della sua scorta. Sembra che l’azione terroristica sia stata opera delle Brigate Rosse. Sul posto si è già recato il sostituto procuratore della repubblica dott. Luciano Infelisi. Maggiori particolari nel prossimo notiziario”. Rimasi quasi immobilizzato dalla notizia, incrociai gli occhi del Pretore Alfredo Greco, dal suo sguardo capii la drammaticità del momento per la repubblica e per la democrazia in genere. In cuor mio sperai che l’azione non fosse di stampo terroristico ma che fosse legata allo scandalo Lochkeed, era più semplice per tutti. Senza scambiarci neppure un monosillabo raggiungemmo gli uffici della Pretura e soltanto quando ci trovammo seduti l’uno di fronte all’altro Alfredo Greco laconicamente mi disse: “Qualche minuto fa abbiamo toccato, forse, il momento più pericoloso della storia del nostro Paese; ora più che mai bisogna rimanere fermi e fare il proprio dovere fino in fondo. Soltanto così potremo superare questa grande difficoltà e lo Stato deve dimostrare tutta la sua fermezza”. Una lezione di compostezza e di grande civiltà, quella di Alfredo Greco. Celebrammo le inchieste mentre il cancelliere entrava ed usciva dall’ufficio del magistrato per aggiornarci sugli sviluppi di quanto stava accadendo nella capitale. Poco dopo mezzogiorno lasciai la Pretura e, sempre con il fedele Armando, iniziammo il viaggio di ritorno verso la lontana Salerno; allora non c’era la superstrada “Cilentana” e bisognava attraversare tutti i paesi interni del Cilento. I numerosi posti di blocco che incontrammo per strada ci fecero capire quanto era grave il momento che stavamo vivendo; dalla radio installata a bordo della macchina cercavamo di sentire le notizie di aggiornamento. Il pm Luciano Infelisi, di turno quella mattina in Procura a Roma, pochi minuti dopo l’agguato terroristico di Via Fani aveva prudentemente ordinato il blocco della capitale che era stata subito cinta d’assedio dalle forze  dell’ordine. Alcuni anni dopo lo stesso pm Infelisi fu il protagonista di uno scontro senza precedenti con l’allora presidente del Consiglio dei Ministri Bettino Craxi (che per liberare Moro aveva avanzato proposte di negoziato con le BR) per la vicenda del terrorista Abu Abass (molto vicino a Yasser Arafat) che gli americani volevano prendere a Sigonella e che, invece, fuggi in aereo a Fiumicino e da Fiumicino a Ciampino e viceversa fino a quando (con l’avallo del governo Craxi) riuscì a ritornare in Palestina.  Allo svincolo autostradale della Sa-Rc capimmo veramente l’enormità di quanto stava accadendo; per imboccare l’autostrada ci mettemmo più di un’ora, i controlli erano serratissimi ed a più riprese, insomma l’intero Paese era in stato d’assedio. Ma che cosa era realmente accaduto quella mattina in Via Fani. Poco dopo le ore 9.00 del mattino, in Via Mario Fani a Roma, un commando delle Brigate Rosse uccide le sue cinque guardie del corpo, Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi e sequestra il presidente della Dc, Aldo Moro. Alla notizia del rapimento i blocchi stradali scattano con ritardo. La macchina dei rapitori verrà trovata pochi minuti dopo non lontano dal luogo del rapimento stesso. Appresa la notizia, operai, studenti, cittadini in tutta Italia scendono in sciopero e danno vita a manifestazioni in risposta agli appelli dei partiti e del sindacato a mobilitarsi contro il terrorismo. Tutti i giornali escono in edizione straordinaria annunciando e condannando il sequestro del presidente della DC e l’uccisione della sua scorta. L’edizione straordinaria de la Repubblica non riporta l’articolo uscito nella mattinata con le accuse ad Aldo Moro di essere Antelope Cobbler. Insomma anche la grande stampa capisce subito che non è più il caso di giocare sui nomi e sulle presunte accuse, il momento è drammatico e tutti insieme bisogna reagire. Nei giorni immediatamente successivi mi colpì la circostanza in cui fu sollevata una certa vicinanza del film Toto Modo (girato da Elio Petri nel 1976, due anni prima del sequestro, e tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia) nel quale il personaggio del presidente, interpretato mirabilmente da Gian Maria Volontè è palesemente ispirato ad Aldo Moro. La storia vorrà che dieci anni dopo il sequestro Gian Maria Volontè interpretò da protagonista il ruolo del presidente della DC nel film di Giuseppe Ferrara “Il caso Moro”. Il giorno successivo all’agguato terroristico, il 17 marzo 1978, viene pubblicata la notizia che la Camera e il Senato con procedura d’urgenza hanno espresso la fiducia al monocolore Dc, presieduto da Giulio Andreotti, con 569 voti su 630 (votano a favore anche i “demonazionali“). Per la prima volta, dopo il breve periodo del dopoguerra, il PCI è nella maggioranza parlamentare che appoggia il governo. Le Brigate Rosse rivendicano con telefonate il sequestro senza fornire alcuna richiesta. Tutti gli editoriali esaminano la vicenda, mettendo l’accento sulla necessità di reagire con forza e puntualizzano che il problema principale è quello di non cedere al ricatto, qualora le Brigate Rosse subordinassero il rilascio di Moro alla liberazione di Renato Curcio e altri detenuti. Più precise in proposito sono le posizioni assunte da Il Giornale Nuovo di Indro Montanelli che titola a piena pagina “Rapimento Moro: le Br chiedono la liberazione di terroristi detenuti» e l’editoriale di Arrigo Levi, direttore de La Stampa che ha per titolo: “Con i terroristi non si tratta”. Il Giorno scrive di un ultimatum delle Brigate Rosse tendente a ottenere la liberazione di Curcio e altri detenuti. Il 19 marzo tutti i giornali pubblicano la foto di Moro prigioniero e il testo del “comunicato n.1” in cui si annuncia che Aldo Moro sarà sottoposto ad un processo da parte di “un tribunale del popolo”. Viene fatto un preciso riferimento al processo in corso a Torino ai detenuti delle Brigate rosse, affermando: “ben altro processo è in atto nel Paese, è quello che vive nelle lotte del proletariato”. La foto viene pubblicata su tutte le prime pagine con commenti che tendono ad evidenziare la stoica dignità e compostezza dimostrata da Aldo Moro. Un inviato del Tg Uno legge in una diretta il comunicato, elencando gli epiteti contro lo statista (“gerarca”), per venire elegantemente interrotto dalla giornalista in studio Angela Buttiglione: “Siamo al corrente del contenuto del comunicato”. Un modo come un altro per non dare più di tanto una ingiusta pubblicità ad un’azione terroristica. Il 7 aprile 1978  scende in campo direttamente Eleonora Chiavarelli, la moglie dello statista, e lancia un messaggio al marito attraverso il quotidiano Il Giorno. Sfiducia in Vaticano sui contatti con le Br per salvare Aldo Moro.  Il 26 aprile  “Il Giorno” pubblica una lettera a Moro dei suoi figli: «Caro papà, sentiamo il bisogno dopo tanti giorni, di farti giungere con queste poche righe, un segno del nostro affetto…». Appello dell’Onu alle Brigate Rosse. La Repubblica, i repubblicani e i comunisti criticano l’appello, sostenendo che vi è un riconoscimento politico dei brigatisti e che Waldheim (segretario generale dell’ONU) ha trattato il problema come se fosse “un problema tra Somalia e Etiopia”. Cinquanta personalità del mondo cattolico firmano un appello in cui affermano che le lettere «non sono parole di Moro». Craxi propone un’iniziativa autonoma dello Stato italiano. L’Unità mette in rilievo come il segretario del Psi, nonostante tutto, parli ancora di negoziati escludendo soltanto l’ipotesi dello scambio dei prigionieri. L’appello delle personalità cattoliche che smentiscono le lettere viene portato in prima pagina con grande rilievo da L’Unità. L’ 8 maggio i giornali riflettono il pesante clima di attesa dopo il comunicato N 9. Colpito un sindacalista dell’INAM. Colpito un sindacalista del Pci alla Sit-Siemens. Entrra sulla scena anche Amintore Fanfani: «Muoversi e non vivere alla giornata». Il 9 maggio tutti gli organi di informazione annunciano il ritrovamento del corpo di Aldo Moro in una Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, poco distante da piazza del Gesù. Una telefonata alla segreteria del presidente della DC era giunta alle 13, con le opportune indicazioni. La famiglia Moro diffonde il seguente comunicato: La famiglia desidera che sia pienamente rispettata dalle autorità dello Stato e di partito la precisa volontà di Aldo Moro. Ciò vuol dire: nessuna manifestazione pubblica o cerimonia o discorso; nessun lutto nazionale, né funerali di Stato o medaglie alla memoria. La famiglia si chiude nel silenzio e chiede silenzio. Sulla vita e sulla morte di Aldo Moro giudicherà la storia. Il giorno dopo, la salma è tumulata dalla famiglia a Torrita Tiberina, un piccolo paese della provincia di Roma: il governo terrà i funerali di Stato, celebrati dal Papa paolo VI –molto amico della famiglia Moro-, senza la bara ed i famigliari del morto. Nella Capitale affissioni del Partito Comunista che riportano la prima pagina de L’Unità con la notizia dell’uccisione, sono coperti da strisce con la scritta “assassini”, probabilmente apposte da gruppi di estrema destra, tesi ad indicare le Brigate Rosse quale braccio armato del Pci. Sono passati trentacinque anni da quel tragico giorno in cui la democrazia subì il più pericoloso attentato della sua storia, niente sembra cambiato, tutto è immutato. Negli anni immediatamente successivi al 16 marzo 1978 lo Stato, ovviamente, vinse la sua battaglia, le istituzioni democratiche sopravvissero, la politica continuò con i suoi intrighi e con le sue malefatte. Arrivò tangentopoli che cambio la geografia dei partiti ma gli uomini continuarono nei loro disastri, fino ad oggi con nuovi scandali che ricalcano quelli del passato. E la storia va avanti.

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