Avanzano gli emergenti, e l’Europa sta a guardare?

 

Filippo Ispirato

Il 2013 passerà alla storia come l’anno del sorpasso delle economie dei paesi emergenti nei confronti di quelle dei cosiddetti paesi sviluppati, con particolare riferimento agli Stati Uniti, al Giappone e all’Europa. Secondo uno studio, apparso sull’autorevole Financial Times di Londra, del McKinsey Global Istitute, che ha elaborato ed incrociato i suoi dati economici e finanziari con quelli del Fondo Monetario Internazionale, per la prima volta, da secoli, il peso economico delle nazioni emergenti ha superato quello dei paesi progrediti. Un fenomeno che sembra irreversibile, cominciato già diversi anni fa con il vistoso invecchiamento delle popolazione ed il pesante calo demografico che hanno pesato in maniera sostanziale sulla crescita economica. Facendo qualche esempio, dal 1982 ad oggi, in poco più di trent’anni, il tasso di crescita degli Stati Uniti si è dimezzato mentre quello giapponese si è ridotto di più di cinque volte; negli anni ’80 tra le dieci economie più dinamiche al mondo figuravano Canada, Stati Uniti, Giappone, Italia, Germania e Regno Unito, mentre si prevede che in questo piazzamento nei prossimi cinque anni rimarranno solo Stati Uniti e Giappone, peraltro fortemente ridimensionati, a favore di altri stati quali Cina, Indonesia, India, Brasile, Messico e Turchia. Classificare queste nazioni come emergenti non ha più senso ormai, sarà meglio parlare di nazioni in forte crescita, le nuove tigri, che hanno tra i loro vantaggi competitivi una popolazione molto numerosa, giovane e dei mercati interni non ancora maturi ai quali fare riferimento ed orientare la loro produzione manifatturiera. E’ stato superato in poco più di dieci anni anche il vecchio dualismo tra paesi evoluti, considerati come mercati di consumo, e paesi emergenti, demandati alla produzione, o tra paesi ricchi, erogatori di servizi e beni immateriali ad alto valore aggiunto, e paesi asiatici o latinoamericani, produttori di beni standardizzati con manodopera a basso costo. Oggi la ricerca in Asia ha fatto passi da gigante, così come il settore dell’elettronica o dell’informatica e i campus indiani, cinesi o del medioriente presentano degli standard qualitativi che li collocano nella parte alta della classifica delle università prestigiose nel mondo, grazie al circolo virtuoso e alla collaborazione tra i centri di ricerca, l’apparato industriale e i bilanci dei loro stati poco indebitati e non appesantiti dalla spesa sanitaria o sociale elevata, per via della giovane età della loro popolazione, mentre gli atenei europei stanno velocemente aprendo delle succursali in loco per attrarre gli studenti migliori. I paesi del “primo mondo” sembra si siano avviati verso una parabola discendente: non crescono più né demograficamente né economicamente, e secondo il McKinsey Global Istitute, facendo la media ponderata delle economie, ha spostato il “centro di gravità mondiale” dall’Atlantico, ovvero a metà strada tra Usa ed Europa, all’Asia, sempre più proiettata verso le superpotenze India e Cina. E’ tutto perduto? A nostro avviso no; vanno fatte alcune analisi e considerazioni molto importanti che valgono tanto per l’Italia che per diversi paesi europei:

  • innanzitutto queste sono delle tendenze che vengono fatte a livello globale ma non sono dati incontrovertibili. Si andrà verso questa direzione se l’Europa, il Giappone o gli Stati Uniti non si muoveranno e troveranno soluzioni per una nuova crescita
  • bisognerà investire sui punti di forza e le esclusività delle economie progredite che i nuovi ricchi dei paesi emergenti considerano degli status symbol (design, alta moda, meccanica di precisione, agroalimentare etc …)
  • considerare India, Cina, Indonesia, Russia o Brasile nuovi mercati di sbocco per i propri prodotti e bacino d’attrazione per il mercato turistico europeo
  • sfruttare appieno ed in maniera efficiente le possibilità di finanziamento messe a disposizione dall’Unione Europea che puntano a sostenere le idee di impresa innovative e sostenibili
  • ridurre la forte burocrazia e l’elevata tassazione, che spesso creano enormi sacche di inefficienza e scoraggiano l’iniziativa privata

Questi, ovviamente, sono solo alcuni spunti di riflessione, ma utili per la classe politica, amministrativa, sociale, economica, finanziaria ed imprenditoriale per evitare di subire in maniera passiva i nuovi equilibri economici a livello globale.

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