LAVORO: dall’art. 18 alla mobilità !!

Aldo Bianchini

SALERNO – L’Italia della prima e della seconda Repubblica vive spesso di “totem”, soprattutto quando si parla del mondo del lavoro e delle regole che lo governano e che andrebbero riviste, corrette e, forse, anche soppresse. Nel nostro Paese i dibattiti su come organizzare e rilanciare <<il lavoro>> sono all’ordine del giorno da oltre cinquant’anni, fin da quando avevamo sfiorato il cosiddetto <<miracolo economico>> ed avevamo quasi conquistato <<la luna>>, un miracolo durato poco più di trenta mesi agli inizi degli anni ’60 e poi svanito nel nulla e nei chiacchiericci politichesi e pseudo imprenditoriali. Insomma, come dire, che dopo l’infernale gestione del lavoro da parte di Vittorio Valletta (leggasi Fiat anni ’50) e la parentesi aurea di Adriano Olivetti  e di Enrico Mattei tutto è ripiombato nel buio dei chiacchierifici. Il mondo di oggi, soprattutto quello del lavoro, non si muove più su regole scritte dai singoli Paesi ma su binari dettati esclusivamente dal potere economico globale che non consente più al singolo imprenditore di guardare al lavoratore come il suo nemico capitale e che non consente più al lavoratore di guardare al datore come una roccaforte da abbattere ad ogni costo. Il muro contro muro è finito da tempo e se proprio amiamo identificare il problema in un totem allora quell’unico totem è costituito dal <<potere economico globale>>. E si riuscisse a superare, anche nel nostro Paese, questa sorta di sbarramento giudiziario, che per tradizione e per errata cultura il datore ha sempre torto così come il lavoratore ha sempre ragione, forse riusciremmo  a capire e valutare la vera essenza della cosiddetta <<mobilità diffusa>> che non è un concetto astratto o legato solamente alla cassa integrazione (nelle sue varie sfaccettature), piuttosto uno strumento di grande civiltà che, per certi versi, consente al lavoratore di sentirsi senza dubbio più libero dalle tenaglie della disoccupazione perché davanti a lui si aprono scenari sempre nuovi e sempre diversi. Ovviamente se c’è crisi c’è crisi, e se la mobilità non risolve il problema della mancanza di posti di lavoro, l’art. 18 certamente non favorisce la possibilità di crescita di nuovi posti di lavoro e blocca il flusso di nuovi investimenti che l’imprenditoria preferisce dirottare verso altri Paesi e verso altre realtà produttive. Insomma siamo di fronte al classico gatto che si morde la coda; non sono sufficienti aggiustamenti, cambiamenti e tamponi di vario genere, c’è bisogno di una svolta assolutamente radicale. Matteo Renzi che ancora si barcamena tra la CGIL, il PD, il NCD e FI ne prenda atto e dia l’ultimo colpo di coda ad un sistema che ormai fa acqua da tutte le parti, invece di dettare un’agenda di 1000 giorni che equivale ad altri trenta mesi di tempo perso. Anche perché se un datore licenza un operaio ne assume certamente un altro per tamponare la falla, e se lo licenzia perché le commesse sono diminuite deve avere la possibilità di farlo in piena autonomia decisionale e non deve rimanere bloccato per anni ad inseguire vertenze di lavoro che non hanno né testa né coda. Questo è un sistema che deve essere cancellato per sempre, tanto nel nostro Paese imprenditori che sfruttano i bambini per cucire i palloni di calcio non ce ne sono, semmai qualcuno viene da fuori e noi lo accogliamo a braccia aperte; anzi abbiamo imprenditori che vorrebbero regole più agili per continuare a credere nelle loro scelte e nel loro Paese. Nel corso di un mio recente viaggio negli USA ho assistito alla chiusura di una piccola realtà imprenditoriale perfettamente sindacalizzata (60 dipendenti per la produzione di buste di carta per gli hot-dog); era un venerdì pomeriggio e il titolare dell’azienda dagli altoparlanti del capannone annunciava la chiusura immediata per riconversione industriale, il licenziamento di tutte le maestranze senza alcuna promessa di riassunzione e dava ai dipendenti una settimana di tempo per smantellare lo stabilimento e prelevare tutto quello che volevano e che ritenessero utile per i loro bisogni. Incredulo, anche in forza del mio passato lavorativo come ispettore di vigilanza del lavoro, mi aspettavo reazioni inconsulte e barricate sindacali. Niente di tutto questo, soltanto un applauso scrosciante e brindisi augurali per la nuova vita che si apriva dinanzi a loro e che ognuno pensava di affrontare con nuovi stimoli ed in nuove occupazioni. Quanto è distante il nostro Paese, pensai, mi venne in mente l’art. 18 e con tristezza pensai a quando riusciremo a liberarci di questi totem e a diventare un Paese al passo con i tempi. Dalle ultime notizie di queste ore sembra che anche il rottamatore Matteo Renzi si sia impantanato sull’art. 18, purtroppo anche lui predica bene e razzola male.

One thought on “LAVORO: dall’art. 18 alla mobilità !!

  1. questa volta ha toppato caro direttore.il problema del lavoro in italia non è l’art 18 che si applica solo per le aziende sup ai 16 dipendenti che sono una estrema minoranza rispetto all’enorme massa dei lavoratori impiegati nei più svariati settori che non arrivano ai 16 dipendenti dove il problema della tutela dell’ art 18 non si applica.Quindi? Falso problema. Che ne nasconde un altro più viscido e assurdo. ovvero l’eliminazione di qualsiasi forma di contrattazione tra capitale e lavoro, dove vige solo la legge del mercato e del profitto,che ha una sola conseguenza stamattina mi servi e lavori domani no e quindi oggi si mangia e domani no. Lo smantellamento della sovranità nazionale è il vero problema caro direttore è nell’acettazioni delle leggi sovranazionali e nell’adesione ai trattati e nell’adozione dell’ €uro che lo Stato perde il suo ruolo e la sua funzione. che nei fatti cancella la già menomata Costituzione italiana diventata al seguito delle modifiche della stessa carta straccia dove non vi è più la posibilità che lo stato attraverso il governo possa intervenire a favore dell’economia nazionale così come per andare incontro alle necessità della popolazione. Questo perché si è voluto applicare una legge economica che regola l’economia di mercato dove il peso è dato dagli utili. per cui equiparando uno Stato ad una società privata ecco trovato l’inganno il deficit pubblico dove sono i cittadini ad essere azionisti di una società sull’orlo del fallimento i quali sono chiamati a ripianare tale deficit in solido.
    mi fermo qui altrimenti mi vedo costretto a scrivere un trattato di economia politica e un altro trattato legislativo ed un altro storico. Va da sé che il problema del lavoro non è l’art 18.

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