Angellara Home/32: le forzature dell’appello !!

Aldo Bianchini

SALERNO – In continuità con quanto scritto nell’ultima puntata di “questa vicenda amara lunga sette anni per servire la comunità” cercherò di dare (ovviamente dal mio punto di vista !!) le risposte alle domande che ho posto. Comincio dal sostituto procuratore generale Renato Martuscelli che il 9 febbraio scorso nel corso della sua iniziale requisitoria aveva affermato: ““Ma di che cosa stiamo parlando … chiedo l’assoluzione di tutti e tre gli imputati perché non c’è alcun elemento su cui poter poggiare un’eventuale condanna””. Una affermazione che aveva spiazzato tutti, forse gli stessi difensori degli imputati, e che (stando ai bene informati !!) avrebbe avuto anche ripercussioni sui rapporti interni alla stessa Procura Generale, tanto è vero come è vero che il dottor Martuscelli ha “rinunciato” alle conclusioni (replica) dopo le arringhe degli avvocati difensori. Se all’affermazione di Martuscelli si aggiungono le voci sugli scontri (una volta acclarata la loro veridicità !!) si può facilmente dedurre che ci troviamo di fronte ad una sentenza forzata in modo tale da salvare capre e cavoli (impianto accusatorio, richieste di risarcimento, ecc.) e lasciare nella mani della Suprema Corte ogni successiva decisione. Se, infine, tutto questo non fosse vero ci dovremmo tutti porre un’altra domanda: “Ma il sostituto procuratore Martuscelli che cosa ha letto nelle carte processuali e, soprattutto, che cosa ha capito per essere indotto a pronunciare la richiesta di assoluzione per mancanza di elementi su cui poggiare la condanna ?”. E continuo con il dispositivo della sentenza che, sembra, non sia stato letto in aula o almeno non sia stato letto per intero; nel merito le dichiarazioni sono assolutamente discordanti. A chi dei legali chiedeva al magistrato Lerose, nell’uscita dall’aula del consiglio, perché la sentenza non era stata letta, la predetta componente il collegio giudicante assicurava: “E’ stata letta, è stata letta”. Ma almeno i dubbi, ovviamente, rimangono. E perché all’arcivescovo emerito Mons. Gerardo Pierro la Corte d’Appello “ha imposto” la prescrizione dei reati a lui ascritti, una prescrizione che lascia veramente perplessi sebbene l’imposizione della Corte appare perfettamente esercitabile. Sul piano squisitamente giudiziario essa appare, però, come lo strumento necessario per poter poi confezionare la sentenza di condanna per tutti gli altri. Difatti la posizione di Mons. Pierro era tale da non poter essere inclusa in quella sorta di “”mera coscienza e volontà dell’immutatio veri, ovvero il dolo generico, per il reato di abuso è necessario il dolo specifico caratterizzato dalla specifica volontà di arrecare un ingiusto vantaggio patrimoniale al privato beneficiario”” in quanto l’arcivescovo non aveva e non ha mai incontrato, in nessun modo ed in nessuna sede, i tecnici e i funzionari comunali e regionali. L’assoluzione piena dell’arcivescovo avrebbe, dunque, inficiato il principio (quasi soltanto filosofico-giurisprudenziale in mancanza di prove dirette di specifiche collusioni tra i pubblici ufficiali del Comune di Salerno e la richiedente Arcidiocesi), su cui la Corte ha basato la sua condanna per tutti gli altri imputati, compresi quelli che il processo di primo grado aveva assolto. Se così fosse ci troveremmo al cospetto di un “aborto giudiziario” che la Cassazione non avrà timore di cancellare; vedremo. Infine, l’altro caposaldo della sentenza si basa sulla “scorretta concessione edilizia per la costruzione delle due piscine” che dovevano trasformare quella “colonia marina” in una struttura ricettiva a quattro stelle”; questo caposaldo è davvero inquietante e cercherò di spiegarlo. Con provvedimento 2.3.2009 n. 1 lo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP) di Salerno annullava, in via di autotutela, l’autorizzazione unica 2.5.2008 n. 26 per la realizzazione di strutture stagionali e di altre opere antistanti il complesso immobiliare denominato “Villaggio San Giuseppe” rilasciata in favore dell’omonima associazione che lo conduceva in gestione per conto della Curia vescovile di Salerno. In pratica il Comune si rimangiava l’autorizzazione a costruire e l’Associazione ricorreva al TAR che con sentenza n. 13794 del 21 dicembre 2010 accoglie “parzialmente” il ricorso e annulla il provvedimento di revoca in autotutela. In pratica il TAR dà ragione all’Associazione Villaggio San Giuseppe nel merito della nullità della revoca e fissa precisi vincoli alle costruzioni da effettuare. L’Associazione rispetta tutti i vincoli e, tra l’altro, non provvede alla costruzione della due piscine; anzi per la precisione una di queste già esisteva dal 1975 e doveva essere soltanto ristrutturata (è non lo è stata) e l’altra che doveva servire ai bambini dai 3 ai 6 anni non è stata mai realizzata. Ma il “”fumus della mera coscienza e volontà dell’immutatio veri, ovvero il dolo generico”” è rimasto, almeno nella mente del collegio giudicante, e tutti sono stati condannati. Alla prossima.

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