EMIGRANTI: la festa di Sassano e … la terza via !!

Aldo Bianchini
SASSANO – Al quinto appuntamento consecutivo la “Festa degli emigranti”, voluta tenacemente dal sindaco Tommaso Pellegrino, ha assunto una caratteristica ben precisa nell’ottica della riscoperta delle radici e dell’ancora solidissimo legame con la Madre Patria. E’ vero che viviamo in una società al contrario, è vero che sono letteralmente saltate due-tre generazioni delle quali non si ha contezza, è vero (come mi suggeriva il prof. Nicola Femminella) che da un famoso studio degli anni ’90 fatto da due esperti tedeschi si evinceva la possibilità di una “fibrillazione neuronica” per il passaggio dalla società tradizionalista a quella ipertecnologica, e che da quello studio veniva indicato nel tempo medio di cinquant’anni la durata della stessa fibrillazione, ma è altrettanto vero che da tutto questo ne discende l’esigenza, appunto, di non perdere definitivamente le radici. La vita è come un albero che ha bisogno delle radici, delle foglie, dei rami e del fusto (ha detto nel suo intervento don Otello Russo); e se è così significa che bisogna predisporre tutte le basi necessarie alla sua sopravvivenza nel segno della continuità anche per le generazioni future che alla fine della fibrillazione neuronica riproveranno certamente a riassaporare il gusto delle radici e delle tradizioni. Per tutti questi motivi è importante la Festa dell’Emigrante di Sassano ed alla stessa stregua sono importanti tutte le altre feste che viaggiano in questa direzione. Possono anche non sembrare così imporftanti, possono anche non raccogliere le migliaia di presenze di una futile sagra, ma sono queste le feste che andrebbero incentivate e lautamente sovvenzionate perché sono soltanto queste feste a lasciare qualcosa di profondamente tracciante sul territorio in termini di recupero del senso di appartenenza ad una comunità, ad una provincia, ad una regione, ad un Paese. Il 4 luglio del 2014 mi trovavo ad Orlando (USA) ed ho assistito, quasi incredulo ed esterefatto, alla celebrazione della festa dell’indipendenza; non ci sono paragoni da poter fare, gli americani ci credono, noi quasi ci vergogniamo di cantare l’inno nazionale o soltanto “O sole mio”. I fenomeni noi italiani li viviamo sempre con molto ritardo, questa la ragione che subito dopo la seconda rivoluzione industriale (tra l’800 e il 900) diede il via al più grande flusso emigratorio che l’Italia abbia mai registrato; era la famosa “terza via” che le classi meno abbienti sceglievano per andare lontano con la speranza di migliorare il loro status sociale nell’attesa di un ritorno in Patria una volta attenuati gli effetti ed una volta valutati gli esiti della rivoluzione industriale di cui prima. Dalla piazza Umberto I° di Sassano (ottimamente raffigurata in un pannello di ceramica scoperto nell’occasione) numerosi giovani emigranti partivano senza neppure la famosa “valigia di cartone” per raggiungere Napoli, imbarcarsi su vere e proprie caravelle, attraversare l’oceano e raggiungere la mitica New York; ma da tutte le piazze dei paesi del sud ed anche da molti paesi del centro e del nord gli emigranti partivano a frotte, già sapendo che moltissimi di loro non avrebbero mai più fatto ritorno tra i loro cari, tra i loro affetti. Si sottoponevano a prove durissime per un tozzo di pane, ma riuscivano con enormi sacrifici a far sopravvivere i loro familiari nella madre Patria; all’arrivo negli USA venivano maltrattati e addirittura messi in quarantena, nudi e infreddoliti, nei capannoni di Ellis Island (di fronte New York) per essere lavati e disinfettati, perché la paura di aver contratto malattie infettive nei bestiali viaggi oceanici induceva i duri statunitensi a selezioni severissime. La grande guerra, fortunatamente, pose fine a quel tipo di emigrazione; la rivoluzione industriale aveva decisamente lasciato alle spalle la “società dei pochi oligarchi” ed aveva aperto alla speranza della “società dei tanti lavoratori e lavoratrici”; insomma il mondo aveva invertito la rotta ed era passato dall’epoca dei monarchi e sudditi alla nuova frontiera della partecipazione di massa ai processi produttivi, economici e industriali. Ecco, queste sono le cose che dobbiamo cercare di conservare, di preservare dagli attacchi brutali della tecnologia e dei social, e di trasmettere alle future generazioni. “I giovani devono capire i nostri sforzi, devono somatizzarli ed immagazzinarli per poi passarli a loro volta alle generazioni che seguiranno; soltanto così potremo essere soddisfatti del nostro operato” ha detto il sindaco Pellegrino rivolgendosi ad un bambino indiano presente alla cerimonia di inaugurazione del pannello di ceramica. Dopo l’ufficialità è seguita una serata all’insegna della musica e del bel canto napoletano; una serata ottimamente condotta dalla sempre più brava, professionale e convincente Chiara Di Miele. Alla fine per tutti assaggi dei prodotti tipici locali e il classico taglio della torta.

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