Ritorno al Nazareno

di Angelo Giubileo

SALERNO – Ormai il percorso, a grandi linee, pare delineato; a meno che non s’intenda condurre il governo (in senso generale) del paese allo sfascio, dopo averne tentato la forzatura. In proposito, lo stesso Matteo Renzi ha infatti dichiarato ieri l’altro a Otto e mezzo, l’opportunità che in buona sostanza il governo-Gentiloni resti in carica fino al febbraio 2018 e quindi fino alla naturale scadenza della legislatura.

E allora occorrerebbe innanzitutto interrogarsi meglio sul senso della scissione operata dalla “ditta” Bersani&D’Alema, la cui motivazione prioritaria appare ora chiaramente disattesa dai fatti. Infatti, il punto di maggiore contrasto con la maggioranza del Pd era il sostegno politico alla maggioranza del governo-Gentiloni fino alla data precitata. Ma, l’esito dello scontro è accaduto non più tardi di tre settimane fa e pertanto ora invece che di miopia, dovremmo parlare piuttosto di cecità politica dei fuoriusciti dal Pd.

Si potrebbe tuttavia obiettare che l’altro punto di grave contrasto tra la maggioranza e l’allora ex-minoranza del Pd sia stata la svolta maturata sulle date delle primarie per l’elezione del segretario e dello svolgimento della fase pre-congressuale e congressuale del partito; ma, anche in tal caso, l’uscita degli ora Mdp contrasta con la logica che vorrebbe e, ancor più oggi è così dimostrato, avrebbe voluto che la competizione politica si fosse svolta e – come viceversa accade con le proposte sia di Orlando che di Emiliano – si svolga all’interno (e non all’esterno o, peggio ancora, dall’esterno) del partito.

E quindi occorre discutere del fatto che in sole tre settimane lo scenario sia, come in effetti è, completamente cambiato. E direi, in parte rasserenatosi. Specificando, in merito all’azione del governo-Gentiloni, che non si tratti affatto di “una camomilla” data “a un malato terminale”, come per l’appunto sentenziato dal pentastellato Luigi Di Maio, quanto viceversa di un percorso – che si diceva – appare ora più rettilineo.

Tanto che, a tale ipotetico percorso, ieri si sono aggiunte altre tappe e quindi altre date. La prima: il 15 marzo a Palazzo Madama si discuterà e voterà la mozione individuale di sfiducia al ministro dello sport, Luca Lotti, per i fatti processuali emersi nelle indagini sugli appalti di Consip. Il voto, con o senza la presenza di FI e Mdp, appare senz’altro scontato; in quanto la maggioranza al Senato conta, tra Pd e forze genericamente di centro, su 199/320 voti a favore, a cui potrebbe anche aggiungersi il voto dei 42 senatori di FI e infine dei 14 di Mdp. La mozione, pretesa a gran voce dal M5stelle, costituisce quindi il primo banco di prova – o un nuovo piatto d’argento servito dai pentastellati – per una nuova maggioranza di governo all’indomani dell’elezioni politiche del febbraio 2018.

Altri saranno fino ad allora gli appuntamenti politici – che segneranno per così dire il temporaneo presente e il futuro del governo che dovrà seguire -, come, tanto per citarne solo altri che da tempo già s’intravedono: la manovra correttiva dell’attuale governo di circa 3,5 miliardi, probabilmente dopo la data delle primarie citate del 30 aprile, e soprattutto la manovra di stabilità annuale in autunno, probabilmente dopo la data dell’altrettanto citato congresso.

Così è; e, mi sia concesso in forma d’ipotesi, così sembra anche in relazione all’opinione manifestata ieri dall’ex premier Enrico Letta, il quale sul voto di sfiducia al ministro Lotti ha dichiarato: “non userò mai nei confronti di Renzi il comportamento che lui ha usato con me”. Only time will tell. Questo e tutto il resto.

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