TREZZA: tra responsabilità e risarcimento

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Ho già trattato, anche nelle ultime settimane, il caso dell’infortunio mortale sul lavoro (morte bianca) del malcapitato Lino Trezza, autista alle dipendenze della Coop. Lavoratori del Porto (CULP).

Trezza morì il 22 novembre 2016 mentre era alla guida di un trattore portuale (il tug master) e trasportava a bordo di una motonave un carico di container. Un caso che all’epoca sconvolse l’opinione pubblica sia per l’età giovanissima del lavoratore, sia per le incomprensibili cause e circostanze in cui si verificò il drammatico infortunio mortale; ed anche perché Trezza lasciò a se una giovane vedova ed un bellissimo bambino.

Giovedì 7 febbraio 2019 tutti i personaggi ritenuti, a vario titolo, responsabili diretti e indiretti del grave infortunio sim sono ritrovati (almeno con i loro difensori) dinanzi al gup Giovanna Pacifico del Tribunale di Salerno che ha accolto la richiesta di rinvio, avanzata dai vari collegi difensivi, per consentire alle compagnie assicuratrici di formulare una decorosa proposta di risarcimento alla vedova (anche nella sua specifica veste di “genitrice – tutrice” del figlio minore rimasto orfano di padre) ed ai familiari più stretti aventi diritto. Se ne riparlerà nel prossimo mese di aprile.

L’udienza preliminare è incardinata su precisa richiesta del pm Roberto Penna che a maggio del 2018 ha richiesto il rinvio a giudizio per i seguenti presunti colpevoli: Antonio Autuori, quale presidente della cooperativa unica lavoratori del porto e quindi datore di lavoro della vittima; Agostino Gallozzi, quale presidente del Cda della Salerno container terminal spa, insieme ad Ermanno Freda quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione; ma anche nei confronti di Gioacchino Turdo, quale comandante della motonave Repubblica Argentina di proprietà della Grimaldi Deep Sea (chiamata in giudizio per responsabilità societaria); degli ufficiali di coperta Aniello Zabatta (primo ufficiale) e Cristopher Cansancio (terzo ufficiale) e dell’addetto alla collocazione e posizionamento dei container a bordo della motonave, Alessandro Scarfò. Capirete benissimo che più sono gli indagati e più è facile dissolvere le responsabilità che, ripeto, nei casi di infortuni sul lavoro sono quasi sempre di carattere oggettivo e raramente soggettivo. Ovviamente la volontà di risarcire non deve mai essere confusa con l’accettazione della responsabilità.

Naturalmente molto corposi i collegi difensivi composti dagli avvocati: Agostino De Caro, Francesco Saverio Lauro, Cesare Fumagalli, Luigi Condoluci, Marco Esposito, Fabio Cadeddu, Giuseppe De Santo. Gli interessi delle parti lese sono rappresentati dai difensori Arnaldo Franco ed Antonia Trezza.

Il fatto

In base alla ricostruzione delle cause e circostanze che portarono al determinismo della morte di Lino Trezza in “occasione e per causa di lavoro dipendente” fatta dal pubblico ministero Roberto Penna sembra che: l’autista della coop Lino Trezza, alla guida di un trattore portuale a cui era agganciato un semirimorchio con un carico di 64 tonnellate, salì a bordo della motonave per dirigersi verso il ponte sottostante dove scaricare la merce e alla fine della discesa impattò con il paraurti contro un container sul quale era poggiato e non regolarmente vincolato un altro container che, a causa dell’urto, fece accartocciare la cabina del trattore le cui lamiere lacerarono il sistema vascolare della coscia sinistra dell’operaio che morì a causa dell’emorragia.

Quando si parla di infortunio sul lavoro bisogna sempre tener presente che un infortunio può accadere per mancanza o non adeguate misure di sicurezza a cura del datore di lavoro ma anche per quell’imponderabile tasso (minimo o alto che sia) di distrazione che accompagna comunque un lavoratore nel corso della sua lunga esperienza professionale e industriale. Anzi le statistiche nazionali ed internazionali alzano l’asticella della distrazione in connessione diretta con la crescita del lavoratore sul piano dell’esperienza e della professionalità.

Ci sono due altri elementi che vanno tenuti sempre d’occhio, riguardano il datore di lavoro e la macchina operatrice. Il datore di lavoro, salvo casi di palese elusione di tutte le regole che formano la corretta esecuzione del lavoro, non cerca mai volontariamente l’infortunio per il suo dipendente e, quindi, nella quasi totalità dei casi dobbiamo parlare di “omicidio colposo”; anche la grossa spinta in avanti del giudice Guariniello di Torino nella vicenda della Tyssen Group non ha sortito in fin dei conti il riconoscimento dell’omicidio volontario per gli infortuni sul lavoro. La macchina operatrice, nella sua quasi totalità, viene costruita con l’obiettivo della resa produttiva e, sebbene dotata di tanti presidi di prevenzione, risulta sempre rischiosa per l’utilizzo da parte dell’operatore.

Su questo terreno molto scivoloso è chiamato a muoversi il giudice (anche nel caso della dolorosa vicenda Trezza) che dovrà sempre fare salti mortali per non impantanarsi nelle lacunose negligenze legislative che gli attenti collegi difensivi gli metteranno sul suo cammino.

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