La Sinistra, i Cinquestelle e l’Araba fenice

Angelo Giubileo

(Avvocato – Scrittore)

Quello che è accaduto in Italia con l’esperienza dei Cinquestelle credo che, in qualche modo, certifichi comunque la vena creatrice, dato che la politica è un’arte e quindi creazione, degli italiani. Senza divagare, ma aprendo il discorso a una brevissima parentesi, potremmo anche citare, sempre in qualche modo, un altro esempio: la prima fase del Fascismo, che, nella fase antecedente all’entrata in guerra, trovò importanti estimatori sia aldilà del Tevere (Vaticano) che Oltreoceano (Stati Uniti).

Il Movimento Cinquestelle ha così rappresentato per gli italiani la via politica alla cosiddetta “decrescita felice” teorizzata da molti intellettuali, in particolare di Sinistra, per primo Ivan Illich, già alla fine degli anni Settanta del secolo scorso. Il tentativo del Movimento è fallito. E quella fine o crisi definitiva del capitalismo, da molti auspicata, soprattutto a sinistra, non si è verificata e non si verificherà.

Un interessantissimo saggio di Raffaele Alberto Ventura, Radical choc, appena uscito per l’Einaudi, chiarisce quale sia il fondamento primario dello Stato e dell’arte della politica, che per noi occidentali nasce simbolicamente nell’Atene del V secolo e.a.; ovvero “controllare l’incertezza delegando sempre maggiori funzioni a una minoranza di individui specializzati che detiene il monopolio dei mezzi di produzione …”. Ciò che – con il passare di due millenni e mezzo e in particolare per quanto attiene al progresso tecnologico dell’ultimo mezzo secolo – ha significato uno sviluppo del capitalismo tale che “Se lo Stato incarna la dimensione della prevenzione, da parte sua il Mercato incarna quella della compensazione” relativa al “rischio” che, subentrato all’incertezza, “fa scivolare tutti i potenziali pericoli nella sfera economica”. Pericoli diventati, attraverso la Modernità del mercantilismo, praticamente “infiniti”. Così come precisa l’Autore.

In pratica, è accaduto che il Capitalismo si sia moltiplicato in tante camere di compensazione, separate ma interconnesse, per cui a dar ragione ai suoi detrattori occorrerebbe che la maggior parte o una gran parte di esse fossero disponibili a diminuire, ciascuna per proprio conto, il relativo peso o misura. Ma, c’è una ragione assolutamente prioritaria perché questo non accade: la gestione interconnessa del rischio, che deriva dalla scelta della politica di controllare l’originaria incertezza naturale alla quale ora si è aggiunta anche l’incertezza artificiale prodotta dall’uomo.

E allora come risolvere la crisi, che pure appare, del Capitalismo?

In vero, il Capitalismo si è imposto almeno nel corso di due millenni e mezzo come tecnica o strumento di controllo razionale – la razionalità è infatti il fondamento, lo strumento tecnico, il metodo che costruisce il sistema e l’ordine politico di cui parla appunto Platone in Il Politico -, sapendo che i fenomeni di crisi non possono essere eliminati perché dovuti sia all’incertezza naturale che ai tendenziali crescenti rischi organizzativi dei diversi sistemi che, come il Leviatano di Hobbes, ricomprende in se stesso. E’ questo ciò che Joseph Schumpeter chiamava “distruzione creatrice” ed è ciò che anticiperà e farà seguito anche alla ripresa dell’intera nostra attività dopo la pandemia. Il Capitalismo è esattamente quell’Araba fenice, che rinasce eternamente dalle proprie ceneri.

In cerca di una prova possibile che quasi non ammetta prova contraria, leggo oggi giovedì 10 dicembre 2020 sul Corriere della sera, in un breve trafiletto a firma di Rita Querzè, che “non è sfuggita al Financial Time l’attività di promozione del Papa” in favore del “Consiglio per il capitalismo inclusivo” formato da società – tra cui Bank of America, Visa e altre – per una capitalizzazione totale, e senz’altro iniziale, di 2 trilioni di dollari. Vi sembrano molti 2mila miliardi di dollari? Vi dico soltanto che il 19 agosto scorso l’Apple ha superato questo importo di capitalizzazione di mercato raddoppiandolo in soli due anni.

 

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