Referendum sul Decreto Severino. Garantismo V/s Giustizialismo

 

scritto da Luigi Gravagnuolo il 13 Marzo 2022 per Gente e Territorio

 

Il QUESITO

“Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’art. 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190)?”

IL COMMENTO

Non c’è dubbio che dei cinque quesiti referendari questo sia il più semplice da capire. Non si chiede infatti di abrogare delle righe di un comma, ma un’intera disposizione normativa. Parliamo del Decreto Severino, attuativo della Legge 190/12, alias Legge Severino, varata nell’inverno di dieci anni fa per dissuadere i politici dal commettere con leggerezza reati dolosi a danno dello Stato, ergo dei cittadini. In base ad essa un politico condannato per reati contro la Pubblica Amministrazione con pena definitiva pari o superiore a due anni decade automaticamente dalla carica ricoperta o, se non ricopre ancora alcun ruolo istituzionale, è interdetto dalla possibilità di candidarsi e, se la condanna interviene ad elezioni in corso, diventa ipso facto ineleggibile.

La norma ha efficacia retroattiva, cioè riguarda anche coloro che abbiano commesso il reato per il quale sono condannati prima della promulgazione della suddetta legge. Il politico condannato decade ad nutum, appena la sentenza viene notificata all’istituzione in cui sta esercitando il suo mandato. La norma vale per tutti i livelli istituzionali, dal Governo ai Comuni, ma mentre per le cariche nazionali le sue misure scattano solo a seguito di una condanna definitiva, per gli enti territoriali diventano efficaci già dopo la sentenza di primo grado, sotto forma di sospensione dalla carica per la durata di diciotto mesi.

La filosofia ispiratrice di questa legge è riassumibile plasticamente nelle parole del procuratore milanese Piercamillo Davigo: “Affideresti la tua bambina al tuo vicino di casa, non ancora condannato per pedofilia, ma già condannato in primo grado per questo reato?” Prudenza e buon senso dicono che certo che no, quale genitore potrebbe essere così sciagurato? Fuor di metafora, la legge ha una ratio prudenziale, impedire che gli interessi e la vita dei cittadini vengano affidati ad un politico indiziato di gravi reati contro la P.A., pur se la sua colpevolezza non sia stata ancora accertata in via definitiva.

Sembrerebbe una misura sensata, eppure presenta molte criticità, finanche di natura costituzionale: la retroattività, la negazione del principio della presunzione di innocenza, una palese violazione del principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l’automatismo della sanzione e la sua non gradazione con riferimento ai casi concreti. Per dire, ad esempio, della diseguaglianza di fronte alla legge, perché per i politici dei ranghi più alti le misure interdittive scattano solo dopo la sentenza definitiva, mentre per quelli impegnati nelle istituzioni locali vengono attivate già dopo il primo grado?

PRO

Chi voterà Sì lo farà in primo luogo per manifestare il proprio dissenso verso alcune modalità di esercizio del potere giudiziario, che a suo avviso rischiano di compromettere l’equilibrio costituzionale tra i poteri sbilanciandolo a favore del giudiziario. Un magistrato infatti può perseguire un politico in modo vessatorio e, pur senza una sentenza definitiva, di fatto eliminarlo dal gioco politico. Soprattutto, i fautori del Sì censurano l’automatismo delle misure interdittive previste dalla legge, preferendo viceversa restituire la decisione sulla loro eventuale applicazione alla discrezione del giudice che valuta caso per caso, come accadeva prima della Severino. A favore del Sì pesano le numerose assoluzioni di politici messi alla gogna alle prime battute dell’iter giudiziario e poi risultati innocenti. Nel 2017 – ultimo anno su cui ho trovato dati statistici – furono avviati 6.500 procedimenti giudiziari per ‘abuso di ufficio’, di questi 1.700 hanno portato alla condanna in primo grado con conseguente sospensione dalla carica dell’imputato, ma solo 200 si sono infine conclusi con condanne definitive.

La sospensione cautelare dalla carica poi non è graduata, violando il principio giuridico della individualizzazione della pena sulla base dell’analisi del caso concreto. Un pubblico amministratore condannato in primo grado per abuso di ufficio riceve la sospensione della stessa durata di uno che, viceversa, sia stato condannato in primo grado per peculato o per collusioni con la criminalità. La stessa durata della sospensione, diciotto mesi, in realtà non sarebbe realmente tale, in quanto avrebbe effetti ben più duraturi, incrinando in profondità il rapporto fiduciario tra l’eletto e i suoi elettori, col coinvolgimento finanche del partito di appartenenza del sospetto reo.

Infine, i referendari ricordano come ad avallare la fondatezza delle loro preoccupazioni ci siano le iniziative legislative, già in essere e sostenute da larghissima maggioranza parlamentare, volte a depenalizzare l’abuso di ufficio ed a circoscrivere l’ambito di applicazione della Severino onde evitare alcuni suoi effetti palesemente sproporzionati.

CONTRO

Chi voterà No – e quindi vorrà mantenere nel nostro corpo legislativo il Dlgs 235/12 così com’è – lo farà innanzitutto sulla base di una sfiducia di fondo nella nostra classe politica, accomunata tutta nel concetto di casta del malaffare. Per lui la Severino è una giusta misura difensiva dei cittadini dalle malefatte dei politici e una opportuna deterrenza anticorruzione.

Aggiungono i fautori del No, a conferma del carattere democratico della norma, volta a salvaguardare le istituzioni dal rischio di inquinamento, che la Corte Costituzionale più volte – con pronunce 236/2015, 276/2016 e 35/2021 – ha giudicato infondati i rilievi di presunta incostituzionalità della Severino e che In tal senso si è espressa anche la Corte Europea dei Diritti Umani (sent. n. 236 del 19/11/2015).

In chiusura, in questo referendum sono in gioco valori contrapposti su cui da tangentopoli in poi si divide l’opinione pubblica, garantismo da un lato, giustizialismo dall’altro.

A ben vedere tutti i referendum si riassumono in questo, che presumibilmente sarà anche l’unico referendum su cui si svilupperà il confronto/scontro referendario, ammesso che alla fine i referendum si terranno. Al confronto gli altri quesiti sono poca roba.

 

 

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