PER ISCHIA POSSIAMO PIANGERE, PER SALERNO DOBBIAMO RIFLETTERE

 

 

da Alfonso Malangone

(Ali per la Città)

 

Gentile Direttore,

adesso, per le vittime di Ischia, possiamo solo piangere. Soprattutto per quei poveri bambini, davvero innocenti, passati dal sonno alla morte. Dopo, però, qualcuno dovrà valutare le responsabilità di tutti i possibili colpevoli. E, se davvero alcuni hanno osato sfidare la natura, dovrà condannarli due volte: una prima, per dare giustizia a chi ha perso la vita; una seconda, per aver fatto prevalere interessi personali a danno della Comunità. Si può ben immaginare, però, che questo sarà abbastanza difficile.

Tanti e tanti disastri, avvenuti nel nostro Paese, sono rimasti senza sentenze esemplari, quando qualcuno è stato punito. Siamo la terra dei cavilli legali, di chi dimentica di fare una notifica per far valere la prescrizione del reato o di chi giudica con mirati ‘distinguo’. E, poi, se qualcuno pure paga, sono sempre i ‘povericristi’ a farlo, non quelli che hanno predisposto i piani edilizi urbani o hanno favorito le costruzioni con colpevoli acquiescenze. In verità, l’abusivismo non è mai privo di complicità e a nessun tecnico o amministratore dovrebbe essere consentito di discolparsi sostenendo di non avere avuto gli strumenti per controllare il territorio. Adesso, tanti si ‘vestono di bianco’ per coprire il nero delle loro azioni, mostrandosi come nuovi angeli protettori dell’ambiente, della salute e della vita dopo aver fatto costruire sull’acqua e sulle frane. Potranno pure uscire indenni dal giudizio terreno, ma porteranno a vita il peso interiore del loro fallimento e, chissà, il terrore del Giudizio Superiore, per chi crede in esso.

Oggi, la disgrazia di Ischia, ma anche quelle precedenti di Ancona, Catania, Genova o Sarno, debbono indurre a riflettere su casa nostra per evitare che analoghi fenomeni possano accadere. Anche perché, l’esperienza del 1954 è ancora viva nelle menti e negli occhi di tanti cittadini che si svegliarono, al mattino, vedendo camion infangati carichi di vittime mentre altri disperati vagavano nella devastazione dei luoghi storici della Città. Oggi, sappiamo tutti che buona parte dell’area di Sala Abbagnano è classificata R3, elevato, per rischio frana e, intanto, la collina è stata cementificata costruendo anche dove un tempo si scaricava la spazzatura. Sappiamo tutti che l’Olivieri è area R3 e R4. elevato e molto elevato, e, intanto, proprio in quel costone si sta scavando da dieci anni per realizzare le gallerie di accesso al porto mentre il Comune, di contro, non costruisce il parcheggio per il Conservatorio, a San Leo, proprio perché area a rischio (fonte: Comune). Davvero incredibile! Sappiamo tutti, ancora, che i fianchi di via Moscato e via Frà Generoso sono egualmente classificati R3-R4 e, intanto, lungo quei costoni sono previsti fino a 1,2Km di strade di svincolo per le gallerie, le autostrade e il Cernicchiara, da collegare con un ponte e con rotatorie anche sospese, salvo errore (fonte: laCittà). Tutte le criticità del territorio sono documentate dall’Ispra nel rapporto sul dissesto idrogeologico e nelle relative mappe sulla popolazione a rischio (fonte: Ispra). Sappiamo tutti, infine, che il Fusandola è il piccolo corso d’acqua che provocò il disastro del 1954 e, intanto, ne è stato deviato il corso per far largo alla cementificazione della Spiaggia di Santa Teresa con una manomissione non consentita e pure condannata da un Giudice con una sentenza di ripristino dei luoghi (fonte: Cronache). In definitiva, sappiamo tutti che si sono messe in atto, o si stanno compiendo, aggressioni formidabili agli equilibri di casa nostra, ma nessuno ne discute. forse perché tutti affascinati dalla ‘prospettiva straordinaria’ di domare la natura o convinti che ogni cosa si possa fare con il cemento e che sia lontano da noi il pericolo di contare i morti. Chissà se pensavano le stesse cose, a Ischia, fino a qualche giorno addietro.

In particolare, non può passare sotto silenzio che nell’area interessata dal progetto di Porta Ovest sono avvenuti episodi inquietanti, sui quali sarebbe necessario riflettere, a partire dai rinforzi fatti alle fondazioni del viadotto Olivieri dell’autostrada per 1,5milioni di euro (fonte: l’Ora), dalle ripetute cadute di massi su via Croce, ultima nel 2021 con successiva perdita di acqua di falda e relativo cedimento della sede stradale (fonte: l’Ora), per arrivare alla recente evacuazione di un palazzo di tre piani a via Ligea per fessurazioni e crepe (fonte: rainews) con analoghi fenomeni in molti altri fabbricati o in muri di contenimento della stessa via Ligea, di via Croce e del rione Canalone (fonte: cittadini). Responsabilità immani per manomissioni di un territorio del quale sono ben note le criticità attribuibili alla sua natura geologica che pure spinsero l’arch. Pica Ciamarra a progettare l’ingresso da Ovest con passaggi all’aperto nelle zone a maggior rischio idrogeologico e, comunque, con scavi poco profondi (fonte: progetto). In sede di appalto, quella previsione venne stravolta, in difformità dal capitolato, che ne disponeva il puntuale rispetto (art. 52 e 54), con l’effetto di penetrare in profondità nel costone, incuneandosi al di sotto del tracciato autostradale, e di interferire con le falde acquifere. Oggi i lavori sarebbero monitorati da sensori su ponti e viadotti (fonte: Min.Interno), ma nessuno può dire quali esiti possano generarsi dalla ‘rottura’ della coesione tra “i ciottoli calcarei, le sabbie di origine marina, la cenere e la pietra pomice” (fonte: P.Ciamarra) che sono componenti fondamentali di quel costone, estendendosi fino al Cernicchiara dove la cava ben dimostra che la montagna non è di granito. Sul punto, la relazione predisposta dall’architetto è inequivoca: “Le tipologie di eventi d’instabilità…“endemiche” dell’area sono almeno tre: fenomeni di erosione delle pendici montuose con relativo sovralluvionamento degli alvei…in occasione di eventi meteorici intensi; frane da crollo e/o ribaltamento in corrispondenza dei tratti più acclivi…; frane da scorrimento-colata a spese della coltre detritico-piroclastica presente lungo i versanti carbonatici” (pagg. 59-60). Cioè, a Ischia è colata acqua mista a cenere e lapilli di origine vulcanica, mentre da noi l’acqua, anche di falda, può far colare cenere, lapilli, sabbia e pietra calcarea a faglie.

Oggi, possiamo piangere per il disastro di Ischia, di cui non conosciamo le vere origini. Non possiamo permetterci di piangere, domani, per la nostra Città, ben sapendo cosa si sta facendo. E, per il Fusandola, c’è pure una sentenza di condanna al ripristino dei luoghi.

Alfonso Malangone – Ali per la Città – 28/11/2022

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *