Caimangate: dalla piramide di Cheope al Crescent di De Luca

 

 Aldo Bianchini

 SALERNO – In una delle precedenti puntate della serie “Caimangate” ho scritto che avrei rivelato come sono nate le grandi opere deluchiane e, soprattutto, come è nato il mitico Crescent. Vincenzo De Luca ama “la grandeur”, questo lo sanno anche le pietre ed è storia sotto gli occhi di tutti. Un giorno, motu proprio, decise di imitare il grande Cheope (faranone d’Egitto della IV Dinastia) che aveva edificato la “grande piramide di Giza” che per ben 3800 anni é stata la piú grande opera mai realizzata dall’uomo. Un giorno del 2560 a.C. Il faraone chiamó a se Hemiunu (il piú grande architetto reale all’epoca sulla piazza) e gli commissionó la storica piramide alta 146 metri e larga 230. Non contento gli impose anche di realizzare la “camera del Re” dove seppellire a tempo debito le sue spoglie. Bisognó aspettare 2500 anni prima che il grande studioso “Erodoto” scoprisse, attraverso le confessioni dei sacerdoti ancora di guardia al tempio che Cheope prima di dare l’incarico a Hemiunu volle vedere un voluminoso catalogo delle opere fino a quel punto realizzate dall’architetto del Re; Erodoto scrive che il faraone con il dito indice indicó quello che voleva. A quel punto l’architetto riveló al faraone che non tutto quello che era rappresentato sul catalogo poteva essere facilmente realizzato. Cheope si inalberó fino al punto da sibilare al suo architetto: “O cosí o tu non lavori piú per me; dimmi quello che vuoi e ti sará dato“. Sembra che sia accaduta un pó la stessa cosa con Vincenzo De Luca che, avendo il desiderio di realizzare opere incancellabili ed a perenne suo ricordo per le future generazioni, un giorno di qualche anno fa chiamó a se alcuni grandi architetti per affidare loro alcune opere importanti. Le poche indiscrezioni trapelate dal palazzo lasciano spazio anche alle supposizioni, ma c’è piú di qualcuno che è disposto a giurare che andó proprio cosí. Presenti, nella sala giunta, c’erano un po tutti: Tobia Scarpa, Zaha Adid, Santiago Calatrava, Jean Nouvel, David Chipperfield, Ben Jakober, Yannich Vu e il mitico Ricardo Bofil. Senza lasciare spazio ad alcuno e nessun margine di trattativa assegnó rispettivamente (secondo l’ordine dei nomi sopracitati) il palazzetto dello sport, la stazione marittima, il porto marina d’arechi, l’ex pastificio Amato, la cittadella giudiziaria ed agli ultimi due la realizzazione del “faro della giustizia”. Si mosse dal suo posto Bofil che sembrava essere rimasto all’asciutto, ma De Luca lo bloccó: “Fermo tu dove vai ?“. Tutti in silenzio, cosa stava per accadere. Il sindaco chiese a Bofil se avesse un catalogo delle sue opere, pronto l’architetto glielo porse. Il sindaco sfoglio e poco dopo puntò il suo dito indice prima sul Crescent e poi sulla Vela di Dubai. Il catalano subito precisó che per la Vela non ci sarebbero stati problemi perché era una sua recente realizzazione, ma per il Crescent avrebbe avuto dei problemi perchè era una struttura che egli stesso aveva abbandonato progettualmente da molti anni. Ed ecco la frase storica, simile a quella di Cheope e certamente superiore a quella di Pericle verso Fidia per la realizzazione del Partenone: “Quí comando e si fa quello che dico io, altrimenti non si lavora piú; dimmi quello che vuoi e ti sarà dato“, Sempre tutti in silenzio di fronte ai desiderata del capo che chiese, ottenendo, anche la mitica “camera del re” dove un giorno lontano depositare le sue ceneri. Saranno vere le indiscrezioni di palazzo ? chissá; nulla esclude, peró, che il Crescent e la Vela potrebbero essere nate proprio con un dito medio puntato su un catalogo. Alla prossima.

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