GIUSTIZIA: vanno in pensione le toghe del ‘68

 

 

Aldo Bianchini

SALERNO – D’accordo con l’avvocato penalista Giovanni Falci, del foro di Salerno, ho ripreso un suo articolo di approfondimento su un tema importante della giustizia, e non solo salernitana. Due magistrati di vaglia e di lungo corso, Michelangelo Russo e Claudio Tringali, nei primi mesi di questo 2017 andranno in pensione, cioè appenderanno al chiodo la toga che per una quarantina di anni hanno indossato sicuramente con onore e con grande professionalità.  L’articolo di Falci è già stato pubblicato in anteprima dal quotidiano “La Città” e nell’ottica di una linea di pensiero mai contraddittoria non ho esitato ad offrire al noto penalista salernitano anche questa nostra vetrina, anche per avere la possibilità di approfondire, a mio modo, alcuni aspetti della lunga carriera dei due magistrati che Giovanni Falci (autore dell’articolo) e Barbara Cangiano (redattrice de “La Città”) hanno trascurato perché probabilmente, almeno secondo il loro punto di vista, non meritevoli di una precisa e puntuale ricostruzione storica.  Premetto, ad ogni buon conto, di condividere pienamente quanto l’avvocato e la giornalista hanno scritto, riempendo ben due intere pagine, sulla vita professionale e sulle motivazioni (fuoriuscite dagli anni delle contestazioni giovanili del ’68) che hanno spinto fortemente il pensiero e l’opera dei predetti magistrati. Il mio approfondimento partirà, quindi, da quanto narrato dai due articolisti per affondare le radici in quello che è stato il fenomeno della cosiddetta “magistratura rossa” e di quanto questo fenomeno ha inciso sul normale equilibrio della vita politica e di potere del nostro Paese. Se non si fa l’analisi del fenomeno tenendo ben presente anche questi aspetti non si riproduce la vera storia che una sessantina di anni dopo la seconda rivoluzione industriale ha portato il Paese nel baratro di tangentopoli, dal quale le istituzioni, la politica e gli stessi magistrati non sembrano ancora usciti. Vi dò, quindi, appuntamento al prossimo approfondimento e passo alla pubblicazione integrale dell’articolo dell’avvocato Giovanni Falci.

“”Il contemporaneo pensionamento di un certo numero di magistrati di Salerno e quindi, in definitiva, l’uscita di scena di un gruppo di professionisti della giustizia che hanno operato negli ultimi 40 anni della nostra Repubblica, apre lo spunto ad una riflessione su quel ruolo di “supplenza” della magistratura nei confronti del potere politico di cui si parla tanto.

Questi Giudici (non a caso li scrivo con la G maiuscola, e sicuramente non per captatio benevolentiae, visto che da domani non avrò bisogno di loro benevolentiae) hanno in comune il fatto di essere tutti figli del 68.

Essi hanno rappresentato quel rapporto tra politica e magistratura alla luce della rivoluzione che avvenne in quegli anni. Essi non hanno rappresentato certamente una novità nel sistema perché il complesso rapporto tra magistratura e politica non è una questione che si è posta solo con loro, è una questione antica, dall’Unità di Italia in poi. Con loro è solo cambiata la questione nel clima del rinnovamento che ha caratterizzato quel periodo storico della loro e mia formazione culturale.

La magistratura italiana è stata storicamente al servizio delle classi dirigenti. Non parlo solo dell’ottocento, anche nel novecento. Basti pensare l’attività della magistratura e le sue sentenze che sono sempre state volte contro il movimento popolare, contro il movimento contadino. Si tratta di storia molto pesante.

Dopo la Liberazione con l’approvazione della Costituzione le cose non sono cambiate molto.

Il corpo della magistratura è rimasto sostanzialmente lo stesso.

I magistrati sono stati storicamente sempre dalla parte della classe dirigente: anche dal punto di vista sociale erano quasi tutti figli di benestanti, di grandi professionisti. Non c’erano, per così dire, magistrati figli del popolo. C’era da questo punto di vista una visione di classe.

Se guardiamo alle sentenze nei confronti del movimento popolare emesse dopo la liberazione c’è da rabbrividire. E anche riguardo alla mafia le cose non erano diverse (non per connivenze sia chiaro). Per i 36 dirigenti sindacali uccisi in Sicilia non vi fu una sola sentenza di condanna.

Ad un certo punto, però, la situazione è cambiata proprio con questa generazione di magistrati che prossimamente andrà in pensione.

E’ cambiata soprattutto con la nascita di “Magistratura Democratica”. Un gruppo di giovani magistrati che si sono posti il problema di costituire un’associazione con l’obiettivo, in definitiva, di rovesciare la tendenza.

Con il 68 c’è stato un mutamento sociale della magistratura dovuto a processi culturali molto profondi. In Sicilia e da noi sono arrivati magistrati che hanno iniziato a emettere sentenze contro la Mafia e la Camorra. Si è giunti, grazie a questa generazione ad una svolta, dal “quieto vivere” di andreottiana memoria, allo scontro frontale.

Questo è stato sicuramente un fatto positivo e importante nella vita del nostro paese.

Ovviamente la svolta e la scelta ha destato molto clamore perché intere “classi” sociali hanno visto svanire quei “privilegi” che li avevano sempre caratterizzati.

Ma il clamore e lo sgomento per le azioni di questi magistrati si è determinato perché i “colpiti” erano i “potenti” e non i “deboli”; i colpiti erano quelli che avevano la possibilità di protestare sulla stampa e sui media, non erano quelli del movimento popolare.

Certo alcuni hanno commesso errori anche clamorosi nella nostra città, hanno segnato la vita di persone innocenti travolti dalle loro indagini risultate infondate, ma hanno anche “pagato” oltre il dovuto in termini di reputazione.

Tutti ancora oggi dicono che Michelangelo Russo arrestò Giordano e Salsano due sindaci di Salerno innocenti. Nessuno dice che Michelangelo Russo ha solo richiesto quell’arresto e che quei sindaci furono arrestati dal Giudice Vittorio Perillo che ha concluso la sua carriera al Tribunale per i Minori di Salerno, Tribunale di approdo di molti Giudici che hanno incrociato Michelangelo Russo nella loro carriera professionale.

Proprio così, è strano il destino dei Giudici: c’è chi dopo errori clamorosi viene “promosso”(il dott. Sansone che condannò in primo grado Tortora), e chi “paga” oltre misura un errore anche se clamoroso come quello del dott. Russo.

Michelangelo Russo che per la fama di quell’errore è rimasto travolto anche quando non aveva sbagliato a vederci bene (non c’era niente) in indagini che altri suoi colleghi “volevano” proseguire “ad ogni costo” (Sea Park).

Io sentirò la mancanza di questi giudici e non perché sono anche io quasi in età di pensione, ma perché ho veramente paura di una restaurazione anticostituzionale che si coglie a piene mani nei commenti degli opinionisti pret a porter delle sentenze Tyssen o Eternit e, di contro, nei silenzi sulle assoluzioni scomode (De Luca).  La crisi della giustizia è tutta qui.

Ciao dott.i Russo e Tringali””.

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