Brexit e non solo

Di Angelo Giubileo

ROMA – I trattati dell’Unione Europea non prevedono l’uscita di ogni singolo stato-nazione dall’organizzazione sovraordinata di tipo “comunitario” alla quale hanno deciso di appartenere per volontà e quindi scelta propria. Si tratta dunque dell’applicazione estensiva di un meccanismo di consenso “democratico”; dagli individui – in quanto cittadini, e quindi “cives” – agli stati o comunità nazionali di rispettiva appartenenza; nell’ambito di un sistema che, com’è evidente ma innanzitutto “naturale” (è bene precisarlo oltre che sottolinearlo, come a breve vedremo), tende all’espansione.

E quindi, con la Brexit e non solo – date le ipotesi che iniziano a circolare di Eurexit, ovvero l’uscita del sistema europeo dalle catene di comando globali, con l’avanzata imperante di nuovi sistemi quali soprattutto la Cina e altri come l’India, e viceversa il consolidamento di vecchi sistemi quali gli Usa e altri stati-nazione che ruotano intorno all’asse della Russia del “sempiterno” Putin – siamo di nuovo qui a chiederci cosa fare; ma, per parte nostra, piuttosto a chiederci: cosa accade?

In un’interessante intervista pubblicata da L’Espresso a David Goodhart, influente intellettuale britannico autore del più recente saggio dal lungo titolo The Road to Somewhere: The Populist Revolt and the Future of Politics, l’Autore dice di dividere la popolazione inglese “in tre grandi gruppi”, a cui dà il nome di “Ovunque, i Solo Qui e le Genti di mezzo”. Secondo la sua opinione: “I Solo Qui sono persone più radicate nei luoghi di provenienza, che si muovono poco e hanno tendenze più comunitarie, le cui identità io definisco ‘ascritte’, cioè più statiche e meno adattabili”.

Nel sintetico giudizio appena riportato, è evidente che l’aggettivo “comunitario” ha qui a che fare con la partecipazione dell’individuo a un gruppo identitario, quello dello stato-nazione, di cui avverte di sentirsi maggiormente parte; e quindi parte di una comunità più ristretta, ma alla quale evidentemente ritiene di essere più “adattabile”.

Ed è proprio qui il nodo che, com’è “naturale”, occorre sciogliere. E non dobbiamo affatto sorprenderci, se la risposta che sempre cerchiamo è intessuta nella storia di milioni di anni addietro. Ha scritto Jim Baggott in Origini (2015), appena tradotto in Italia da Adelphi (2017), che “la creazione di comunità forti, con saldi legami sociali, è una strategia di eccezionale efficacia”. Essa prende avvio con l’era del Pleistocene e si rafforza con la comparsa, altrettanto casuale, delle prime forme di Homo habilis, circa 2 milioni e mezzo di anni fa.

Concludendo, molto brevemente, possiamo dire sia che l’“uscita” (exit) non è di per sé una soluzione valida ed efficace sia che ciò che pur sempre necessita – nel senso più pieno del termine – è la creazione o scoperta di un meccanismo, altrettanto valido ed efficace, “adattativo” alla natura e quindi all’ambiente in cui ogni organismo vive o decide di appartenere, e in definitiva stanziarsi.

 

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