God bless America

Angelo Giubileo

(scrittore)

SALERNO – La crisi da Covid-19 viaggia velocissima, tanto che la politica fatica o non riesce a stargli al passo. In Italia, è questo che è accaduto e sta accadendo. Infatti, il primo decreto-legge del Governo è giunto in ritardo, e cioè 23 giorni dopo la dichiarazione del Consiglio dei Ministri che ha deliberato lo “stato di emergenza” nazionale. Per tacita ammissione, le forze politiche al governo hanno quindi inteso rivolgersi agli scienziati, così che anche gli ulteriori provvedimenti in materia sanitaria sono stati giustificati con il parere dei medici e di altri tecnici più o meno esperti.

La crisi sanitaria italiana si è allargata a macchia d’olio in Europa e nel mondo. Oggi, in piena emergenza sanitaria, la crisi ha assunto anche una forte valenza economico-finanziaria, che mette addirittura a repentaglio la vita futura dell’Unione Europea. La riunione del Consiglio Europeo del 26 e 27 u.s. ha infatti reso definitivamente palese la frattura già esistente tra la strategia di “parità di bilancio” perseguita dai paesi, cosiddetti virtuosi, del nord e la strategia di “ampliamento della spesa” viceversa dei paesi del sud dell’Europa.

Questa crisi – certamente più grave di quella vissuta dall’area euro a seguito della crisi statunitense dei cosiddetti mutui subprime occorsa nel 2007 – certifica senz’alcun dubbio che, da un punto di vista economico-finanziario, la crisi dell’Italia e di alcuni dei paesi del sud dell’Europa è una crisi di debito pubblico, che si trascina ormai da tempo. Nel 2008 fu coniato l’acronimo PIIGS (dall’inglese pig ovvero maiale), che stava a indicare lo stato di quei paesi (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) che in Europa si riteneva continuassero a vivere oltre le proprie possibilità a dispetto delle comuni regole di bilancio fissate dall’Unione Europea.

Nel frattempo, da allora a oggi, tranne il caso della Grecia – a consuntivo, forse peraltro malgestito – poco o nulla è stato fatto. Tutto ciò che è stato fatto è comunque riconducibile a un’azione massiccia di quantitative easing promossa dall’ex governatore della BCE, Mario Draghi. Il cui nome torna oggi di moda, in Italia, al fine di gestire la crisi e per ricoprire eventualmente la carica di nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche perché, al momento, nessuno può prevedere l’impatto economico-finanziario della crisi odierna, a valere per i prossimi mesi e anni. Quel che però sappiamo, già ora, è che, dal secondo dopoguerra del secolo scorso, si tratta di una crisi mondiale senza precedenti.

Dal 1982 – e poi rapidamente a seguito della fine della politica dei due blocchi statunitense (NATO) e sovietico (PATTO DI VARSAVIA) – a oggi: l’economia cinese è cresciuta da una cifra di circa 450 miliardi a 27.000 miliardi di dollari statunitensi e quindi superiore alla crescita della stessa economia USA oggi pari a circa 22.000 miliardi della stessa moneta. Nel frattempo, all’interno dell’Ue, abbiamo assistito a una crescita disomogenea, che ha rafforzato l’economia dei paesi virtuosi e nel contempo non ha sanato i difetti e quindi ha indebolito maggiormente l’economia dei paesi a più alto debito pubblico.

Ora, la domanda è: cosa fare se l’Unione Europea dovesse dimostrarsi sorda alle richieste dei paesi membri con maggiori difficoltà e maggiore debito pubblico di uscita dalla crisi?

La risposta non è difficile. Infatti, dopo “questa” Europa, sarebbe stupido inseguire altre illusioni o sirene, come la Cina, sarebbe un errore gravissimo. Questo sì, mortale. Per la nostra economia e soprattutto per il nostro modo di vivere a cui siamo bene abituati. E allora, dice bene Maurizio Casasco, presidente di Confapi, confederazione della piccola e media industria, secondo cui al nostro paese non resterebbe che “una carta da giocare: recuperare il rapporto con gli Stati Uniti a cui le risorse non mancano (…) E poi c’è la casa comune della Nato”. Solo così ha davvero senso dire che, se l’Europa non risponde, “faremo da soli”.

 

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