CESARE ROMITI: l’uomo Fiat che fermò il pool mani pulite di Milano

Aldo Bianchini

Cesare Romiti, il manager della rinascita industriale della Fiat e braccio destro dell'avvocato Gianni Agnelli

SALERNO – Cesare Romiti si è spento il 18 agosto 2020 all’età di 97 anni. La sua storia di manager ha toccato il culmine nei 25 anni trascorsi alla guida dell’impero FIAT (dal 1974 al 1998).

Entrò in Fiat nel 1974, alla vigilia della stagione del terrorismo che proprio a Torino ebbe il suo epicentro con gli attacchi, le gambizzazioni, gli omicidi dei dirigenti d’azienda.

Entrò in Fiat quando nei reparti c’erano riffe, mercatini, addirittura prostituzione; e c’erano in continuazione cortei violenti, capi aggrediti e presi a bullonate.

Entrò in Fiat e la normalizzò, fino al punto che per gli operai della mitica Mirafiori diventò presto lo “sgiafelaleon”, lo schiaffeggia leoni. Lui e il rivale Vittorio Ghidella (mago dell’auto e uomo d’oro della Fiat) crearono insieme i miti della UNO e della PANDA, le autovetture che risanarono l’immenso pianeta automobilistico italiano della Fiat.

Quando andò via dalla Fiat disse semplicemente: “Ho lavorato tanto ma non ho mai conosciuto i miei figli e i miei nipoti”. Col tempo si è scoperto che l’autonomia di Romiti era immensa, e che da solo aveva portato a segno affari molto vantaggiosi per la Fiat senza che Agnelli se ne rendesse conto, dirottando molti investimenti in altri settori che arricchirono la famiglia Agnelli.

Con l’avvocato Gianni Agnelli s                                       i dava, in privato e in pubblico, il “lei”; tra i due non ci fu mai un grande amore, erano uniti soltanto nell’interesse della grande azienda ed entrambi rispettavano immensamente il re della finanza Enrico Cuccia. Un’altra frase storica Romiti la pronunciò quando l’avvocato annunciò la sua uscita dalla Fiat: “Siamo una coppia. Insieme abbiamo lavorato, insieme ce ne andiamo”. Se ne andò, invece, tre anni dopo. E subito dopo rifiutò le offerte di lavoro della Zanussi e di Silvio Berlusconi (suo acerrimo nemico).

E se Cesare Romiti era tutto questo, per me è stato un uomo che è riuscito ad incarnare il “potere assoluto”, quello che tutto può e che non si piega davanti a nessuno; neppure dinanzi al mitico “pool mani pulite” di Milano che nei primi anni ’90 diede il via alla “tangentopoli nazionale” terrorizzando l’intera classe politica nazionale ed arrestando moltissimi personaggi dell’imprenditoria e della finanza.

Il pool dovette, però, arrendersi al cospetto di Cesare Romiti che, da solo, sbarrò le porte della Fiat e non consentì l’ingresso di Antonio Di Pietro, Gerardo D’Ambrosio, Francesco Saverio Borrelli, Ilda Boccassini, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Armando Spataro, Francesco Greco e Tiziana Parenti. “La fece franca”, così ha commentato qualche mese fa il magistrato Piercamillo Davigo dopo la morte di Romiti.

Probabilmente ha ragione Davigo; ma perché la fece franca ?

Cesare Romiti e Gianni Agnelli in una foto d'epoca - Romiti guidò la marcia dei 40mila che segnò la sconfitta del sindacato e l'avvio di nuove relazioni nelle fabbriche. Legatissimo ad Agnelli spostò il baricentro del gruppo dall'industria alla finanza: scelta che ancora fa discutere.

Nel mese di giugno del 1993 i magistrati Di Pietro, Davigo, Colombo e il capo Borrelli ordinarono l’arresto di Cesare Romiti (il gip Italo Ghitti approvò) ed uno squadrone della Guardia di Finanza partì alla volta di Torino per eseguire l’ordine. Da qui le versioni sono diverse; quella giornalistica racconta di un Romiti arrestato e fatto sedere in una macchina che partì per Milano, ma poco dopo l’auto ritornò sui suoi passi depositando il manager davanti ai cancelli di Mirafiori; quella dei magistrati racconta che Romiti avendo saputo dell’imminente arresto (da un avvocato molto vicino a Di Pietro ed originario del Cilento) chiese di essere ascoltato e si presentò in Procura a Milano, nel pomeriggio, con un elenco di tutte le mazzette che la Fiat aveva pagato.

La storia vera, però, ci racconta che l’elenco delle mazzette (se mai fosse stato depositato) non servì a niente perché molto lacunoso e che nessuno ha mai confermato il ripensamento della Guardia di Finanza; in tanti hanno sussurrato che una telefonata dell’avvocato Gianni Agnelli con il capo della Procura milanese Borrelli fu alla base della risoluzione del caso.

Per me, ripeto, Cesare Romiti (sempre assistito dagli avvocati Vittorio Cassiotti di Chiusano e Giandomenico Pisapia) rimane l’uomo che ha incarnato alla perfezione il potere assoluto.

 

 

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