CONSIP: quando il “babbo Renzi” funziona … finiscono a giudizio i carabinieri che indagarono

Aldo Bianchini

I principali protagonisti dell'inchiesta giudiziaria "Consip"

SALERNO – Fino a qualche tempo fa avevamo sempre avuto la certezza che nella vita politica così come in quella quotidiana esistesse il famigerato “nepotismo” a farla da padrone; ma sapevamo anche che il nepotismo si manifestava sotto forma discendente (cioè da padre in figlio, da nonno a nipote, ecc.) ed aveva forza decisiva anche nell’ambito delle inchieste giudiziarie più clamorose del Paese.

Il processo “Consip” ha dimostrato, invece, il contrario; ha dimostrato, cioè, che esiste anche un nepotismo “ascendente”, quello che opera dai figli verso i padri e dai nipoti verso i nonni.

Per rinverdire la cronaca è giusto ricordare che il cosiddetto “processo Consip” è quell’inchiesta giudiziaria che partita da Napoli approdò a Roma perché lì c’è la sede della “centrale di spesa” nazionale strutturata e gestita direttamente dal governo nazionale. Napoli indagava sull’imprenditore Romeo e si trovò di fronte a presunti reati che erano stati consumati a Roma con l’implicazione di personaggi politici ed anche del papà di Matteo Renzi. L’eco pubblica fu clamorosa e per mesi non si parlò d’altro. L’indagine napoletana, avviata e guidata dal pm Henry John Woodcock (della DDA di Napoli), a condurla due ufficiali dei Carabinieri “Giampaolo Scarfato e Alessandro Sessa” i quali sottoscrissero il rapporto conclusivo delle indagini napoletane prima del passaggio del fascicolo alla Procura di Roma (guidata da Giuseppe Pignatone, ora a capo della Procura del Vaticano). La tesi accusatoria di Woodcock fu completamente ribaltata dalla procura di Roma e sia il pm che i due ufficiali furono sospettati di aver falsificato alcuni accertamenti tecnici per poter far ricadere alcune colpe sia sul papà di Renzi che su alcuni personaggi politici e di governo molto vicini allo stesso Matteo Renzi che allora era presidente del Consiglio dei Ministri.

Le vicende giudiziario-processuali hanno portato, negli anni, alla totale o quasi assoluzione di tutti i presunti responsabili; qualche strascico era rimasto per il pm e gli ufficiali ma sembravano essere stati risolti nell’ottobre 2019 quando il gup Clementina Forleo aveva prosciolto da ogni accusa sia Woodcock che Scarfato e Sessa.

La decisione del gup era stata, però, appellata dalla Procura e la Corte di Appello di Roma ha stabilito che soltanto Scafarto e Sessa (e non anche il pm che praticamente guidava le indagini) devono andare a processo come richiesto dalla Procura Generale.

Nella foto: a destra l'avvocato salernitano Giovanni Annunziata che guarda il suo assistito Giampaolo Scafarto subito dopo l'assoluzione del 3 ottobre 2019.

Proviamo a raccontare in breve l’accaduto che ha colto di sorpresa i due ufficiali del Noe e dei Carabinieri: “Il 3 ottobre 2019 Scafarto e Sessa erano stati prosciolti dal gup Clementina Forleo dalle accuse, a seconda delle posizioni, di rivelazione del segreto, falso e depistaggio. In sintesi, dopo il proscioglimento, la Procura aveva però impugnato l’archiviazione. E l’esito è arrivato ieri 29 ottobre 2020 nel primo pomeriggio. I giudici di secondo grado hanno fissato il processo al prossimo 9 dicembre 2020 davanti alla seconda sezione collegiale. Nel chiedere il rinvio a giudizio, il pm Mario Palazzo, applicato in questo procedimento alla procura generale, aveva affermato nel corso della requisitoria che «le prove acquisite a carico dei due imputati sono granitiche, e sussiste l’esigenza e la necessità di un processo nei confronti dei due imputati per il quale è assolutamente necessario il vaglio dibattimentale». Diversa ovviamente è la posizione di parte. Stando al difensore di Scafarto, l’avvocato salernitano Giovanni Annunziata, «l’esigenza di celebrare il dibattimento non mi induce a ritenere che ci siano profili di responsabilità penale a carico del maggiore Scafarto. Io resto fermo sulle considerazioni e ricostruzioni difensive svolte finora» (fonte Il Mattino del 30.10.20).

 

MORALE: L’ottimo e meticoloso “lavoro strategico-difensivo” compiuto in questi anni dall’avvocato salernitano Giovanni Annunziata rischia di andare in soffitta per un ricorrente dualismo tra giudici diversi: per il primo le prove acquisite sono inconcludenti, per il secondo sono granitiche; insomma un guazzabuglio da cui è difficile uscirne indenni.

Ma per quanto mi riguarda l’aspetto più importante è quello che attiene il “dovere istituzionale” che di questi tempi è molto difficile da perseguire; un servitore dello Stato più si impegna per l’affermazione della trasparenza e della legalità e più rischia grosso, anche sulla propria pelle. Difatti Scafarto e Sessa da inquisitori si ritrovano inquisiti e rinviati a giudizio per rivelazione di segreto, falso e depistaggio.

Probabilmente i due ufficiali un piccolo colpo di fortuna potrebbero averla dal fatto che due grossi personaggi, nell’ambito del processo generale ancora in corso che vede imputati l’ex ministro Luca Lotti e il generale dei Carabinieri Emanuele Saltalamacchia.

La correttezza istituzionale e deontologica del maggiore Giampaolo Scafarto lo hanno indotto a rassegnare le dimissioni dall’incarico di assessore alla legalità del Comune di Castellammare di Stabia nelle mani del sindaco Gaetano Cimmino.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *