L.A.I.F.: una sentenza che fa scuola

Aldo Bianchini

SALERNO – Un paio di settimane fa avevo scritto diffusamente della LAIF (Libera Associazione Imprese Façoniste) per presentarla al grosso pubblico dei nostri lettori, e non solo.

Molto probabilmente nell’immediato futuro il mondo del lavoro che svolge attività per conto terzi (a façon) dovrà riconoscere in toto alla LAIF che, insieme alla FALT – CISAL – ANPIT, è riuscita per un’azienda associata (la IT Moda srl) ad ottenere una sentenza-lavoro da parte del Tribunale di Trani che squarcia i veli di una ipocrisia di convenienza e conclamata che impediva alle piccole e medie aziende consociate di avvalersi del CCNL (contratto collettivo nazionale di lavoro) che le associazioni avevano predisposto sulla base di appropriati ragionamenti finalizzati alla tutela di dette aziende nell’ottica del miglior inquadramento possibile ai fini dei contributi previdenziali da versare per i dipendenti.

La questione dell’inquadramento dei dipendenti ai fini previdenziali in questo Paese è palesemente contraddittorio, e non si è mai riusciti a trovare il giusto equilibrio tra il “sistema previdenziale” e il “sistema imprenditoriale” ed anche il “mondo del lavoro”; tanto è vero che abbastanza spesso ciò che è buono per le imprese non lo è per la previdenza, e ciò che è giusto per la previdenza non lo è per i lavoratori; così come ciò che è giusto per i dipendenti non lo è per i datori di lavoro.

E tutti sono costretti ad adire le vie legali e l’ufficio del giudice del lavoro per cercare  la soluzione che più si avvicina alla verità, in quanto un inquadramento anziché un altro può produrre la defezione degli investimenti ed a catena l’assottigliamento dell’occupazione.

Allora delle due l’una; se gli istituti previdenziali fanno i tosti ad esigere gli inquadramenti più esosi, va da se che imprese spaventate si defilano e l’occupazione decresce vistosamente; e quel sistema previdenziale che dovrebbe tutelare a garantire tutta la vita del lavoratore, finisce suo malgrado con fungere da concausa dell’abbattimento degli investimenti e la restrizione dell’occupazione.

A questo punto arrivano i sindacati che, dopo attenti studi del mercato del lavoro, della qualità e della corposità degli investimenti e delle esigenze primarie della tutela dei lavori con un sistema previdenziale efficiente, sottoscrivono i famosi CCNL (contratti collettivi nazionali di lavoro) che propongono alle varie categorie di associati e di lavoratori per la necessaria approvazione da parte dei lavoratori e delle imprese.

Tribunale di Trani

Nelle ultime settimane su tutto il territorio nazionale abbiamo assistito a contestazioni da parte di lavoratori a tempo o full time legati alle grandi multinazionali, dai rider ai fattorini di Amazon; lavoratori che lottano per la conquista di livelli lavorativi e salariali più alti rispetto al tempo che sono chiamati a coprire durante le lunghe giornate di lavoro. Anche qui la questione è molto complessa ed attiene alla sfera dell’inquadramento stabile e definitivo da dare ai lavoratori senza danneggiare le aziende come sembra che vogliono fare i giudici di questo Paese inferendo, semmai, ad un settore delicatissimo botte da orbi sul piano del pagamento dei contributi previdenziali puntando su convinzioni che, pur avendo delle basi logiche, dovrebbero essere molto più flessibili di quelle pretestate. Il giudice in astratto applica la legge, non dovrebbe mai interpretarla, ma deve sempre applicarla tenendo conto che dietro ogni azione c’è una persona (sia essa dipendente o imprenditore) che deve lavorare per vivere e deve fare investimenti per assicurare lavoro.

Il ragionamento, come vedete, è complicato e vastissimo; e questo giornale ha l’intento di far riflettere tutti gli addetti al settore su come un giudice-giudice (dott.ssa Floriana Dibenedetto, giudice del lavoro di Trani) ha affrontato, sviscerato, capito e poi deciso in merito ad una vertenza tra l’azienda IT Moda srl e l’INPS che voleva dare all’azienda predetta che a seguito di una visita ispettiva si era vista contestare l’inquadramento generale con successiva perdita di alcune agevolazioni di natura contributiva che le consentivano, comunque, di portare avanti un’attività lavorativa per garantire il posto ai suoi numerosi dipendenti.

La storia continua.

 

 

 

 

 

 

 

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