GIORDANO: gli arresti e la grande svolta del maggio ‘93

Aldo Bianchini

Prof. Vincenzo Giordano, sindaco di Salerno dall'87 al 93

SALERNO – Nella storia ci sono sempre delle date, per le grandi vittorie, per le clamorose sconfitte, per i cambi generazionali, per la fine di epoche e per l’avvio di epopee.

Anche Salerno ha avuto date importanti che hanno segnato la sua storia con la caduta e l’ascesa di personaggi nella guida della città; personaggi che hanno determinato la fine dell’era socialista-contiana durata soltanto sei anni e l’inizio dell’epopea post-comunista deluchiana che è in piedi dal 1993 (Vincenzo Giordano e Vincenzo De Luca); ma anche personaggi che hanno consentito di chiudere alcune storie per aprirne altre (Michele Ragosta e Marco Siniscalco).

La data che rimarrà impressa nella storia è quella del 31 maggio 1993, un tragico pomeriggio inoltrato di quel lunedì di ventotto anni fa; una forzatura giudiziaria che è già passata alla storia come “il giorno dei grandi arresti” che impose drasticamente un cambio di passo alla storia di Salerno; insomma l’ultima ed unica grande svolta mai registrata nel secondo dopoguerra.

C’erano state, in verità, un paio di date in cui il sistema aveva tremato (16 aprile 1992 e 22 maggio 1993) ma la vera conclusione della storia precedente e l’avvio di quella successiva rimane fissata nella data del 31 maggio 1993.

 

Il 16 aprile 1992 con un blitz improvviso e imprevisto il pm Michelangelo Russo ordina il sequestro degli uffici tecnici degli ingg. Franco Amatucci e Raffaele Galdi, denominati da larga parte della stampa locale “I compassi d’oro”; il pm d’assalto, dotato di un geniale intuito investigativo, scompagina l’assetto socio-politico-imprenditoriale della città e della provincia e, secondo qualcuno, getta le basi anche involontariamente per l’affermazione dell’epopea deluchiana. Dopo il 16 aprile ci furono gli arresti del 23 luglio 1992 per la Fondovalle Calore e tanti altri avvenimenti giudiziari costruiti, forse, sul nulla ma in grado di destabilizzare il sistema che trova terreno fertile per uno scontro brutale la sera del 25 ottobre 1992 nel convegno del Sea Garden su magistratura-politica-giustizia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il 22 maggio 1993, invece, viene registrata la fine ufficiale del sindacato di Vincenzo Giordano (nato l’ 8 marzo 1987) che nell’ambito del progetto socialista consolida il principio che Salerno è governabile; difatti nei dieci anni precedenti, dal 20 dic. 74 al 7 marzo 87) la città aveva registrato ben 14 sindaci in 13 anni. Il 22 maggio 1993 il Consiglio Comunale viene convocato per le ore 18.00 in quanto entro la mezzanotte dovrà essere eletto il nuovo sindaco a causa delle dimissioni di Giordano presentate il 23 marzo precedente e mai ritirate, pena l’arrivo di un commissario prefettizio. La seduta è drammatica, va per le lunghe; sul trono di sindaco si siedono e si alzano diversi candidati: da Gioconda De Santis (sponsorizzata dagli ex D.C.) a Nicola Scarsi (sostenuto dai repubblicani che avevano portato a Salerno il tecnico Bohigas). Sta per arrivare la mezzanotte, bisogna eleggere il sindaco, i voti ci sono, anzi c’è solo un voto per la maggioranza PSI-PCI-DC-PRI-PLI ed altri; ma all’ultimo minuto Michele Ragosta (PSI) dice e conferma il suo NO per De Luca. La tensione è altissima, c’è un assente, il suo nome è Marco Siniscalco, corrono a prenderlo a casa, arriva e vota per De Luca sindaco. La storia da quel momento, ore 23.55 del 22 maggio 1993, cambia registro grazie solo a Marco Siniscalco, grazie al quale De Luca venne letteralmente proiettato sulla sedia di sindaco.

 

Tutti pensano che la tangentopoli sia finita, il sindaco Giordano non c’è più, il sindaco è De Luca, la Procura è accontentata, l’epoca socialista è chiusa, adesso si aspetta un lungo periodo di pace.

Invece accade ancora di tutto e il contrario di tutto.

 

31 maggio 1993 – Il giorno dei grandi arresti

(dal libro Vincenzo Giordano, da sitting bull a sindaco di Salerno)

 

In un clima torrido e torbido, e non soltanto per il caldo incipiente, si arriva al fatidico giorno del 31 maggio 1993. Sembra una giornata piuttosto tranquilla, nelle redazioni si sonnecchia e un po’ tutti pensano che per gli arresti più volte ventilati si dovrà aspettare il mese di settembre. E’ un lunedì e i telegiornali sono pieni di sport e di notizie varie; nel pomeriggio, come direttore di Tv Oggi, convoco fortunatamente una riunione di redazione per fare il punto della situazione. Nel pieno della riunione, poco dopo le ore 18.00, arriva la prima indiscrezione sul presunto arresto o consegna spontanea dell’ex sindaco Salzano. Da lì in poi e fino a notte fonda non si capisce più nulla. Vengono arrestati in rapida successione Vincenzo Giordano (sindaco uscente), Aniello Salzano (già sindaco di Salerno e consigliere regionale in carica), Fulvio Bonavitacola (già assessore comunale al ll.pp.), Carlo Mustacchi (docente universitario), Luigi Adriani (docente universitario) e Antonio Di Donato (imprenditore cavese). Le accuse vanno dalla corruzione alla concussione ed alla turbativa d’asta per l’inchiesta sul “trincerone ferroviario”. La strategia della tensione giudiziaria a quel punto è chiarissima; gli arresti devono susseguirsi agli arresti in modo da sfiancare gli avversari e rendere poco visibili i punti di riferimento. Solo così possono essere al tempo stesso esaltate le verità vere e quelle di comodo. Singolari, molto singolari le modalità messe in scena per l’arresto dei tre politici Giordano, Salzano e Bonavitacola. In seguito si apprenderà che gli arresti erano stati programmati per l’alba del 1° giugno 1993 ma il programma salta per colpa di Aniello Salzano che non regge più quel diabolico stillicidio e chiede (anche per sottrarsi all’attenzione dei media) di consegnarsi alla giustizia. Pietro Paolo Elefante (colonnello dei carabinieri) lo aspetta sulla bretella autostradale SA-Av e lo conduce nel carcere di Ariano Irpino.  E’ il tardo pomeriggio del 31 maggio 1993. Fulvio Bonavitacola viene contattato sull’utenza telefonica cellulare e raggiunto da un ispettore di polizia davanti al Bar Varese, trasportato prima nel commissariato di Torrione e poi a Fuorni quando è già notte fonda. Quella sera mentre già impazzano le edizioni speciali dei telegiornali Vincenzo Giordano, intorno alle ore 20.30, sta giocando a carte napoletane con alcuni amici nel giardino del parco in cui abita. E’ lì che viene raggiunto dagli uomini di Sebastiano Coppola e portato nel posto di polizia del Tribunale; viene esposto come un trofeo di guerra in mezzo a due poliziotti sotto l’impietoso flash dei tanti cronisti accorsi sul luogo. Mi posi subito una domanda sulla serietà delle motivazioni che avevano portato a quei clamorosi arresti; in pratica si trattò soltanto di una sceneggiata o di un fatto inevitabile ? propendo, come allora, per la prima risposta: fu solo una sceneggiata anche male orchestrata. Difatti se per Bonavitacola fu sufficiente una telefonata, se Salzano si consegnò spontaneamente e se Giordano già sapeva ed aspettava tranquillo giocando a carte, sembrava e sembra alquanto inutile il clamore degli arresti perché in nessuno dei tre casi ricorrevano i tre elementi essenziali per l’arresto: pericolo di fuga, inquinamento delle prove e reiterazione del reato. Per questa ragione, a distanza di anni, si può ben affermare che quelli furono arresti gratuiti, spettacolari e speculari, utili soltanto a calare ancora di più il teorema della procura nell’immaginario collettivo della gente. Ma è proprio nella drammaticità di quei giorni che Vincenzo De Luca costruisce il suo capolavoro politico.

Alla prossima.

 

 

 

 

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