Corte Costituzionale: sentenza n.49, del 2 marzo 2022: Il quesito sulla responsabilità civile diretta dei Magistrati è inammissibile per il suo carattere manipolativo , creativo , non meramente abrogativo e per scarsa chiarezza e ambiguità.

da Pietro Cusati

 

 

 

 

 

 

 

 

Roma,3 marzo Palazzo della Consulta. Una prima ragione di inammissibilità del quesito attiene al suo carattere manipolativo e creativo, e non meramente abrogativo.  ‘’La tecnica manipolativa del ritaglio, in sede di referendum, non è ammessa se con essa non ci si limita ad abrogare la normativa vigente ma si propone una disciplina giuridica sostanzialmente nuova, non voluta dal legislatore’’. Lo ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 49, depositata il 2 marzo 2022 ,redattore Augusto Barbera,Presidente Giuliano Amato, con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità del referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati, promosso da  nove  Consigli regionali :Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte. I promotori proponevano l’abrogazione di diverse disposizioni della legge Vassalli n. 117 del 1988 , come modificata dalla  riforma Orlando, n. 18 del 2015, che disciplina il regime della responsabilità civile dei magistrati per danni arrecati dagli stessi nell’esercizio delle loro funzioni. Secondo le norme  vigenti, l’azione risarcitoria è indirizzata nei confronti dello Stato e, solo all’esito di un’eventuale soccombenza, quest’ultimo può rivalersi sul magistrato. Il quesito referendario mirava, mediante la tecnica del ritaglio abrogativo,  a ricavare dalla normativa di risulta un’autonoma azione risarcitoria nei confronti del magistrato, per consentire al soggetto danneggiato di chiamarlo direttamente in giudizio. La Corte Costituzionale  ha ritenuto inammissibile il quesito per il suo carattere manipolativo e creativo, non ammesso dalla costante giurisprudenza costituzionale: esso, infatti, attraverso l’abrogazione parziale della legislazione vigente, avrebbe introdotto,secondo la Consulta ,una disciplina giuridica nuova, non voluta dal legislatore, e perciò frutto di una manipolazione non consentita. Rileva ,altresì,la Corte Costituzionale che  Il quesito è  inammissibile per mancanza di chiarezza: la normativa di risulta,  non avrebbe consentito di configurare un’autonoma azione risarcitoria, esperibile direttamente verso il magistrato, poiché ne sarebbero rimasti oscuri i termini e le condizioni di procedibilità. Oscuro è anche il rapporto tra la stessa azione diretta e quella verso lo Stato, che sarebbe rimasta in vigore anche dopo l’abrogazione proposta dalle Regioni promotrici. Ritiene la Consulta che , la normativa di risulta , per come formulato il quesito referendario , non sarebbe stata idonea a definire i tratti e le caratteristiche della nuova azione processuale, che il quesito intendeva introdurre. Con ordinanza del 29 novembre 2021, depositata il 1° dicembre 2021, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di Cassazione ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge la richiesta di referendum popolare abrogativo, promossa dai Consigli regionali delle Regioni Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte, sul seguente quesito:«Volete voi che sia abrogata la Legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati) nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 2, comma 1, limitatamente alle parole “contro lo Stato”; art. 4, comma 2, limitatamente alle parole “contro lo Stato”; art. 6, comma 1 limitatamente alle parole “non può essere chiamato in causa ma”; art. 16, comma 4, limitatamente alle parole “in sede di rivalsa,”; art. 16, comma 5, limitatamente alle parole “di rivalsa ai sensi dell’art. 8”»? Secondo la Corte Costituzionale il quesito, la cui denominazione su richiesta dei soggetti promotori è stata corretta dall’Ufficio centrale per il referendum con l’aggiunta della locuzione «Responsabilità civile diretta dei magistrati», si vale della cosiddetta tecnica del ritaglio per abrogare alcune espressioni lessicali contenute negli artt. 2, comma 1, 4, comma 2, 6, comma 1, e 16, commi 4 e 5, della legge n. 117 del 1988, al fine di consentire che il magistrato possa essere citato direttamente nel giudizio civile risarcitorio da parte del danneggiato, così intendendo superare la vigente normativa che, invece, prevede forme di responsabilità del magistrato solo in sede di rivalsa da parte dello Stato, ove quest’ultimo sia stato condannato al risarcimento ,mentre, in caso di reato, la responsabilità del magistrato non consegue ad un’azione intentata nei suoi confronti innanzi al giudice civile, se non per effetto di una previa condanna penale.L’azione diretta nei confronti del magistrato, pur preceduta dall’autorizzazione del Ministro della giustizia e confinata ad ipotesi estreme di responsabilità, era prevista dagli artt. 55, 56 e 74 del codice di procedura civile, che furono abrogati con il referendum ritenuto ammissibile con la sentenza n. 26 del 1987.Con la legge n. 117 del 1988 il legislatore, nel disciplinare nuovamente la materia, si era conformato alle indicazioni espresse dalla  Corte Costituzionale, con la sentenza n. 26 del 1987, affinché lo statuto costituzionale della magistratura fosse preservato con l’introduzione di «condizioni e limiti» alla responsabilità dei magistrati. Fu così operata una scelta che costituisce a tutt’oggi uno dei tratti caratterizzanti della legislazione, peraltro largamente presente negli ordinamenti degli Stati europei, ovvero che l’azione risarcitoria debba essere indirizzata nei confronti dello Stato, e che solo all’esito di un’eventuale soccombenza quest’ultimo disponga di azione di rivalsa nei confronti del magistrato. Con la sentenza n. 38 del 2000 la Consulta nel dichiarare inammissibile un quesito referendario vertente anch’esso sulla legge n. 117 del 1988, ha già negato che «l’introduzione dell’azione diretta nei confronti del magistrato, accanto alla perdurante possibilità di proporre l’azione contro lo Stato, possa realizzarsi grazie a meccanismi di riespansione o autointegrazione dell’ordinamento attivati dall’eventuale abrogazione popolare».In definitiva, la circostanza che il legislatore abbia disciplinato una sola tipologia di azione diretta (verso lo Stato) frustra la finalità referendaria di estrapolare dal testo normativo una seconda azione avente tale natura (verso il magistrato), e rende così inidoneo il quesito a raggiungere il fine incorporato nello stesso. .– Esso incorre, quindi, nel medesimo profilo di inammissibilità rilevato dalla sentenza n. 34 del 1997 orte, a proposito di altro referendum avente ad oggetto, a sua volta, disposizioni della legge n. 117 del 1988.In quell’occasione, si era rilevato che con la proposta referendaria, proprio rimuovendo l’espressione «contro lo Stato, di per sé non espressiva di un autonomo contenuto normativo, nel contesto che disciplina l’azione di risarcimento, si determina una assoluta ed oggettiva mancanza di chiarezza del quesito che si intende sottoporre a votazione popolare. Difatti è del tutto equivoca la configurazione della domanda referendaria per quanto attiene alla posizione dello Stato, la cui responsabilità pure è preminente nell’attuale sistema della legge al fine della garanzia di ristoro per danni derivanti da atti in ogni caso riferibili all’esercizio di poteri statali».

 

 

 

 

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