Il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco,una lezione magistrale alla LUISS: Una politica economica a misura dei giovani per riprendere il filo della crescita. L’ Istruzione non dovrà essere limitata a quanto si apprende sui banchi di scuola .

 

da Pietro Cusati

Ogni situazione storica rimane unica ed irripetibile, dalle esperienze passate è tuttavia possibile trarre qualche lezione utile per il presente. Una comprensione adeguata di come si è andata determinando la realtà che oggi viviamo, in particolare, può servire soprattutto ad aiutarci per evitare gli errori del passato e a riflettere su come meglio prepararci per affrontare le sfide che abbiamo davanti, come ridurre l’incertezza e, soprattutto per i più giovani, i costi della transizione a nuovi “equilibri”, nuove “normalità”, dopo crisi finanziarie, pandemie e persino guerre che ritenevamo non più ripetibili. E una delle principali lezioni di questi ultimi anni è forse proprio che “equilibri” e “normalità”, se costituiscono utili termini di riferimento sul piano analitico, sono però concetti effimeri nel tempo storico. I fenomeni da comprendere e approfondire per costruire un futuro sicuro, sostenibile e prospero sono proprio i continui cambiamenti e i gravi squilibri che hanno segnato e continuano a segnare il tempo che abbiamo vissuto e gli anni che oggi viviamo.’’  In una fase come quella attuale dobbiamo soprattutto sottolineare ha detto Ignazio Visco, l’importanza per i giovani cittadini di oggi di essere preparati, anzitutto sul piano culturale, per fare fronte agli imprevisti del presente e alle incognite di un futuro anche prossimo, che appaiono e sono forse maggiori di quanto apparissero nei giorni della nostra giovinezza. Ma, oltre alle risorse “culturali” occorre anche potenziare, oggi, le risorse “economiche” ed “istituzionali”, perché i giovani possano,  “fare ed essere” ciò che ritengono importante nella vita’’. Cinquant’anni fa i residenti in Italia erano 54 milioni e, dal nostro paese, emigravano più persone di quante ne arrivassero dall’estero; la popolazione, dopo aver raggiunto un picco di quasi 61 milioni nel 2014, con un incremento appena superiore al 10 per cento, è poi ridiscesa a meno di 59 milioni, il valore stimato alla fine dello scorso anno (dall’1,42 per cento della popolazione mondiale nel 1972, allo 0,75 di oggi). Inoltre le previsioni di una ulteriore forte discesa nei prossimi decenni (sotto i 50 milioni entro il 2060), in particolare per le coorti formate da persone in età da lavoro. A fronte della crescita demografica, anche quella economica è stata più sostenuta nei paesi emergenti e in via di sviluppo. A livello globale il prodotto pro capite è aumentato del 150 per cento negli ultimi cinquant’anni, del 400 per cento nei paesi asiatici. E il peso dell’Italia sull’economia mondiale è passato da quasi il 5 a meno del 2 per cento. Il marcato miglioramento nelle condizioni di vita derivato dalla crescita economica mondiale è ben visibile in numerosi indicatori, quali la speranza di vita (o vita media alla nascita), salita di ben 13 anni a livello globale, a quasi 73 anni; la mortalità infantile, scesa dal 100 a meno del 30 per mille; il numero di persone in condizioni di povertà estrema (definita da un reddito o una spesa per consumi minore di 1,9 dollari al giorno ai prezzi del 2011), diminuito da un picco di oltre due miliardi raggiunto attorno al 1970, mantenutosi fino ai primi anni Novanta, a meno di 700 milioni (e oltre 4 miliardi di nuovi abitanti non vi sono entrati). I progressi hanno avuto effetti pervasivi anche nella vita di tutti i giorni. Dal 1991 la diffusione di Internet e della telefonia mobile hanno cambiato le modalità di comunicazione  e hanno abbattuto i suoi costi: quando eravamo studenti le telefonate da o verso l’estero erano spesso collect calls (a carico del destinatario), perché pochi, non solo giovani, potevano permettersi gli oneri delle chiamate; stimare anche una sola equazione era un esercizio complesso e per i modelli econometrici le stime venivano sovente fatte di notte per risparmiare sui costi degli elaboratori elettronici, computer spesso grandi quanto una stanza e migliaia di volte meno potenti di un moderno PC o di uno smartphone; le automobili erano molto meno sicure, non solo senza airbag, ma anche senza cinture di sicurezza e spesso senza specchietti (in Italia divenuti obbligatori solo nel 1977). La natura non fa salti, ma è certo che i cambiamenti sono stati straordinari e, nonostante lo “sconvolgimento demografico”, in complesso positivi per l’economia mondiale. I “lacci e lacciuoli” di cui già parlava Guido Carli nei primi anni Settanta. L’Italia, tra oggi e domani L’Italia è da troppi anni caratterizzata da un “eccesso di debito” pubblico e da una contemporanea “carenza di Stato”: a fronte di un indebitamento troppo elevato, pesante eredità degli squilibri passati, l’efficienza dei servizi pubblici e, più in generale, l’efficacia dell’intervento dello Stato nell’economia stentano a migliorare. Sono inoltre rilevanti gli ostacoli al buon funzionamento dei mercati, senza per questo abbandonarsi a un pernicioso laissez-faire, in particolare nel settore dei servizi, dove, nonostante alcuni progressi, sono ancora presenti barriere che riducono significativamente la concorrenza. A dispetto di decenni di politiche a favore del Mezzogiorno, il suo divario di sviluppo nei confronti del Centro Nord continua ad aumentare: esso riflette, oltre all’inefficacia dell’azione pubblica, il basso peso e i ritardi del settore produttivo privato; vi incide pesantemente il radicamento sul territorio delle organizzazioni criminali che, oltre ai gravi costi sociali, impone alle imprese oneri spesso insostenibili e falsa il funzionamento del mercato e le dinamiche concorrenziali. A questi nodi da tempo irrisolti, negli ultimi anni si sono affiancate nuove questioni, in particolar modo quelle legate al ristagno della produttività, pressoché ferma ormai da tre decenni in Italia, che trova le sue radici nella difficoltà del sistema produttivo ad adattarsi ai grandi cambiamenti degli anni Novanta. Non si può, in ogni caso, abbandonare la cooperazione internazionale: le sfide vecchie e nuove – dall’eradicazione della povertà estrema al contenimento del cambiamento climatico e alla difesa contro le pandemie – non si affrontano con un ritorno a nazionalismi e a un mondo diviso in blocchi. Un grande sforzo è necessario: non si può non riconoscere come il conflitto in Ucraina stia mettendo a repentaglio l’assetto economico e finanziario emerso dalla fine della Guerra fredda. Ai più giovani, cui questo intervento è rivolto, non posso non ribadire che il fattore cruciale per affrontare con successo le sfide poste dai cambiamenti che stiamo vivendo resta quello del capitale umano e quindi dell’istruzione.

 

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