Tangentopoli (74): 18 maggio 1993, il clamoroso arresto di Lamberti … il giudice dalle manette facili

 

Aldo Bianchini

Il compianto Alfonso Lamberti, già magistrato e docente universitario

SALERNO – In uno dei precedenti capitoli di questa lunga storia ho scritto che anche diversi magistrati nei primi mesi del ’93 finirono nel tritacarne mediatico-giudiziario e diversi conobbero anche le patrie galere anche, e non soltanto, per colpa di quel maledetto pacchetto di 140miliardi di lire che le giunte laiche e di sinistra furono chiamate ad investire per la realizzazione di alcuni grandi lavori pubblici (trincerone, teatro verdi, ripascimento spiagge, lungomare, lungoirno, subwhay molo manfredi-foce irno, gallerie dal porto a cernicchiara,  prolungamento tangenziale e strada aversana; solo per ricordarne alcuni) programmati già da tempo nell’ambito della iperattività urbanistica del “laboratorio politico laico e di sinistra” ideato da Carmelo Conte.

Dunque nella bufera entrarono, loro malgrado, diversi magistrati; tra i tanti ricordo Antonio Feleppa (capo della Procura Circondariale presso la Pretura di Salerno), Antonio Esposito (già capo della Pretura circondariale di Sala C. e poi giudice di Cassazione), Cono Lancuba (salernitano, procuratore di Melfi), Arcibaldo Miller (pm antimafia a Napoli, detto il “Di Pietro partenopeo”), Nicola Boccassini (procuratore capo di Vallo della Lucania), Anacleto Dolce (pm presso la Procura di Vallo della Lucania) e Alfonso Lamberti (procuratore capo a Sala Consilina). Di questi finirono in galera almeno una volta Lancuba, Boccassini, Dolce e Lamberti; quasi tutti assolti in primo grado o in appello, soltanto Lamberti pagò fino in fondo le sue presunte colpe.

Nel pomeriggio del 18 maggio 1993 tutta la città e l’intera circoscrizione giudiziaria furono scosse dalla notizia dell’arresto di Alfonso Lamberti, detto “Fonz ‘a manetta”, (già pm a Salerno, procuratore capo a Sala Consilina, giudice di Corte d’Appello a Napoli, docente universitario a Salerno e scrittore) su richiesta di cattura del pm Alfredo Greco che, è doveroso dirlo, firmò quella richiesta con un grande dolore nel cuore; non soltanto perché colpiva un collega magistrato ma soprattutto perché faceva sprofondare nell’oblio un uomo al quale era stata violentemente strappata la figlia adorata. Qulche tempo dopo Alfredo Greco dirà che quello era stata una delle richieste di arresto più difficili e drammatiche della sua vita professionale.

L’accusa, comunque, era tra le più infamanti: “Aver ricevuto dalla camorra mazzette per 150milioni di lire per dissequestrare beni sequestrati i vari boss del territorio campano; aver brigato per entrare in simbiosi con Carmine Alfieri e Pasquale Galasso (i due veri capi della camorra campana) al fine di scoprire gli autori dell’assassinio della figlia;  aver minacciato con lettere anonime la moglie ritenendo erroneamente che la stessa se la intendesse sentimentalmente con il suo preside; aver inviato lettere anonime ai vari docenti dell’istituto scolastico con minacce e diffamazioni varie; aver predisposto un piano per l’eliminazione fisica della consorte.

In verità il calvario del giudice Lamberti (temerario, sostanzialmente buono, profondamente innamorato della famiglia e certamente lontano dagli intrecci malavitosi, o quanto meno da molti di quegli intrecci descritti nelle ordinanze di custodia in carcere) era cominciato diversi anni prima del suo arresto in carcere.

La verità storica l’ha scritta proprio Lamberti nei tanti libri che ha dedicato all’adorata figlia Simonetta (uccisa dalla camorra nel sanguinoso agguato del 29 maggio 1982); in essi ammette di essere entrato in contatto, per vie traverse, con la camorra e di averlo fatto soltanto al fine di scoprire con una indagine personale, parallela, ma mai in contrasto con quella ufficiale della Procura, autori e mandanti dell’efferato crimine.

Il giorno 11 settembre 2015 si è spento all’improvviso il prof. Alfonso Lamberti, giudice di mille e mille inchieste; le più note quelle per il rapimento del giovane Amabile e dell’emblematico “caso Cirillo”; si è spento serenamente dopo lunga e dolorosa malattia.

Ho sempre intrattenuto un cordiale e corretto rapporto con il prof. Alfonso Lamberti, magistrato di lungo corso denominato anche “Fonz ‘a manetta”. Lo conobbi direttamente la prima volta il 18 gennaio 1983; ero andato a trovarlo nella “sua Procura” di Sala Consilina insieme ad un amico comune (Francesco de Robbio, arbitro di calcio che il giudice chiamava amabilmente “don Ciccio”); ebbi modo di assistere ad un fatto per me sconvolgente; erano passati sette mesi e mezzo dalla tragedia della figlia (l’ingresso del palazzo di giustizi era ancora tappezzato di manifesti funebri che nessuno osava rimuovere) e Alfonso Lamberti era lì davanti a me letteralmente abbracciato al nostro comune amico e piangeva come un bambino quasi ad apparirmi come un “pulcino bagnato”. Da quel momento l’ho rivisto tantissime volte, soprattutto dopo il suo clamoroso arresto del maggio del 1993 e dopo la sua precipitosa caduta sociale; durante le feste natalizie di alcuni anni fa mi chiamò al telefono; era solo in casa, credeva di morire, gli tenni compagnia parlando e parlando per alcune ore; qualche giorno dopo lo andai a trovare per rincuorarlo. Aveva sempre bisogno di parlare, di dire la sua, di svelare quei segreti riposti nel fondo del suo animo; qualche mese prima della sua morte mi aveva scritto una bellissima lettera con la quale mi annunciava la sua intenzione di voler scrivere a quattro mani la vera storia, la sua storia, quella del tremendo assassinio della figlia Simonetta in quel livido pomeriggio del 29 maggio 1982 che segnò per sempre la sua vita di uomo e distrusse quella professionale. Non abbiamo avuto il tempo di farlo. Una curiosità; il giudice mi chiamava “professore”, mi stancai di dirgli che non lo ero; ma quando mi chiamava era di una simpatia unica.

Tutti hanno dato una valenza esagerata ed esasperata a tutte le azioni, alcune certamente anche inconsulte, messe in atto dall’ex magistrato; anche i suoi colleghi non gliene hanno perdonata neppure una. Sicuramente Alfonso Lamberti ha sbagliato in tante cose: non ha avuto fiducia nei colleghi inquirenti, ha condotto indagini che non doveva condurre, ha scritto lettere anonime contro la moglie, ha coinvolto i bambini della scuola dove insegnava la moglie Angela Procaccini, si è servito dell’aiuto di un maresciallo dell’Arma, si è insinuato nel cuore della malavita organizzata, ha abusato del suo ruolo e del suo potere.

Ma perché lo ha fatto, perché ha dormito per alcuni giorni in un capanno pieno di topi per incontrare un boss, perché ha cercato di promettere quello che non poteva promettere pur di acquisire una notizia o una prova contro gli autori materiali e contro i mandanti dell’efferato delitto ?  E ancora perché la magistratura prima di arrestarlo non si è posto queste domande, perché nessuno ha cercato di stargli più vicino, di farlo assistere farmacologicamente, nel momento in cui lui si allontanava dalle istituzioni e dalla vita reale ?

Certo il suo carattere era difficilissimo, quasi impossibile, ai limiti della normale sopportazione per noi che ci riteniamo normali, ma sono tranquillo nello scrivere che sicuramente nessuno, e ripeto nessuno, si è mai curato di badare all’uomo Alfonso Lamberti ed a tutta la carica esplosiva di sentimenti che covava nel più profondo del suo animo e che neppure i tanti libri scritti per ricordare la “sua Simonetta” sono stati utili a fargli sgonfiare tutta la rabbia che aveva dentro.

Non è stato sufficiente l’intitolazione dello stadio di Cava il 2 aprile 1983 e la lapide scoperta addirittura dal Presidente Sandro Pertini sul luogo dell’eccidio esattamente due anni dopo, il 29 maggio 1984. La sua ossessione, che lo divorava dall’interno, era quella di scoprire chi aveva dato l’ordine di fare fuoco su di lui e che per una tragica combinazione aveva colpito e ucciso la figlia; è morto senza aver avuto questa possibilità anche se uno degli autori materiali, Antonio Pignataro, qualche tempo fa ha beccato una nuova condanna a trent’anni di carcere dopo essersi pentito.

Il professore Lamberti con l'adorata figlia Simonetta

Ma “il professore” (così lo chiamavno in tanti) non ha mai creduto al pentito, come mi scriveva nella lettera, e si riprometteva di continuare e approfondire le sue ricerche.

Simonetta, verosimilmente, ha detto no e l’ha chiamato a se esaudendo uno dei desideri ricorrenti del papà che voleva riabbracciarla in un posto qualsiasi del cielo. Subito dopo il trapasso si è rasserenato, anche i tratti somatici sul letto di morte erano diversi e più distesi, “finalmente” era volato dalla sua Simonetta.

Sulla sua figura di uomo e di magistrato rimangono, comunque, grossi dubbi: vittima o carnefice ? Di sicuro cadde nella trappola della camorra di Carmine Alfieri e di Pasquale Galasso e, molto probabilmente, fu vittima di quella parte della magistratura che Lui sbagliando aveva sempre sprezzantemente offeso ed accusato di incapacità investigativa. Non capiva che non tutti i magistrati “nascono magistrati” come Lui che aveva l’istinto innato dell’investigatore a 360°. Lo attesero al varco cominciando con la storiella del “giudice nel pallone”, un libro da lui scritto che in migliaia e migliaia di copie venne acquistato da tutte le istituzioni e dagli enti locali.

Non dimenticherò mai quella scena negli uffici della Procura di Sala Consilina e, soprattutto, non scorderò mai quel “pulcino bagnato, terrorizzato e già solo” che aveva tanto bisogno di aiuto e comprensione.

Certo, in tanti non la penseranno come me, ma al di là degli errori eventualmente commessi, e sempre in ragione di quello che aveva subito, per me Alfonso Lamberti rimarrà sempre un uomo, comunque un uomo.

E voglio ricordarlo soltanto come uomo e come padre, capace di scrivere alla “sua Simonetta” una letterina per il Natale 2013 e un’altra per la Befana 2014:

Simona cara, forse non ci credevi, ma, come vedi, continuo a “restare con te”, la domenica non vado più alla “partita di pallone”, per restare più tempo insieme. Dobbiamo pensare ai preparativi per le feste di Natale; saremo io, te, Francesco, Serena e Stefano. Tu aspettami, non addormentarti, anche se cono stanco per tanti impegni, perché, come ti ho sempre detto, lavoro tanto, la sera faccio tardi, ma penso a te. Tu incomincia a pensare cosa vogliamo fare: andare a Praiano ? O sulle Dolomiti ? O restare nella nostra casa di Cava de’ Tirreni . Possiamo anche andare a Rivisondoli, se vuoi; a te piaceva tanto, in quel “presepe” c’è tanto sole, ti colorisce in volto, ti fa crescere ancora un tantino, proprio come tu hai sempre desiderato … Io,  una volta tanto, lascerò le “cartacce” del Tribunale per non avere più rimproveri da te, soltanto complicità. Se sei indecisa dove andare, scrivimi  tutto su un pezzo di carta me lo lasci sotto il cuscino prima di andare a letto, come facevamo fino al  29 maggio, quando la mattina, appena sveglia, tiravi fuori le sorprese che ti portavo da Roma. Mancano pochi giorni a Natale; decidi, io farò come tu desideri, anche se ……, per farti arrabbiare, come al solito, farò le bizze. Adesso devo andare via per tre giorni, sempre per lavoro; quando torno fammi trovare tutto pronto. Ciao Simon, ci vediamo presto; studia per fare il giudice>>. E’ impressionante come, con una semplice penna, Alfonso Lamberti riesca a far rivivere e vedere dal vivo immagini del passato, ricordi incancellabili, stati d’animo particolari, attimi di vita non più ripetibili se non nella fervida fantasia che nella fattispecie si calano, quasi come correzione, in una realtà di vita, di solitudine, di rimpianti e di rimorsi che l’ex giudice non ha mai potuto allontanare. Anzi, quando cerca di prefigurare (in altri capitoli del libro) un minimo di ricostruzione della propria vita subito l’istinto e il ricordo doloroso lo fanno allontanare da qualsiasi ipotesi del genere, fino al punto di immaginare che sia la stessa amata Simonetta a dirglielo esplicitamente: “Papy, ma io senza di te vicino mi sento smarrita, avverto la tua mancanza, ho bisogno della tua vicinanza intellettiva; non lasciarmi, stammi vicino, come hai fatto con i miei fratelli … Ho bisogno di te più di loro che hanno una madre, io sono rimasta sola dopo il colpo alla tempia”.

 

 

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