Le due parole

Giorgione,

Io ero un professore che credeva nel suo lavoro, ero uno che studiava e si documentava, ed ero un uomo solo.
Le mie abitudini, il gioco a tennis, l’abito di buon taglio, gli amici di sempre e mi sentivo felice; no questo non è vero ma sentendo gli altri uomini sposati, dovevo sentirmi fortunato, non volevo legami seri.
Nel millenovecentonovantaquattro andai con mio fratello Luca ad un congresso.
La sera nalla hall dell’albergo conobbi Isabella.
Lei non faceva parte dei nostri, era lì per motivi suoi, ma conosceva un’amica e me la presentò.
Faceva l’archeologa subacquea, viveva ovunque, o con il padre brontolone e la sorella.
Feci la mia parte di uomo scapolo ma lei non sembrava interessata, comunque insistetti e le strappai un appuntamento. Abitavamo nelle stessa città. Quando la rividi, mi parve più socievole, scoprii il mondo del suo lavoro, lei scoprì i miei interessi e ci frequentammo. Sono reticente ancora nel parlare delle mie cose, soprattutto nel parlare di questa donna, delle sue calze del suo ridere a scrosci dei suoi momenti tristi.
Poi lei partì per lavoro e non la cercai più.
Un giorno me la vidi innanzi la scuola, aveva un pullover rosa le scarpe da tennis, mi parve minuta e tenera, mi ricordò un’albicocca matura  e morbida, questo pensai. Tornammo insieme.
Ci vedevamo spesso in un bar, nei pressi di casa sua, lei prendeva sempre un cappuccino; ormai ci conoscevano tutti e la cosa non mi faceva piacere, non volevo che si pensasse… Le dissi di cambiare posto e lei rispose di no, ostinata ed astuta, capivo che le piaceva mettermi a disagio, anche se il mio non era un disagio motivato. Una lite, una frase non dette mai da me : – ti amo – ed un altro distacco. così per anni non la rividi.  Seppi da amici che era morto suo padre, lo seppi per caso, ormai lei non era più considerata la mia compagna, provai a telefonarle, la sorella mi disse che era fuori per lavoro. Nel Novantasette ebbi un’infarto, Luca mio fratello mi fu vicino.
Ne usciii benissimo e ripresi la mia vita da uomo single, con le mie “amiche” ed i miei alunni. Quella fu un’estate calda, l’afa era insopportabile, ma io non mi mossi dalla città ed un pomeriggio andai nel bar dei miei ricordi, la rivista sotto il bracio e la giacca che mi si appiccicava addosso, mi ci recai per curiosità, (sperando di vederla non lo so) ero seduto là ed il proprietario mi chiese se volessi ordinare o aspettare le signora. Allora capii di amarla, di averla sempre amata, da quella sera nella hall e decisi di passare sotto casa sua.
Lasciai il giornale sul tavolino, più danaro di quanto dovevo e uscii di corsa. Pochi
metri e avrei citofonato e se ancora mi voleva, se era in casa, se non si fosse sposata (ma con chi?) fui geloso, le avrei detto quello che lei voleva sentirsi dire.
Arrivai sotto il portone madido di sudore io e la mia giacca di lino, ormai fusi insieme, uomo e giacca, citofonai nessuno rispose. C’erano delle vecchiette, sedute su una panchina all’ombra nella adiacente piazzetta, mi rivolsi a loro e seppi che avevano cambiato casa e città.
:- Ma no sapete dove sono? – ero un maturo signore con un passato infarto ed una vena varicosa,  ridicolo!  – A Dubai, non so come si dice, ma non tornano più. – rispose una di loro ed iniziarano una fitta serie di informazioni; mi allontanai senza ringraziare, ormai ero di nuovo a calpestare l’asfalto rovente. Telefonai a mio fratello che mi consigliò di mandarle una e- mail, lo feci e lo rifeci, ma lei non mi ha risposto mai. Andata via dalla mia vita, persa per non averle saputo dire le paroline magiche, ma dettate dal cuore che Isabella tanto aspettava. – Ti amo –

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