MONTI PRIMA E DOPO

Michele Ingenito

Era l’aprile del 1994 quando l’attuale Presidente del Consiglio, poco più che cinquantenne ma già noto economista e rettore della Bocconi, in un’intervista a Fabio Magrino de Il Mondo, disse la sua sui tanti docenti universitari inseriti a vario titolo in politica, rimarcando la negatività del fenomeno: “ (…) In nessun altro paese vi sono stati e vi sono tanti professori di economia che fanno i ministri, parlamentari o presidenti di enti come in Italia. Per non parlare di quelli caratterizzati da un’appartenenza politica o dalla vicinanza a qualche leader (…) “. Vederlo ora lì, in cima alla cordata del potere politico, sembrerebbe un controsenso. E a poco servirebbe la ‘dritta dialettica’ rifilata a Bruno Vespa, in risposta ad una precisa domanda del giornalista: “Il motto di mia madre era: alla larga dalla politica! Ma ad un certo punto è stata la politica a venire da me.” In un certo senso una furbata, un’abile maniera di districarsi dalla insidiosa domanda, nel ricordo, forse, di un convincimento antico e mai dimenticato. Che la classe politica italiana di carente provenienza culturale sia sensibile alla figura dei professori universitari è cosa nota. Che, conseguentemente, cerchi, e con successo, di aggregarli in quantità esorbitante ai propri carrozzoni, altrettanto. Non di tratta di fare di tutta un’erba un fascio. Perché sono altrettanto numerosi i casi di coloro i quali si defilano al momento opportuno da realtà che poco o nulla hanno a che vedere con il mestiere che svolgono: “Non è detto che le ragioni dell’economia vengano fatte valere meglio se gli economisti, per assumere posizioni di responsabilità, abbandonano il loro ruolo nella formazione dell’opinione pubblica.” aggiunse Monti in quella ormai storica intervista. Chi l’avrebbe detto che, 17 anni più tardi, sarebbe stato proprio lui a costruire una prevalente squadra di economisti e, per di più, nelle inattese vesti di primo ministro. Per quanto la realtà descritta possa mettere in luce la contraddizione tra il dire e il fare,cioè l’incoerenza tutta politica degli uomini di quel tipo spregiudicato di potere, non ce la sentiamo di buttare la croce addosso a Monti.  Anzi, attese le modalità della sua nomina in un contesto tutto particolare sotto il profilo storico-politico-economico-finanziario, il sacrificio personale del primo ministro merita rispetto, nonostante le apparenze tra il suo dire di ieri e il ruolo di oggi. All’epoca, nei primi anni ’90, era forte il dibattito sulla cosiddetta repubblica dei professori. Lo aveva provocato l’allora Presidente della Repubblica Mario Segni il quale, nel presentare il suo Patto (dicembre ’93), evidenziò quanto lo stesso fosse sostenuto da un numero rilevante di docenti universitari.  La grande stampa non si lasciò sfuggire l’occasione, denunciando all’opinione pubblica come oltre cinquanta mila professori universitari governassero un paese di 56 milioni di opliti (vittime condannate dai propri stati ideali a rimanere nell’imo dell’ignoranza) con 8 mila discipline per una ideale Repubblica di Platone tutta all’italiana. E fu il meno di quanto, sempre all’epoca, nell’evidenziare lo strapotere anche politico della potentissima e onnipresente classe accademica nei gangli del potere, la grande stampa continuò a denunciare, chiedendosi, ad esempio, come mai il rettore di una certa università statale avvertisse il bisogno di iscriversi ad una certa loggia massonica, pur facendo già parte di una confraternita che della massoneria (all’italiana) aveva tutte le caratteristiche mafiose. Qualcuno provò a denunciare lo strano silenzio degli intellettuali italiani su uno dei massimi scempi del paese (quello universitario), a chiedersi come mai nessuna seria voce si levasse per destare le coscienze civili e culturali di chi aveva titolo esclusivo per farlo: la categoria dei diretti  interessati, cioè.  Se non fosse che, come scriveva De Franchis – naturalmente «pazzo» per un milanese dell’epoca esperto di greggi e relativi usufrutti (prof. Omissis) – “al 99 per cento essi” (gli intellettuali, N.d.A.) “sono anche dei professori, legati cioè, al regime che offre loro ricchi stupendi e privilegi sibaritici che vanno ben oltre la dàcia assicurata agli «scienziati» del regime nell’Unione Sovietica dei tempi d’oro”. Ora Monti si trova a smentire dall’interno la fonte delle proprie critiche in quella sua nota intervista del ’94 (Parla l’economista Mario Monti – Io non ci sto – Attenti ai professori che si buttano in politica). Lo sta facendo con una cura da cavallo per gli italiani, nella prospettiva personale di un ritiro in tempi brevi. Quando la classe politica si riprenderà legittimamente il potere che le spetta per definizione, una volta risolto grazie ad altri – come i Monti di turno – i problemi drammatici del paese.

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