VITA PER USCIRE DALLA CRISI

vania de maio (da Alfonso D’Alessio)

Qualche giorno or sono ho incontrato un signore che si è presentato come un “collega” inviato dal Vaticano a ricordarmi che sono peccatore e proponendosi di confessarmi. Alla domanda se credessi a quello che diceva, ho risposto ringraziandolo per essersi scomodato nel venire a posta per rammentare un’ovvietà, e contemporaneamente mi sono raccomandato alle sue preghiere. Confuso più di quanto fosse all’inizio della conversazione, ha salutato facendomi il segno della croce sulla fronte. Nel lasciare la chiesa ha pensato di prendere in prestito un oggetto senza chiederne il permesso. Era un fratello ladro. Cose della vita! E sì, la vita, quella che tutti diciamo essere la realtà più importante del creato, da custodire e difendere, quella da  realizzare conferendogli un senso, quella colorita che a volte fa sorridere come nella storia raccontata di sopra. Ma è proprio così? Certo per noi cattolici la vita è un dono d’amore, frutto dell’amore e chiamata a realizzarsi nell’amore. La vita non è proprietà esclusiva da piegare all’egoismo, di essa non possiamo disporne come vogliamo, tantomeno abbiamo potestà su quella degli altri. Chi lucidamente direbbe il contrario? Chi negherebbe che anche il più piccolo gesto in spregio ad essa, pure a quella che abbiamo ricevuto in dono, avrebbe ripercussioni su quanti ci sono accanto? E invece nell’ubriacatura collettiva del nostro smemorato tempo si parla di diritto materno quando desideriamo mettere, nella disponibilità di una madre, la soppressione della vita nascente. Parliamo di dolce morte quando ci vergogniamo di affermare che il vecchio è ormai ritenuto un peso inutile, che è incapace di intendere e di volere qualora non disponesse l’assegnazione dell’eredità secondo le nostre desiderata, ma contemporaneamente di intelletto vivacissimo se dovesse chiedere di morire prime e togliere il disturbo. Ipocrisia contemporanea ed attualissima. Da far sorridere se non giocasse con la vita altrui, che nell’aborto scampato non è la nostra, ma che con l’eutanasia potrebbe diventarlo ancora. E allora bene fanno i vescovi italiani e tutta la chiesa a ricordare che generare la vita vince la crisi. La vita e non la morte vince quello che resta innanzitutto una crisi di valori e, a volte, di applicazione molto deficitaria dell’intelligenza.

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