Non siamo orfani: fino alla fine abbiamo un Padre che ci aspetta

 

vania de maio (Luca Roncolato) 

ROMA – Nella propria riflessione del mattino, Papa Francesco, durante la Santa Messa a Casa Santa Marta ha meditato sulla parabola del ricco epulone, contenuta nella Lettura del Vangelo di oggi (Lc 16, 19-31): la mondanità anestetizza l’anima, ha detto il Santo Padre, e ci rende incapaci di vedere la realtà.

È quanto succede nella parabola del giorno: il ricco epulone non era un uomo cattivo, ha spiegato Bergoglio, ma era un uomo malato. Egli aveva una malattia in grado di trasformare l’anima delle persone: la mondanità.

Infatti, ha continuato il Vescovo di Roma, per il ricco epulone, benché ci vedesse bene con gli occhi, “gli occhi della sua anima erano oscurati“. È questo ciò che causa la mondanità negli uomini: essi diventano ciechi, vedono solamente dentro la propria vita e così facendo si creano una realtà tutta loro.

La mondanità trasforma le anime, fa perdere la coscienza della realtà: vivono in un mondo artificiale, fatto da loro … – ha infatti chiarito Papa Francesco – La mondanità anestetizza l’anima. E per questo, quest’uomo mondano non era capace di vedere la realtà“.

È questo dunque il limite dell’avere il “cuore mondano“: l’essere centrati solo su se stessi, al punto da non riuscire più a “capire la necessità e il bisogno degli altri. Con il cuore mondano si può andare in chiesa, si può pregare, si possono fare tante cose” ma non si è in grado di provare compassione per gli altri.

Gesù stesso ha messo in guardia gli apostoli da questa malattia che è la mondanità: infatti “Gesù, nell’Ultima Cena, nella preghiera al Padre, cosa ha pregato? – ha chiesto il Santo Padre – ‘Ma, per favore, Padre, custodisci questi discepoli che non cadano nel mondo, che non cadano nella mondanità’.

È un peccato sottile, è più di un peccato – ha quindi concluso il Papa – è uno stato peccatore dell’anima“. Ciò nonostante, è possibile guarire: infatti proprio il dialogo tra Abramo e il ricco epulone, contenuto nella parabola, dimostra come siamo figli di Dio fino all’ultimo momento e che “non siamo orfani” poiché “fino alla fine, fino all’ultimo momento c’è la sicurezza che abbiamo un Padre che ci aspetta“.

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