(Direttore Salernoeconomy.it)
SALERNO – L’Italia ha il più ampio numero di giovani lavoratori autonomi tra i principali Paesi europei: 941.000 nella classe 20-34 anni. E si allarga il bacino di potenziali auto/imprenditori: il 15% di persone comprese nella fascia 16-30 anni ha intenzione di avviare una start up nei prossimi anni.
(Er.Pa.) – Come cambia la “geografia” del lavoro? Quali riflessi si avvertono di fronte al perdurare di una situazione alquanto difficile nei settori tradizionali che ancora scontano – nel migliore dei casi – la “coda” lunga della crisi? La fotografia del Censis disegna un panorama che evidenzia due directory prioritarie: da un lato il ricorso ai percorsi di inserimento occupazionale ricorrendo alle attività professionali autonome; dall’altro il bacino sempre più ampio di auto/imprenditori con particolare riferimento alle micro aziende impegnate nel segmento dell’innovazione tecnologica. Queste dinamiche sono particolarmente presenti al Sud e nelle regioni dove maggiore è la difficoltà di ottenere un lavoro stabile e ben retribuito. Si tratta di fenomeni senza alcun dubbio positivi, ma che vanno, in ogni caso, letti anche tenendo conto del rovescio della medaglia: tassi di occupazione (e di disoccupazione) estremamente preoccupanti e persistenti nella lunga durata.ù
Giovani imprenditori: un’ “impresa” possibile.
“L’Italia – spiega il Censis – ha il più ampio numero di giovani lavoratori autonomi tra i principali Paesi europei: sono 941.000 (nella classe 20-34 anni), seguiti da 849.000 inglesi e 528.000 tedeschi. Il nostro Paese può contare anche su un bacino di potenziali start up vitale e in continuo fermento. Il 15% dei giovani italiani (16-30 anni) ha intenzione di avviare una start up nei prossimi anni. E sono circa 7.000 i giovanissimi titolari d’impresa in più oggi rispetto al 2009 (+20,4%) in alcuni e ben caratterizzati settori, riscuotendo preziosi risultati sul piano personale e di sistema. Tra i segmenti più dinamici un ruolo particolare è svolto dall’area della ristorazione e della ricettività, nella quale operano quasi 20.000 titolari d’impresa al di sotto dei 30 anni (il 9,8% del totale)”. Donne e libere professioni alla prova del welfare. Cambia anche la tipologia del lavoro al femminile. “Negli anni più recenti – evidenzia il Censis – è aumentata la schiera delle libere professioniste, con un saldo positivo di 100.000 occupate tra il 2008 (325.000) e il 2014 (426.000). Si è trattato di nuova occupazione (il saldo del periodo è pari a 63.000 neo-occupati), ma anche di un travaso da altre forme di lavoro. Fatto 100 il numero complessivo di occupate al 2008, il dato riferito al 2014 risulta sostanzialmente invariato (100,7), mentre è stata netta la crescita delle libere professioniste (130,9)”. Diventa, quindi, centrale la sfida per “rafforzare le tutele e gli strumenti di assistenza a sostegno dei lavoratori, in particolare dell’universo femminile”. La sfera dell’assistenza ed il perimetro socio/familiare della condizione femminile diventano riferimenti importanti. “Problemi connessi alla salute – rimarca il Censis – situazioni legate alle responsabilità familiari, la maternità hanno coinvolto nel corso degli ultimi cinque anni il 37,8% delle professioniste, eventi che in un elevato numero di casi finiscono poi per ripercuotersi direttamente o indirettamente sulla sfera professionale: il 42,7% di quante si sono trovate in una delle situazioni critiche ha dovuto ridurre l’attività lavorativa; il 20%, pur non avendo ridotto l’attività, ha affrontato problemi con clienti, colleghi o altre persone della cerchia familiare o amicale; per un 18,8%, invece, l’attività lavorativa si è interrotta; solo il 18,6% afferma che, malgrado la complessità della situazione, l’attività lavorativa non ne ha risentito in alcun modo”.
Il profilo basso del lavoro.
L’innovazione impone nuovi approcci e stimola trend in grado di cambiare i profili occupazionali. “La crisi e le tecnologie digitali e dell’automazione – scrive il Censis – stanno modificando la struttura occupazionale dei Paesi a economia avanzata. La riduzione di 320.000 addetti rispetto al 2011, corrisponde all’1,4% del totale dell’occupazione, sintetizza da un lato una caduta dell’occupazione operaia e artigiana di quasi 600.000 addetti, dall’altro l’incremento di quasi 180.000 unità per il personale non qualificato (+7,9%), cui si aggiungono circa 100.000 addetti in più nelle categorie professionali medio-alte. Le previsioni per l’Italia al 2025 segnalano incrementi per quanto riguarda i dirigenti (+68%), le professioni intellettuali e scientifiche (+23%), le professioni tecniche intermedie (+18%). Più contenuta la dinamica positiva del personale non qualificato (+3,6%) e negativa quella concernente gli impiegati (-1,2%), mentre il lavoro nel terziario e nell’agricoltura, così come il lavoro artigiano e operaio, mostrerebbero una sostanziale riduzione, con variazioni che raggiungono il 23% in ambito agricolo”.
(Fonte: Com. Stampa censis.it/04.12.2015)