America Under Attack: sedici anni dopo !!

Aldo Bianchini

SALERNO – Sono già passati sedici anni da quel maledetto 11 settembre 2001 e sembrano scivolati sulla pelle di tutti noi, ameno così sembra, ma sono soltanto apparenze; nella realtà qualcosa o forse molto è cambiato nei nostri stili di vita. Dopo i primi anni durante i quali l’occidente sembrava aver rispedito al mittente tutte le bruttezze del terrorismo internazionale, da un po’ di tempo a questa parte è ritornato il terrore che si rinnova e si rinfocola ad ogni nuovo attentato. Anche a Salerno, capoluogo della nostra provincia, qualcosa sembra rapidamente cambiato e delle barriere di cemento hanno sigillato una delle strade più belle del territorio (alludo al Corso Vittorio Emanuele) ed altri punti saranno delimitati nei prossimi giorni; sono in arrivo la festività del Santo Patrono e le luci d’artista. L’America, però, sembra essersi già assopita dopo la devastante aggressione dell’11 settembre 2001 e si sveglia di tanto in tanto e, comunque, non rinuncia al suo stile di vita; uno stile che in Germania, Inghilterra, Francia, Spagna e Italia è già stato radicalmente adeguato alla bisogna, se non decisamente cambiato.

            Aveva perfettamente ragione il comandante in capo della flotta navale giapponese, Isoroku Yamamoto, quando qualche minuto prima di sferrare l’attacco contro la flotta statunitense del Pacifico a Pearl Harbor nella mattinata del 7 dicembre 1941 confidò ad uno dei suoi più fidati ammiragli che: “”l’attacco avrà l’effetto di una puntura d’ago sul dorso di un elefante””.

            Allora fu così, e probabilmente anche nel 2001 è stato così; l’America è un immenso elefante e crede molto in se stessa, e per questo dimentica facilmente le grandi tragedie; ha le potenzialità giuste per ripartire sempre daccapo e con maggiore forza.

            Nei pressi del famoso Ground Zero, alla fine di una delle street che confluiscono sul mega piazzale dove un tempo sorgevano le due torri gemelle del Trade World Center c’è un enorme crocifisso che esprime, pur nella sua semplicistica realizzazione, tutta la forza che l’America investe per le sue ripartenze, non a caso dal quell’enorme buco nero è nato uno dei grattacieli più belli del mondo, la Freedom Tower il principale edificio del New World Trade Center di New York, in Lower Manhattan,  che non a caso raggiunge l’altezza di 1776 piedi, pari a 541 metri e 33 centimetri ai quali si aggiungono i 5 metri del pennone che però non vengono calcolati nell’altezza totale. Il numero 1776 non è casuale: è stato scelto poiché rappresenta l’anno della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti.

            Questa è l’America, o meglio questa è New York agli occhi del viandante che dovesse capitare non tanto per caso da quelle parti. Un’America capace di risorgere dalle ceneri di un attentato che avrebbe fiaccato la resistenza e la capacità di reagire di qualsiasi altro Paese del mondo. Il buco enorme che è rimasto a perenne ricordo di quel tragico giorno e del crollo del World Trade Center (le due torri gemelle) è rappresentato da un’enorme vasca interrata; sul muretto di cinta sono stati iscritti per sempre tutti i nomi delle vittime innocenti (oltre tremila) di quella strage; l’enorme flusso di acqua sgorga dalle pareti della vasca quadrangolare e precipita verso il basso dove compone varie figure fino a sommergersi nelle viscere della terra per poi riemergere pulita e rimessa in circolo.

            Niente, però, potrà mai cancellare i dubbi e le incertezze degli accadimenti di quella tragica mattinata che lasciò attonito il mondo intero: gli aerei che si muovono incontrollati nei cieli statunitensi, l’immobilità degli obiettivi da colpire, la ostentata staticità dei sistemi di sicurezza, l’inutilità del famoso scudo spaziale voluto tenacemente da Ronald Reagan, l’insicurezza di un sistema difensivo che costrinse il presidente George W Bush a volare con il suo Air Force One per nove ore senza una precisa destinazione, ma anche lo stoico eroismo di centinaia di vigili del fuoco caduti nell’adempimento del loro dovere. Ma l’elefante continua il suo percorso senza fermarsi mai, neppure dinanzi alla straripante pericolosità di Irma, l’uragano più potente della storia americana; anche l’uragano probabilmente è soltanto una puntura di spillo sul dorso di un elefante.

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