ABITUDINI DI VITA E CORONAVIRUS

Avv. Giovanni Falci

(penalista – cassazioni sta)

 

avv. Giovanni Falci

SALERNO – Fra le ripercussioni, non sul mio piano personale, ma più in generale, più critiche dovute al coronavirus, un posto d’onore lo occupa senza dubbio il cambiamento delle abitudini di vita.

Anzi, più che semplice cambiamento, io la definirei una vera e propria “rivoluzione dei costumi”.

Nonostante tutti vorremmo conservare un piccolo margine di scelta sulle nostre azioni, le circostanze sono quelle che sono e le autorità (giustamente) non ce lo permettono.  Socrate direbbe: “dura lex, sed lex”.

E chissà, magari, perfino Antigone e Creonte sarebbe andati d’accordo sulla questione coronavirus.

In effetti, stare a casa non è solo legalmente obbligatorio, ma soprattutto eticamente giusto.  Un principio dettato da ragioni di opportunità.

Mutare le nostre radicate consuetudini di vita è una sfida per chiunque di noi.

È da qualche anno che mi porto appresso un’espressione che ho letto in un libro e che ritengo sia perfettamente calzante con la situazione attuale.

Gianrico Carofiglio, ne “L’estate fredda”, scrive che l’essere umano è in grado di abituarsi perfino ad uccidere. Come dargli torto.

L’avevo perfino sentito da un collaboratore di giustizia, un pentito per dirla alla vecchia maniera, che ha raccontato alla Corte di Assise che dopo l’”emozione” e lo “stress” del primo omicidio, quelli commessi dopo (ne ha confessati 50) avevano generato meno carica emotiva; fino a giungere a quelli per i quali era rimasto “indifferente”.

Con questa frase dal tenore tanto autentico quanto efferato, Carofiglio mette a nudo una delle crude verità dell’uomo: la sua adattabilità.

Non importa se questi dovrà abituarsi ai nuovi ritmi di una città, alle responsabilità genitoriali o all’assassinio. Sarà comunque capace di farlo.

Egli dispone di un tale sangue freddo che gli permette di consumare qualsiasi tipo di azione, benefica o dannosa che sia.

E se così è, perché non rinunciare a qualche mese, se c’è il rischio di perdere una vita intera?

Perché non vedere nel coronavirus un’occasione di guarigione e di rinascita interiore?
Se fossimo nell’antica Roma, Seneca ci avrebbe insegnato l’arte di vivere.

Ci avrebbe sicuramente indotto nell’animo la dedizione all’”otium” filosofico, rendendolo in noi un vero e proprio habitus.

Perché non cogliere l’opportunità per scoprire noi stessi, soprattutto spolverando quelle parti più nascoste che abbiamo trascurato?

Direbbe il nostro Giovanni Verga (“I Malavoglia”): “Certuni non sanno star soli neppure in paradiso“.

Espressione che io interpreterei così: accetta la tua solitudine, che rende sempre grandi omaggi!

Il grande Arthur Schopenhauer, nei suoi aforismi sulla saggezza del vivere, dice enfaticamente che “L’uomo volgare non si preoccupa che di passare il tempo, l’uomo di talento che di impiegarlo“.

E allora, non ci resta che munirci della pazienza di Giobbe (pazienza contro le disgrazie che gli capitano proprio come sta accadendo a noi) e trascorrere questa quarantena con meno affanno e più sostanza, come la natura ci insegna.

Tuttavia, in questo primo mese di isolamento, proprio l’eccessivo sforzo di adattamento alla nuova routine ha comportato fisiologicamente una sorta di oppressione, sia dello spirito che della mente.

Per spiegarmi meglio vorrei ricorrere alle parole di Guido Morselli, che parla di “dissipatio humani generis”.

Io chiaramente non la voglio mica intendere in senso pressoché solenne e divino come fa l’autore in quell’appassionante monologo sullo sfondo della solitudine assoluta e di un silenzio rotto soltanto da qualche voce di animale o dal ronzio di macchine che continuano a funzionare.
Rapportando questa espressione al nostro momento storico, io propenderei per l’accezione di una “disperata ironia”.

La stessa, per così dire, che percuote lo stato d’animo dei marinai descritto da Coleridge ne “la ballata del vecchio marinaio”. Prendiamo cioè questa “reclusione” in casa come una occasione per raggiungere la salvezza che deve passare dal fuoco del Purgatorio.

Per quanto possa apparire paradossale, ciò che è terribile rasenta sempre il ridicolo: è una legge della mente umana.

Entrambe le sensazioni nascono dalla percezione di un mutamento nell’ordine abituale delle cose, in cui qualcosa si viene a trovare fuori posto.

Infatti, se da una situazione simile si toglie il pericolo, rimarrà solo la sensazione di qualcosa di bizzarro, e ne risulterà stimolato il senso del ridicolo.

La stretta alleanza di questi opposti (che io invece reputo complementari) deriva dal fatto che la risata può essere al tempo stesso espressione di angoscia estrema ed orrore, ma anche di felicità.

Ebbene, come ci sono lacrime di dolore e lacrime di gioia, così ci sono risate di terrore e risate d’allegria.

Per tutti questi motivi, è naturale che noi cerchiamo di sfuggire al senso di oppressione provato a causa dell’ineluttabile permanere domiciliare.

Non manca nemmeno chi, in questo gran trambusto, getta benzina sul fuoco con teorie del complotto a dir poco eccentriche, che spaziano dagli 007 ai sionisti, passando per gli scienziati cinesi, per approdare a Bill Gates.

Ma questa è un’altra storia

Giovanni Falci

 

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