L’Inferno delle Case di Riposo gli errori ed i rimpianti delle esperienze altrui sono “il lievito” per aiutarci a crescere culturalmente e socialmente

Alberto De Marco

"Premonizione", dipinto di Renato Cocozza

Nel corso della nostra esistenza umana abbiamo sempre bisogno di imparare non soltanto attraverso le esperienze positive e negative che ci coinvolgono direttamente, ma anche dalla conoscenza di quelle che sono vissute dagli altri. Con una metafora possiamo rappresentare l’uomo come un albero, che necessita di cure particolari per produrre frutti ed ha la necessità per continuare a produrli e ad essere sempre rigoglioso, di subire il taglio dei rami secchi. Non sono forse le persone che hanno commesso degli errori e riconoscono di averli fatti, avendo sempre memoria di essi, quelli che possono trasformarsi da persecutori in martiri, come San Paolo, che è stato uno dei Santi, che ha contribuito in modo determinante alla diffusione del cristianesimo nei luoghi quasi irraggiungibili e diversi  all’epoca di Gesù; o che possono altresì trasformarsi da atei in persone straordinarie di grande umanità, con esempi fulgidi di concreta e vera cristianità; oppure da vigliacchi in eroi; auspicando che non si trasformino mai da vittime in carnefici, come purtroppo a volte avviene con gli ebrei, il popolo che ha subito maggiori atrocità con oltre 6 milioni di vittime nel secondo conflitto mondiale, ma che oggi alcuni di essi, provocano violenza sui bambini, i contadini ed i pescatori palestinesi, attraverso i soldati israeliani nel territorio di Gaza, determinando violenze anche sugli Osservatori dell’ONU, che per proteggerli si ponevano come “scudi umani”, un esempio emblematico è rappresentato dall’eroe italiano Vittorio Annigoni; ed infine dai demoni che si trasformano in Angeli, come Carmelo Musumeci, condannato all’ergastolo ostativo. Incarcerato a vita nel 1991, ha trascorso i primi 18 mesi in isolamento diurno, nonché i primi 6 anni di carcere in regime di 41 bis, una misura ideata per punire i colpevoli di reati di mafia. Non ha beneficiato per 20 anni neanche di un giorno di libertà vigilata, soltanto nel 2011 gli sono state concesse undici ore per ritirare la sua prima Laurea in Giurisprudenza all’Università di Perugia, che sono state essenziali per una sua ulteriore trasformazione e stimolazione per cominciare a comunicare e scrivere da dietro le sbarre di quel mondo che definisce:“…la morte dei sogni…”. C’è al riguardo un coinvolgente ed appassionato racconto, che si è impreziosito ulteriormente ed è divenuto il suo primo libro dal titolo “Undici ore d’amore per un uomo ombra”. Tale denominazione è utilizzata dall’ergastolano per descrivere i carcerati:“…definiti così perché una volta entrati in carcere smettono di esistere per la società perbenista e diventano semplici ombre di un passato da dimenticare …”. Musumeci che finalmente dopo avere trascorso diversi anni in carcere, ha preso consapevolezza dei suoi crimini, da analfabeta ha acquisito tre lauree ed ha pubblicato diversi libri, nei quali raccontava la sua vita ed i cattivi insegnamenti a delinquere dei genitori e dei nonni ed invitava pertanto le nuove generazioni non soltanto attraverso le sue pubblicazioni, ma con i Convegni presso diverse Scuole d’Italia, autorizzati dal Magistrato, a prestare la dovuta attenzione per non iniziare le brutte esperienze, del gioco, dell’uso di stupefacenti, che nel tempo ti portano a percorrere la strada prima della baby delinquenza, per poi intraprendere il percorso peggiore, “bolgia infernale” della più efferata criminalità. Dopo la trasformazione, sempre grazie all’autorizzazione del Magistrato, il dono maggiore che abbia potuto fare Carmelo Musumeci nella quotidianità, prima di rientrare la sera in carcere, è il suo impegno sociale, nell’arco della giornata presso la Comunità Religiosa di Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, che ha avuto qualche anno prima nel 2007, un ruolo importante anche nel cambiamento di Musumeci, che era un uomo “pieno di rabbia”: “… Avevo organizzato uno sciopero della fame di tutti gli ergastolani. Lo provocai. Ero sicuro che mi avrebbe detto di no. Così gli dissi, con tono sarcastico: se la sentirebbe di appoggiare la nostra manifestazione, quella dei cattivi e colpevoli per sempre?”. Questo incontro con Musumeci, avvenuto un breve lasso prima della morte di Don Oreste Benzi, non aveva ricevuto una risposta alla provocazione, bensì un sorriso, accompagnato dalle pregnanti parole: ‘Tutti possono essere recuperati’”. Musumeci era incredulo, si aspettava parole di condanna: “… Mi caddero tutti i pregiudizi verso il prete e anche verso la Chiesa. Da quel momento, noi detenuti non ci sentimmo più soli. Don Oreste chiese a tutta la comunità da lui fondata, Papa Giovanni XXIII, di appoggiare la nostra lotta. E in quel giorno iniziò il mio cambiamento. Don Oreste ci sdoganò, anche a livello sociale. In un momento in cui nessuno ci dava ascolto, lui ci fece sentire la sua solidarietà. Si fece nostro compagno di viaggio. Quello che dice oggi Papa Francesco sui detenuti, io lo sentii allora da don Benzi: “l’uomo non è il suo errore”. Quell’incontro è stato determinante nel completamento della metamorfosi di Carmelo Musumeci, che è uno scrittore ed ha intrapreso da tempo una battaglia tout-court per tutelare i diritti dei carcerati ed ha acquisito altresì la consapevolezza: “…che è giusto pagare dazio per i propri errori, ma non per questo bisogna perdere la dignità” ed ha terminato di provare risentimento per la società e si è completamente dedicato agli studi, fino ad acquisire altre due Lauree, nonché alla scrittura con diverse pregevoli pubblicazioni, che raccontano il suo passato e finalizzate all’interesse dei giovani, quale insegnamento per stimolarli ad osservare pedissequamente i principi morali e percorrere sempre “la retta via”, quella dell’onestà. Partendo da queste premesse ritengo che se desideriamo realizzare veramente una società diversa, bisogna prendere la parte positiva anche del “coronavirus”, quello spirito di solidarietà che maggiormente ci condiziona in questi periodi, esautorare ogni forma di animosità per tutte le diversità degli uomini, iniziando dal colore della pelle e dimostrare la nostra concretezza nell’amore per i meno abbienti ed auspicarla anche da parte della Chiesa e soprattutto di noi cattolici. Per vincere le incoerenze, incominciamo anche dalle piccole cose, nelle Chiese imperversano quadri che rappresentano la Madonna e Gesù, esaltando il colore della carnagione bianca e degli occhi azzurri, che certamente a livello inconscio alimentano e non sminuiscono il razzismo, falsificando la verità, infatti la loro carnagione era olivastra perché ebrei, come appare dalla mirabile opera “Premonizione”, olio su tela di 1 m. e 50 cm. X 1.m. del Maestro Renato Cocozza, che l’Associazione Amici di Totò…a prescindere! – Onlus, ha donato alla Chiesa della Direzione Nazionale dell’Istituto “Don Guanella” di Roma in Via Aurelia Antica. La Gerarchia ecclesiastica non deve ostacolare l’operato di Papa Francesco, che desidera dissolvere “il potere temporale” della Chiesa, per ritornare a quella delle origini, di vera condivisione di amore e dei beni con gli ultimi e gli emarginati. Diventa arduo persino riportare la corretta interpretazione del Padre Nostro, che come aveva precisato pubblicamente all’emittente televisiva del Vaticano, già da molto tempo Papa Francesco, è errato dire: “…non ci indurre in tentazione…” perché questa è una funzione tipica del demonio, ma non certamente di Dio al quale possiamo chiedere:“….non ci abbondonare in tentazione”.  La correzione doveva essere ufficializzata dai sacerdoti diversi mesi prima della chiusura delle Chiese a causa del “coronavirus”, ma non è avveduto perché evidentemente non era gradita dai tantissimi nemici di Papa Francesco, che come “modus vivendi” è il degno erede di S. Francesco. A conclusione di una salutare riflessione per una nostra crescita culturale ed una maggiore sensibilità per il sociale, attraverso l’esperienza propria e altrui propongo all’attenzione dei lettori, la lettera di un Avvocato, scritta per i figli e per i nipoti e pubblicata integralmente su Interris.it e ripresa da “Famiglia Cristiana”, che descrive in modo esaustivo i rimpianti, i rimorsi, e le riflessioni di chi sa di essere sul punto di morire. Un commovente addio e una dolorosa denuncia di un anziano, che viveva in una RSA, residenza sanitaria assistita, prima di ammalarsi e morire di coronavirus, dove a causa del Covid-19, si sono registrati la maggior parte dei decessi durante la pandemia. Inizia così la straziante lettera: “… Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti, l’ho consegnata di nascosto a Suor Chiara nella speranza che dopo la mia morte possiate leggerla. Comprendo di non avere più tanti giorni, dal mio respiro sento che mi resta solo questa esile mano a stringere una penna ricevuta per grazia da una giovane donna che ha la tua età Elisa mia cara. E’ l’unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso, ma da quando porta anche lei la mascherina riesco solo a intravedere un pò di luce dai suoi occhi; uno sguardo diverso da quello delle altre assistenti che neanche ti salutano. Non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere su dispiacere sapendo quanto avrete sofferto nel lasciarmi dentro questa bella “prigione”. Si, così l’ho pensata ricordando un testo scritto da quel prete romagnolo, don Oreste Benzi che parlava di questi posti come di “prigioni dorate”. Allora mi sembrava esagerato e invece mi sono proprio ricreduto. Sembra infatti che non manchi niente ma non è così…manca la cosa più importante, la vostra carezza, il sentirmi chiedere tante volte al giorno “come stai nonno?”, gli abbracci e i tanti baci, le urla della mamma che fate dannare e poi quel mio finto dolore per spostare l’attenzione e fare dimenticare tutto. In questi mesi mi è mancato l’odore della mia casa, il vostro profumo, i sorrisi, raccontarvi le mie storie e persino le tante discussioni. Questo è vivere, è stare in famiglia, con le persone che si amano e sentirsi voluti bene e voi me ne avete voluto così tanto non facendomi sentire solo dopo la morte di quella donna con la quale ho vissuto per 60 anni insieme, sempre insieme. In 85 anni ne ho viste così tante e come dimenticare la miseria dell’infanzia, le lotte di mio padre per farsi valere, mamma sempre attenta ad ogni respiro e poi il fascino di quella scuola che era come un sogno poterci andare, una gioia, un onore. La maestra era una seconda mamma e conquistare un bel voto era festa per tutta la casa. E poi, il giorno della laurea e della mia prima arringa in tribunale. Quanti “grazie” dovrei dire, un’infinità a mia moglie per avermi sopportato, a voi figli per avermi sempre perdonato, ai miei nipoti per il vostro amore incondizionato. Gli amici, pochi quelli veri, si possono veramente contare solo in una mano come dice la Bibbia e che dire, anche il parroco, lo devo ringraziare per avermi dato l’assoluzione dei miei peccati e per le belle parole espresse al funerale di mia moglie. Ora non ce la faccio più a scrivere e quindi devo almeno dire una cosa ai miei nipoti… e magari a tutti quelli del mondo. Non è stata vostra madre a portarmi qui ma sono stato io a convincere i miei figli, i vostri genitori, per non dare fastidio a nessuno. Nella mia vita non ho mai voluto essere di peso a nessuno, forse sarà stato anche per orgoglio e quando ho visto di non essere più autonomo non potevo lasciarvi questo brutto ricordo di me, di un uomo del tutto inerme, incapace di svolgere qualunque funzione. Certo, non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine, ci sono anche alcune persone educate ma poi di fatto noi siamo solo dei numeri, per me è stato come entrare già in una cella frigorifera. In questi mesi mi sono anche chiesto più volte: ma quelli perché hanno scelto questo lavoro se poi sono sempre nervosi, scorbutici, cattivi? Una volta quell’uomo delle pulizie mi disse all’orecchio:“sai perché quella quando parla ti urla? Perché racconta sempre di quanto era violento suo padre, una così con quali occhi può guardare un uomo?”. Che Dio abbia pietà di lei. Ma allora perché fa questo lavoro? Tutta questa grande psicologia, che ho visto tanto esaltare in questi ultimi decenni, è servita solo a fare del male ai più deboli? A manipolare le coscienze e i tribunali? Non voglio aggiungere altro perché non cerco vendetta. Ma vorrei che sappiate tutti che per me non dovrebbero esistere le case di riposo, le RSA, le “prigioni” dorate e quindi, si, ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro, almeno il dolore delle vostre lacrime unite alle mie avrebbero avuto più senso di quelle di un povero vecchio, qui dentro anonimo, isolato e trattato come un oggetto arrugginito e quindi anche pericoloso. Questo “coronavirus” ci porterà al patibolo ma io già mi ci sentivo dalle grida e modi sgarbati, che ormai dovrò sopportare ancora per poco …. l’altro giorno l’infermiera mi ha già preannunciato che se peggioro forse mi intuberanno o forse no. La mia dignità di uomo, di persona perbene e sempre gentile ed educata è stata già uccisa. Sai Michelina, la barba me la tagliavano solo quando sapevano che stavate arrivando e così il cambio. Ma non fate nulla vi prego…non cerco la giustizia terrena, spesso anche questa è stata così deludente e infelice. Fate sapere però ai miei nipoti, e ai tanti figli e nipoti, che prima del coronavirus c’è un’altra cosa ancora più grave che uccide: l’assenza del più minimo rispetto per l’altro, l’incoscienza più totale. E noi, i vecchi, chiamati con un numeretto, quando non ci saremo più, continueremo da lassù a bussare dal cielo a quelle coscienze che ci hanno gravemente offeso affinché si risveglino, cambino rotta, prima che venga fatto a loro ciò che è stato fatto a noi. Vostro nonno.

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