Se assumi farmaci antiepilettici cosa fai in gravidanza?

da Dr. Alberto Di Muria
Padula-L’epilessia è un disturbo neurologico cronico caratterizzata da una predisposizione all’insorgenze di crisi epilettiche, sintomo peculiare della malattia. Queste crisi si manifestano come la risposta ad una scarica elettrica anomala e incontrollata di gruppi di neuroni, le cellule nervose che risiedono nel cervello, con manifestazioni improvvise, involontarie, di breve durata caratterizzate da contrazioni e spasmi muscolari, accompagnate in alcuni casi da perdita di coscienza. Non tutte le crisi, però, sono un sintomo di epilessia, perché la crisi è un evento che di per sé può colpire qualsiasi persona.
Parliamo di malattia epilettica quando le crisi epilettiche sono ricorrenti, spontanee e che si verificano nell’arco di 24h. Questa condizione porta da sempre con sé un certo stigma sociale, che aumenta ancor di più nel caso delle donne che desiderano una gravidanza. L’epilessia non è più un motivo per rinunciare alla gravidanza, bisogna solo prendere alcune precauzioni. In queste donne è consigliato infatti programmare le gravidanze in modo da iniziare ad assumere regolarmente acido folico, che ha dimostrato nel successivo sviluppo del bambino migliori esiti cognitivi e comportamentali, e per discutere con il proprio medico un eventuale cambio nella terapia.
Se infatti è quasi impossibile interrompere l’uso dei farmaci antiepilettici in vista di una gravidanza, perché il rischio delle crisi è generalmente maggiore del rischio legato ai farmaci, quando è possibile si tende a modificare la strategia terapeutica verso farmaci che possono minimizzare il rischio di malformazioni fetali pur garantendo un buon controllo delle crisi della madre.
In generale, ci sono oltre 30 farmaci utilizzati nelle terapie antiepilettiche, ma solo pochi di questi presentano dati adeguati riguardanti il loro utilizzo in gravidanza. È stato osservato un lieve aumento del rischio di difetti congeniti a carico de tubo neuronale in bimbi esposti nel corso del primo trimestre di gravidanza a farmaci come il Valproato ed il Fenobarbital. Inoltre, per il Valproato, sono stati osservati un aumento del rischio del rischio di alcuni disturbi del comportamento e una lieve riduzione delle performance cognitive fin dai primi anni di vita del bambino.  Per questo motivo sono state emanate delle restrizioni d’uso del Valproato, preferendo terapie con altri farmaci come la Lamotrigina e il Levetiracetam, che a basse dosi di farmaco danno un rischio inferiore di complicanze per il bambino. In virtù della modifica del loro metabolismo in gravidanza, dovrebbe essere effettuato un monitoraggio regolare alle dosi plasmatiche dei farmaci che potrebbero risultare ridotti nel sangue con conseguente riduzione della protezione antiepilettica. In questi casi è necessario un aumento della dose assunta, che non corrisponde ad un reale aumento della quantità di farmaco che raggiunge il cervello, ma è fatto per contrastare il maggiore ‘consumo’ che se ne ha in gravidanza. Inoltre, la politerapia con farmaci antiepilettici rispetto all’uso degli stessi in monoterapia ha dimostrato un maggiore rischio di effetti teratogeni, in particolar modo se è presente il Valproato.
Ad oggi le informazioni sull’uso in gravidanza per la maggior parte dei farmaci antiepilettici sono ancora sconosciute, quindi sono necessari ulteriori studi per valutare i rischi per i nuovi farmaci antiepilettici.

 

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