Infortunio sul lavoro: condannati d.l. e committente … il caso di Francesco Veneroso

 

Aldo Bianchini

Avv. Franco Maldonato - difensore eredi di Francesco Veneroso

SALERNO / PALINURO – Se ci fermiamo soltanto alla lettura della sentenza di appello che conferma le condanne per Giovanni Marrazzo (datore di lavoro) e Giuseppa Stanziola (committente), casualmente madre e figlio, potremmo tutti quanti gridare che “finalmente giustizia è stata fatta” per un infortunio sul lavoro, in cui rimase vittima Francesco Veneroso (64enne di Pisciotta) precipitato dal tetto di una casa in Palinuro sul quale stava eseguendo dei piccoli lavori di ripristino delle tegole; infortunio verificatosi addirittura nel lontano 2011.

Dodici anni abbondanti per fare giustizia sono sinceramente troppi, ma la giustizia in questa Nazione funziona così e che Dio ce la mandi buona, anche se in questo caso specifico la magistratura giudicante in maniera quanto mai opportuna non è entrata nel sociale, tracimando dai suoi compiti, per rimarcare il rilievo enorme che questo caso potrebbe avere per contribuire a far lievitare la cosiddetta “cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro”.

E non lo hanno fatto neppure i due noti avvocati (il vincitore Franco Maldonato e il perdente Agostino De Caro) impegnati direttamente nella causa come da loro compito; e soprattutto non lo ha fatto e non lo farà la politica che è assolutamente sorda e ipovedente in relazione a questi casi che potrebbero essere elevati a modelli culturali, a dir poco scolastici, per far capire a tutti come ci si deve comportare in un cantiere di lavoro; messo che cantiere è anche quando un operaio e/o artigiano sale su un tetto per sistemare l’antenna o sostituire qualche tegola rotta (come nel caso del povero Veneroso).

Avv. Agostino De Caro - difensore degli imputati Marrazzo e Stanziola

Non compete a me entrare nei fatti di causa incardinata prima nel tribunale di Vallo e poi nella Corte di Appello di Salerno; io posso e devo soltanto spiegare che anche tutto quello che normalmente facciamo dentro e sopra la nostra abitazione deve essere fatto rispettando le leggi che esistono fin dal 1955 in materia di “sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro” (DPR n. 547 del 27 aprile 1955).

Nel mese di giugno di quest’anno ho avuto la necessità di chiamare un antennista (regolarmente iscritto ed assicurato come artigiano) per sistemare l’antenna Sky sul tetto della mia casa nel comune di Sassano; mentre l’operatore stava lavorando sul tetto, facendo leva sulle mie reminiscenze di ispettore di vigilanza degli infortuni sul lavoro, ho detto ad Antonio (questo il suo nome di battesimo) che stava lavorando bene dal punto di vista tecnico ma malissimo da quello della sicurezza in quanto era sprovvisto anche della semplice cintura di sicurezza.

Lì per lì non mi rispose e non fece un piega; un volta sceso dal tetto si fermò e disse: “Hai ragione, ma secondo te quanto dovevo chiederti per fare questo lavoretto se, per rispettre le leggi, avrei dovevo utilizzare un cestello mobile con tanto di operatore e creare un punto di aggancio per la cintura prima di scendere dal cestello sul tetto. E per fare questo io e te avremmo anche dovuto sottoscrivere un piccolo contratto con te nella qualità di committente e me in quella di operatore/datore di lavoro e semmai con la nomina anche di un direttore dei lavori e di un responsabile della sicurezza”.

Rimasi in silenzio a meditare e capire che è proprio questo il gap che impedisce alla cultura della sicurezza di decollare in maniera generalizzata e definitiva; le chiacchiere infinite che siamo costretti ad ascoltare ed a subire dai grandi talk show televisivi ogni qualvolta accade un infortunio mortale sul lavoro non costruiscono niente di buono ed il rischio rimane sempre elevatissimo, purtroppo.

 

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