Il Mes, cartina di tornasole del nuovo bipolarismo

 

by Luigi Gravagnuolo 23 Dicembre 2023

Nella seduta di giovedì 21 dicembre l’Aula di Montecitorio ha respinto la proposta di legge di Ratifica ed esecuzione dell’Accordo recante modifica del Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità. Tale accordo per la modifica del Mes era stato sottoscritto a Bruxelles il 27 gennaio e l’8 febbraio 2021.

Il voto ha messo in luce il vero nuovo bipolarismo italiano – e non solo italiano – quello tra populismo e globalismo. Cartina di tornasole l’Europa.

Hanno votato contro – e si sono fatti battaglia a metterci il cappello – la Lega di Salvini e il M5S, ai quali si sono aggiunti, dopo qualche titubanza, anche i FdI. Questi ultimi, a nostro avviso, più per non lasciare il campo elettorale del populismo alla Lega che per intrinseca convinzione. A favore della ratifica invece il PD, IV, Azione e +Europa, vale a dire le formazioni più convintamente europeiste del nostro Parlamento. Forza Italia e Noi moderati, pur su posizioni europeiste, per non strappare con la coalizione di centrodestra e per mantenere il filo del dialogo col resto dei Paesi dell’Eurozona, si sono astenuti. Così come a sinistra, per altri motivi, hanno fatto i deputati dell’Alleanza Verdi e Sinistra.

Messi di fronte all’Europa e nell’imminenza del voto per il rinnovo del Parlamento europeo, centrodestra e campo largo hanno così palesato il carattere di comodo delle due coalizioni, prive come sono entrambe di una comune base valoriale. Peraltro quella di sinistra, il cosiddetto campo largo, appare ad oggi più un pio desiderio del PD che una realtà.

Insomma, il Paese reale è diviso tra populisti ed europeisti, mentre quello legale è ancora imprigionato nella dialettica post tangentopoli tra centrodestra e centrosinistra. È appena il caso di chiarire che gli attuali numeri a Montecitorio non consentono di fantasticare su eventuali alleanze alternative europeisti V/s populisti in questa legislatura. Senza FdI nessuno può governare l’Italia, a meno di non voler mettere assieme tutti, dalla Lega alla sinistra, escludendo i soli FdI, come fu con Draghi premier. Ipotesi questa oggi addirittura surreale.

Quella attuale è dunque la maggioranza che ci governerà fino allo scioglimento delle Camere. Alla fine naturale della legislatura, ovvero per una eventuale insormontabile crisi politica con scioglimento anticipato. Nessun cambio di maggioranza in vista, ma fibrillazioni crescenti, sia dentro il centrodestra che nel centrosinistra. Questo lo scenario dei prossimi mesi, che si protrarrà anche nel post voto europeo di giugno. Voto che, di per sé, si giocherà su cinque temi, costituenti ad oggi l’agenda setting all’ordine del giorno: il Mes, il Patto di Stabilità, la questione dei migranti, i diritti civili e gli scenari di guerra. Li analizzeremo nel corso dei prossimi giorni e li seguiremo fino al voto. Oggi cominciamo dal Mes.

Bocciata lo scorso 21 dicembre la ratifica della modifica del Meccanismo Europeo di Stabilità, come si è sopra ricordato, ai sensi del Regolamento della Camera dovranno ora passare sei mesi prima che la proposta venga riesaminata dall’aula. Essa sarà dunque ri-sottoposta al voto dei deputati – grosso modo tal quale a quella bocciata nei giorni scorsi – dopo quello che avranno espresso i cittadini nelle urne a giugno. C’è da giurare che i parlamentari non potranno non tenere conto delle indicazioni dell’elettorato popolare. Una prima considerazione dunque: il voto dei cittadini per il Parlamento europeo inciderà direttamente sugli orientamenti del Parlamento italiano nel merito di una proposta di legge. Non ricordiamo un precedente di tal fatta. Ma vediamolo il merito della vexata quaestio.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità, firmato nel 2012 anche dal nostro Paese, è stato istituito dagli Stati che hanno adottato l’euro allo scopo di costituire un fondo di garanzia a sostegno dei Paesi dell’eurozona che dovessero trovarsi in difficoltà congiunturale. Per questo è anche chiamato ‘fondo salva-stati’. Ciò a tutela della stabilità dell’euro in caso di turbolenze dei mercati finanziari. L’Italia ci ha già messo 14,3 miliardi di euro. Esso vale come garanzia per l’accesso al credito da parte dell’eventuale Paese in condizione critica: il Paese in crisi può chiedere prestiti alle banche, compresa la BCE, avvalendosi della garanzia del Mes. Deve però impegnarsi ad adottare un piano di riforme, sorvegliate dalla Commissione europea, dalla Bce e dal Fondo monetario internazionale. Un po’ sul modello di quanto fu fatto con la Grecia anni fa. I Paesi in difficoltà sono liberi di farvi ricorso o no; non hanno alcun obbligo a farlo.

Dei venti Paesi dell’Eurozona 19 hanno ratificato la modifica del Mes, solo l’Italia si è rifiutata. Chi dunque sostiene che col voto del 21 dicembre il nostro Paese si è isolato dalla famiglia europea non ha torto, la solitudine dell’Italia è lampante.

Ma perché il nostro Governo ha chiesto al Parlamento di non ratificare la modifica del Mes ottenendone il voto? Nel Mes modificato c’è un corollario su cui si sono impuntati i populisti. Abbiamo visto come l’Italia abbia già versato 14,3 miliardi di euro al fondo. Nel contempo il nostro Paese è impegnato in caso di necessità, sempre sulla base del patto del 2012 istitutivo del Mes, a versarne ulteriori fino ad un massimo di 125 miliardi, il cosiddetto capitale autorizzato non versato. Orbene, il Mes modificato nel 2021 prevede la possibilità di aiutare non più solo gli Stati, ma anche le banche europee in difficoltà, con un ulteriore fondo finanziato dalle banche degli altri Paesi. Dunque – sostengono in particolare i rappresentanti della Lega – le nostre banche, che oggi godono di ottima salute, potrebbero essere costrette ad erogare prestiti alle banche di altri Paesi in difficoltà, assumendone i relativi rischi. Ed il Governo dovrebbe mettere a garanzia del prestito erogato dalle banche parte del capitale autorizzato non versato. Altra critica è rivolta all’automatismo delle obbligazioni di solidarietà. Chi ha votato contro vuole che, nel caso, ogni decisione di merito venga sottoposta puntualmente al Parlamento.

C’è da dire che, per dichiarazione degli stessi membri del Governo in Commissione parlamentare nei mesi scorsi e finanche lo scorso 20 dicembre, il giorno prima del voto contrario alla ratifica, ivi compresi quelli della Lega, “non vi sarebbe un incremento apprezzabile delle probabilità che l’Italia debba versare quote di capitale” (resoconto stenografico della relazione del sottosegretario Federico Freni). Dunque il rischio che l’Italia sia costretta a versare ulteriori miliardi, in caso di emergenza, è, secondo i membri del Governo, un caso limite pressoché insussitente. Peraltro il passaggio parlamentare è già di fatto obbligato. Se il Governo dovesse attingere al fondo del capitale autorizzato non versato, dovrebbe necessariamente ottenere previamente dal Parlamento una variazione della Legge di Bilancio.

Ed allora perché Lega e FdI hanno votato contro? La lettura politica pre-elettorale di questa forzatura è semplice ed incontestabile: entrambe le formazioni di maggioranza non hanno voluto lasciare il campo elettorale del populismo ai soli pentastellati. E, tra di loro, ad una sola di esse.

 

 

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