UN’ARMA NEL CUORE: la recensione dell’avv. Giovanni Falci

 

La redazione

Avv. Giovanni Falci (penalista - cassazionista)

SALERNO – Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo la recensione firmata dall’avv. Giovanni Falci sul libro “Un’arma nel cuore” di Angelo Jannone (già colonnello del ROS-Carabinieri) che è stato presentato il 14 marzo 24 nei saloni del Circolo Canottieri Irno di Salerno.

Avv. Giovanni Falci:

Ho conosciuto, ma solo superficialmente, Angelo nel 1995/6 in occasione di un processo molto importante che si celebrò innanzi la Corte di Assise di Catanzaro.

Ero l’avvocato della protagonista del capitolo 16 di questo libro.

Ho ritrovato Angelo anni dopo, nel 2012 in occasione della presentazione del “padre” di questo libro, “EROI SILENZIOSI”, un’opera che ho molto apprezzato e che non saprei in quale categoria collocare.

Forse quella più pertinente potrebbe essere il ROMANZO STORICO perché, in fin dei conti, Angelo ci racconta, attraverso i suoi occhi e il suo cuore, uno spaccato della Storia d’Italia dagli anni 80 al 2000.

Poi, però, il libro, nella nuova edizione, “un’arma nel cuore”, si è completato con un’altra storia, questa volta più intima e anche dolorosa che lo ha visto protagonista di un processo che ha subìto e dal quale ne è uscito, come era ovvio che fosse, assolto con la formula più piena.

Non è mia intenzione recensire il libro per gli aspetti delle indagini e giudiziari, voglio solo evidenziare, da giurista, un passaggio assai interessante e soprattutto di grande attualità: Angelo, nel suo libro fa la differenza tra essere CURIOSO e FICCANASO (pag. 334). In questi giorni tutti stiamo seguendo l’indagine di Perugia sul cd “dossieraggio”, che in italiano corretto si dice sugli “accessi irregolari agli archivi investigativi”.

Dr. Angelo Jannone (scrittore - già colonnello dei ROS)

Angelo ha colto nel segno con quelle due parole molto appropriate: vada per la curiosità utile per le indagini, ma bando al ficcanaso da gossip o peggio per fini politici.

Sotto l’aspetto letterario nell’opera di Angelo ho trovato una qualità artistica notevole.

Ho trovato un’intensità sentimentale molto profonda, ma soprattutto molto vera.

ecco, il pregio di questo romanzo è proprio la sua autenticità, spontaneità, naturalezza.

Secondo me Angelo si racconta in queste pagine senza schermi, senza calcoli, senza mediazioni. Egli è proprio così e basta!

Voglio proporre delle brevi riflessioni su alcuni punti che mi hanno particolarmente colpito analizzando una breve frase del libro, o addirittura una sola parola.

PALERMO ERA SPLENDIDA, MISTERIOSA, COME UNA BELLA FEMMINA” (pag. 181), e, però, “PALERMO È UNA CITTÀ DIVERSA, CARATTERIZZATA DA UNO STRANO FOLKRORISMO: IL FOLKRORISMO DELL’ANTIMAFIA”. (pag. 74)

Ecco qui la voce del vero intellettuale.

Angelo come Leonardo Sciascia è critico difronte a quell’antimafia che definisce, secondo me benissimo, folkroristica, ricorrendo a una descrizione meno cruda di Sciascia che parlò di “mafia dell’antimafia”.

Angelo con quel termine sintetizza il concetto di Sciascia che diceva che: “la vera antimafia è un acquedotto in più, anche a costo di un convegno in meno”.

Mi piace quel suo punto di vista di un’antimafia pittoresca, apparente e superficiale,

quella appunto dei convegni di Sciascia e delle “fiaccolate” inutili fatte da chi però il più delle volte si tira in dietro quando c’è da esporsi in prima persona.

Fatte per farsi vedere ma non perché ci si crede!

E che angelo abbia avuto questa percezione della città e dell’antimafia è vera perché è la percezione del carabiniere con la C maiuscola.

Dott.ssa Elena Guarino (sostituto procurate antimafia di Salerno)

Come ci dice l’autore? “IL CODICE GENETICO DEL CARABINIERE: NON C’È POSTO PER IL TRADIMENTO E PER L’INGANNO” pag. 81, e quell’antimafia folkroristica è, in fin dei conti, un inganno.

Un altro bel passaggio del libro è a pag. 152 “MALE NON FARE, PAURA NON AVERE”.

Anzi è il punto e il passaggio più bello e più intenso del libro: Angelo, in quel punto, fa parlare la madre!

Io ho percepito in tutta l’opera un forte legame di Angelo con la sua famiglia e, più in generale con il concetto di famiglia.

ALLE LORO SPALLE C’ERA L’ARMA, LA GRANDE FAMIGLIA” (pag. 218), “TUTTO SAPEVA DI FAMIGLIA” dice a pag. 181, E ancora, “NON AVEVO ANCORA 4 ANNI, AVEVAMO APPENA MANGIATO IL RAGÙ PUGLIESE, PREPARATO DA MIA MADRE (di nuovo la madre). ERAVAMO TANTI IN FAMIGLIA (ancora la famiglia). DUE CARABINIERI AVEVANO BUSSATO ALLA PORTA. MIO PADRE ERA STATO PORTATO VIA SOTTO GLI SGUARDI ATTONITI DI TUTTI NOI. UN ERRORE DI PERSONA CHIARITO DOPO QUALCHE MESE” Quella storia potremmo definirlo un “precedente familiare”: l’arresto dell’innocente.

E che dire se non che quel bambino a tavola diventerà quel padre che vedrà “LA MIA PICCOLA ROBERTA CHE LI GUARDAVA STUPITA E DIVERTITA, CREDENDOLI AMICI VENUTI A FARCI VISITA” (pag. 158).

La piccola figlia che assisterà alla perquisizione a suo carico nell’abitazione di Milano.

Dicevo prima il pregio letterario dell’opera: che bella e intensa  espressione, “IL SAPORE DELLA FAMIGLIA”, come qualcosa che ti nutre.

E chi se non la madre nutre il proprio figlio.

MA CHI SA COSA SIGNIFICA L’AMORE PER I FIGLI NON PUÒ NON COMPRENDERE IL DOLORE DI QUELLA ANZIANA DONNA (UN’ALTRA MADRE) E QUEL SUO GRIDO SOFFOCATO NELLE MICROSPIE VERSO L’UOMO CHE SECONDO LEI AVEVA RAPPRESENTATO LA CELLULA TUMORALE, IL VIRUS INFETTIVO: TOTÒ RIINA” (pag. 216).

Le madri sono tutte uguali! anche le madri di mafiosi; anche loro vivono “IL DRAMMA FAMILIARE”. Le madri capiscono e non abbandonano!

In un momento delicato della sua vita, in un momento drammatico dal quale, sono sicuro, neanche ora è venuto fuori, perché da certe cose non si viene fuori con una sentenza di assoluzione in nome del Popolo Italiano, in quel momento la guida non è il generale o il giudice, ma è la Madre.

Forse anche in questo Angelo è Carabiniere, appartiene cioè a quell’arma che è devota alla Madonna, la madre per antonomasia.

La madre con la frase che ho ricordato, “MALE NON FARE, PAURA NON AVERE” in quel momento rappresenta per Angelo la Madonna.

Ma anche di più perché Angelo evoca in un altro passo la Dea Teti che perde Achille, suo figlio, e che si dispera.

La perdita del figlio e’ un dolore universale che travalica la religione e la storia.

La frase della madre è profondamente diversa da quella del burocrate: “A ME NESSUNO POTRÀ MAI FARMI DEL MALE, PERCHÉ IO NON HO MAI FATTO DEL BENE A NESSUNO”.

La madre esprime un giudizio etico, la morale, il bene, calato nella prassi il fare, (MALE NON FARE), dà un consiglio semplice, direi di etica naturale.

Dr. Angelo Agovino (generale di corpo d'armata)

Il burocrate esprime un concetto cinico, e si sa che il cinico, come diceva Oscar Wilde, “è colui che sa il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna”.

Angelo ci racconta anche i suoi “difetti”: “IL MIO GRANDE DIFETTO È NON SAPERE MAI DIRE NO” (pag. 255) e di “VOLERE SEMPRE DIMOSTRARE QUANTO VALGO”.

Ma sono “difetti” positivi che gli provengono da una educazione familiare coltivata nell’arma dei Carabinieri.

A proposito della storia dell’indagine e del processo a suo carico, ho trovato un punto di contatto molto forte con l’opera di Camus “La Caduta” nella quale il protagonista potrebbe essere Angelo che riguarda la sua vita e ne racconta la morale che ne ha tratto.

il problema è di scivolar via, e soprattutto, evitare il giudizio, non dico evitare il castigo. Il castigo senza giudizio è sopportabile, ha un nome: sventura. no, si tratta invece di sfuggire al giudizio, di evitare d’esser sempre giudicati senza che mai venga pronunziata la sentenza dice il protagonista dell’opera teatrale di Camus e con questo esprime l’amara sorte di chi viene processato e sbattuto in prima pagina.

Quella differenza sottile ma profonda tra “castigo” e “giudizio” che non sono legati.

Non basta l’assoluzione del Giudice, anche se divulgata dalla stampa, ci sarà sempre chi giudicherà senza che mai venga pronunziata la sentenza; ci sarà sempre un alone, un retro pensiero: chissà, saranno stati bravi gli avvocati; sicuramente qualcosa c’era se no mica si va sotto processo per niente.

E tutto questo ha anche un senso, una drammatica spiegazione che sempre in quell’opera Camus ci svela e che incrocia e si intreccia con il testo di Angelo Jannone.

Angelo ci dice: “COMINCIAVO A CHIEDERMI SE ANCHE IO AVESSI MAI RAGIONATO COSÌ, NELLE MIE TANTE INDAGINI. E ORA ERO IN POSIZIONE DIVERSA”.

che cosa è, allora, questo passaggio, questo vedere le cose in posizione diversa se non la trasposizione del giudice penitente di Camus nella “la caduta”? per giudicare bisogna prima pentirsi e riconoscere le proprie colpe; bisogna diventare Giudici Penitenti! “d’altronde non possiamo affermare l’innocenza di nessuno mentre possiamo affermare con sicurezza che tutti sono colpevoli”, è questo che ci rende uguali, la colpa è la cosa più democratica.

Perfino Gesù sulla croce sapeva di non essere completamente innocente.

I bambini di giudea massacrati mentre i suoi genitori lo portavano al sicuro, perché erano morti, se non per causa sua? da qui quel grido “perché mi hai abbandonato?” che rende Gesù in tutta la sua umanità.

Ecco allora, la spiegazione che mi sento di dare ad Angelo, al suo dolore che traspare in ogni rigo del racconto del suo processo, è il perché l’umanità è portata a considerare “colpevole” il prossimo; lo fa per renderlo più simile a sé stesso; lo fa perché è la colpa che accomuna, è connaturata all’essere umano.

Tornando all’analisi più propriamente letteraria si ritrova, e si intuisce tra le righe, l’evocazione della madre e della madonna anche in un altro passaggio del libro.

Infatti, questo della madre e della famiglia è una specie di filo conduttore che lega tutte le storie.

LA MORTE DI UN CARABINIERE PER UN COMANDANTE È COME QUELLA DI UN FIGLIO PER UN PADRE. SEMBRA NON POSSA ACCADERE MAI, INVECE ACCADE”. (pag. 358)

Al netto del fatto che in quel passo si parla di padre che perde un figlio perché il paragone è con il comandante di quel carabiniere morto assassinato in servizio, il dolore per la morte del figlio non può che evocarci la Madonna ai piedi della croce;

la Madonna addolorata è l’immagine del dolore!

in tutta la storia dell’arte, quando il pittore ha dovuto rappresentare il dolore, da Giotto a Chagall, quando ha dovuto fare vedere in una immagine dipinta, un sentimento, il dolore appunto, l’immagine è stata quella della Madonna sotto la croce che neanche piange ma che esprime la sua più alta disperazione.

E Angelo ricorre allo stesso tema: è innaturale vedere la morte del figlio;il genitore deve morire prima.

La pietà di Michelangelo è il dolore scolpito in quelle PIETRE CHE NON HANNO UN’ANIMA come Angelo sente dire al barbone che incontra davanti al palazzaccio a piazza Cavour.

Altro personaggio, questo barbone centrale dell’intero racconto.

E anche quel barbone ci riporta quell’avvocato, protagonista della “la caduta” che dice al suo connazionale che incontra al porto di Amsterdam “non mi mancava niente ma … poi..

e questo personaggio della caduta non a caso appare nel momento in cui Angelo aveva capito che significa cadere, perdersi, e perché no, disperarsi.

è affascinante, lirico come si conclude quell’incontro; gli dice il barbone a proposito della birra che angelo gli offre: “COS’È UN BIGLIETTO PER ASCOLTARMI O PER ASCOLTARTI?

proprio così, a volte, quelle volte, si ha bisogno di solidarietà che ti può venire da un barbone e non da un barone.

E ancora gli spiega che “PUÒ MORIRSI DENTRO E PUÒ MORIRSI FUORI” e sicuramente quel processo cui è stato sottoposto, al di là dell’esito, ha decretato la morte dentro di Angelo!

Ho trovato nel romanzo il richiamo alle meteore greche, a Penelope, alla dea Teti, madre di Achille che mi ha fatto capire quanto Angelo si è nutrito di quella cultura greca che ha raggiunto la sua massima espressione nella tragedia come sono un poco tutte le storie di questo libro.

Ed ha origini classiche, della classicità greca, anche l’espressione “LA MIA IDEA DI GIUSTIZIA” (pag.150).

La giustizia di Angelo è quella universale che si scontra con quella della legge scritta che invece cambia con i tempi e con i luoghi; la giustizia di Angelo doveva fare i conti e scontrarsi con il processo regolato da norme scritte e contingenti.

La giustizia che evoca Angelo tende ad affermare e ricercare la Verità che, però, come dice un grande giurista, Francesco Iacoviello: “la verità è solo un sottoprodotto del processo; un possibile effetto collaterale”.

Giovanni Falci 14 marzo 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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