Mons. PIERRO: da Altrove al Gregge tra i misteri della Curia (atto quarto)

 

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Continua la ricostruzione, tutta giornalistica, della vita e dell’opera di S.E. Mons. Gerardo Pierro (già arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno) deceduto il 24 feb.2025 e definito dal noto giornalista Peppino Blasi come “il giornalista della fede”, e non solo.

Mons. Pierro, semplicemente chiamato “don Gerardo”, è stato un personaggio che per le sue spiccate doti comunicazionali si è distinto da tutti i suoi predecessori; gli è piaciuta sempre la politica e dai mitici scoponi scientifici con il gran visir di Nusco Ciriaco De Mita era passato a condividere la gestione della politica salernitana con l’allora astro nascente Vincenzo De Luca; tanto da far impensierire lo stesso De Mita che, un volta smessi gli scoponi scientifici, spesso inviava in curia come suoi ambasciatori l’on. Giuseppe Gargani e il suo fedelissimo Aniello Salzano.

Ed il suo, almeno all’inizio, fu tutto un discorso di natura politica che portò alla creazione di un pool esecutivo, una sorta di trimurti, del potere all’interno della Curia sugellato da uno storico patto di ferro tra lo stesso Mons. Pierro, don Comincio Lanzara e don Franco Fedullo; ma di questo scriverò nelle prossime puntate.

Come avevo già scritto nella precedente puntata sono stati molti i lettori che hanno seguito, e stanno seguendo, queste puntate sul compianto arcivescovo Mons. Gerardo Pierro;  tra i tanti post ho scelto quello scritto dall’anonimo “Altrove” che racchiude in poche righe la vera essenza della storia tra Mons. Pierro, don Franco Fedullo, don Comincio Lanzara e Il Gregge:

 

  • Spesso si sente dire in giro che “il Gregge è fuori dalla Chiesa”, o addirittura si usano espressioni ben peggiori. Così, quando si accosta Don Franco Fedullo al Gregge, qualcuno potrebbe pensare che si tratti di un’associazione denigratoria. Eppure, i fatti raccontano tutt’altro. Negli anni in cui in diocesi molti sapevano ma preferivano voltarsi dall’altra parte, erano proprio i sacerdoti del Gregge a essere scelti per gli incarichi più delicati. Questo perché erano considerati ortodossi, fedeli alla Chiesa, affidabili. Le cose hanno iniziato a cambiare quando, in modo strumentale, si è cominciato a chiedere a quei sacerdoti di prendere le distanze dalla realtà in cui si erano formati. Ma perché a un certo punto viene chiesto di rinnegare tutto questo? Solo comprendendo questa connessione si può davvero capire l’origine della dialettica tra le parti. Fino a quel momento, Don Franco era un sacerdote stimato, capace di affascinare i giovani, di riempire la parrocchia, di accogliere barboni e disperati. Era un punto di riferimento per tutti, un porto sicuro. E questo non può essere dimenticato ….

Rispetto lo scritto di “Altrove” anche se per qualche aspetto non lo condivido; in buona sostanza il post non fa altro che confermare i miei dubbi sulla “trimurti” e sulla sua iniziale compattezza fino a sfasciarsi tra subdoli veleni e vendette incrociate.

Ma di tutto questo avremo tempo e modo per scrivere e cercare di capire i segreti che la trimurti ha portato nelle rispettive tombe.

One thought on “Mons. PIERRO: da Altrove al Gregge tra i misteri della Curia (atto quarto)

  1. Leggo con rispetto e attenzione la ricostruzione – per quanto giornalistica e inevitabilmente parziale – della figura di Mons. Gerardo Pierro e dei rapporti che hanno intrecciato la sua opera con quella di don Franco Fedullo e don Comincio Lanzara. Mi sento chiamato in causa, avendo scritto alcune righe firmate come “Altrove”, e sento il bisogno di chiarire con serenità qualche punto, senza polemica e senza pretese di verità assoluta.

    Quando ho scritto quel breve intervento, l’intento era semplicemente quello di ricordare. Ricordare che, al di là di alleanze e strategie – vere, presunte o solo percepite – ci sono state persone reali, che hanno speso la vita dentro la Chiesa con dedizione, passione e con tutti i limiti che ogni cammino autentico porta con sé.

    Don Franco Fedullo, in particolare, non apparteneva ad alcuna “corrente” o gioco di potere. Era una figura riconosciuta perché affidabile e, soprattutto, capace. Gli venivano affidati incarichi delicati, e lo si faceva non per convenienza, ma per fiducia. La sua presenza forte nella diocesi nasceva da una fede profonda, fuori dal comune, che riusciva a comunicare con naturalezza a intere generazioni di giovani.
    La sua appartenenza al Gregge non è mai stata una questione di schieramento: era, ed è rimasta, una risposta d’amore. Un amore profondo verso una realtà che lo aveva aiutato a crescere spiritualmente e a riconoscere il volto di Dio nei poveri, nei giovani, negli ultimi. Quando qualcuno gli chiedeva perché fosse così legato a quella esperienza, la sua risposta era semplice, quasi disarmante:

    “Non puoi capire.”

    E in effetti, certe cose non si spiegano. Sono come l’amore per una madre, per un padre, per Dio: non si possono definire, si possono solo vivere. E forse, chi guarda da fuori può solo intuirle osservando l’innamorato agire.
    Don Franco era conosciuto anche per la sua concreta prossimità ai più deboli. L’“Operazione Fratello Freddo”, in cui portava coperte ai senzatetto della stazione, è solo uno dei tanti esempi. Donava le sue scarpe nuove a chi ne aveva bisogno. Entrava negli ospedali non per formalità, ma per presenza autentica. Stava lì dove c’era dolore, perché lì sapeva di poter incontrare Dio.
    Le dinamiche che, nel tempo, hanno portato a una rottura non sono legate a fondi “nascosti” o a trame oscure. Sono piuttosto dinamiche legate alla difesa di chi si ama, di una storia, di un’appartenenza interiore. Sicuramente il direttore – che legittimamente non concorda con me su molte cose – sa che, a un certo punto, si è cercato un colpevole. E Don Franco, con il suo carisma e la sua coerenza, non ha fatto altro che continuare a fare ciò che ha sempre fatto: difendere gli innocenti. Anche quando questo significava mettersi da parte, restare in silenzio, ma rimanere fedele a sé stesso.
    Per essere coerente con la sua storia – che non è stata esente da errori umani, come ogni storia autentica – Don Franco ha rinunciato a qualsiasi forma di carrierismo. Non ha cercato ruoli, né visibilità. Ha scelto piuttosto la fedeltà alla propria coscienza, anche quando questo lo ha portato in posizioni scomode, lontane dai riflettori.
    Oggi si leggono ricostruzioni su presunte “trimurti”, equilibri rotti, distanze prese. È comprensibile: fa parte del bisogno umano di interpretare, di sistemare i pezzi del passato. Ma resta il fatto che sono ricostruzioni, a volte affascinanti, ma pur sempre parziali. Parlare di “veleni” o di “segreti portati nella tomba” rischia di farci perdere il senso più vero e profondo: quello lasciato da una testimonianza di fede vissuta nel silenzio e nell’azione quotidiana, senza proclami.

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