SATIRA: il terremoto, i morti e la non lezione di Charlie Hebdo

Aldo Bianchini

SALERNO – Fortunatamente l’anno scorso, e precisamente il 16 gennaio 2015, all’indomani dell’attentato nella sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo feci il seguente titolo: “E adesso siamo tutti Charlie Hebdo !!”, dove con i punti esclamativi volevo mettere in evidenza come, a volte, la satira va oltre certi limiti e, soprattutto, molto spesso “addò vede e addò ceca”; una frase che nella sua accezione napoletaneggiante è più esplicativa di mille e mille commenti o considerazioni. Capisco che salire sul carro dei vincitori per sparare sulla croce rossa è una prerogativa tutta italiana, ma anche gli editori di Charlie Hebdo l’anno scorso non andarono per il sottile nello svendere i loro dodici morti che fecero lievitare le vendite (solo in quella occasione) del giornale a diverse decine di milioni di copie in tutto il mondo. L’anno scorso tutti fecero a gara, anche i cinquanta capi di stato e di governo di tutto il pianeta (accorsi per la megamanifestazione di piazza), nel dichiarare che la satira non si tocca, che la satira è sacra e che la satira è satira. Punto. Mi affannai a chiarire, almeno secondo il mio punto di vista, che non è sempre così e che il proverbio napoletano “addò vede e addò ceca” è più esplicativo di tante saccenti spiegazioni. Ed allora di cosa ci meravigliamo se, a distanza di poco più di un anno, i sempre attenti (non so se bravi e umani !!) editori di Charlie Hebdo hanno scelto di mettere in prima pagina una vignetta con i morti del terremoto italiano per scombinare di nuovo le carte e vendere qualche milione di copie in più rispetto alla normalità di vendita. Se sono stati capaci di sfruttare al meglio i dodici corpi straziati da centinaia di pallottole nella redazione parigina, sicuramente per loro è stato più facile sfruttare tre figure pseudo-umane per esporle alla satira più abietta e riproducente penne alla salsa di pomodoro, penne gratinate e lasagne che cadono a cascata su quelle stesse figure che dovrebbero rappresentare gli italiani morti sotto le macerie di Amatrice e degli altri paesi del centro Italia devastati dal terremoto del 24 agosto scorso. Senza andare a scomodare l’odio atavico che i francesi nutrono nei nostri confronti, un odio che viene fuori anche prima durante e dopo le partite di calcio, è facile capire che ormai la strumentalizzazione della notizia non ha più limiti ed ogni editore (di carta stampata, di televisione, di radio o di giornali online) non ha più alcuna remora nel mettere sotto i piedi qualsiasi etica comportamentale pur di soddisfare le sue brame di vendita e di guadagno. Non ci dobbiamo meravigliare più di niente perchè da tempo la “cultura del limite” è stata sepolta sotto l’ombra ingombrante del più grande ossimoro della storia, quello del sessantotto che conquistò e affascinò tutto il mondo: “Vietato vietare”. Un’affermazione che andava in netta controtendenza verso le convinzioni che la storia dell’umanità ci aveva rimandato fino a quel momento, che cioè “se c’è una cosa vietata, vuol dire che il divieto rimane comunque un necessario e ineliminabile valore”. Grazie al ’68, per non dire a causa di quel maremoto, abbiamo definitivamente perso la cultura del limite e il senso dei valori sui quali per millenni l’umanità ha fondato i suoi sforzi di crescita. E sull’onda del vietato vietare si è incrementata la diffusione della difesa della stessa satira a tutti i costi e contro ogni rispetto della vita e della morte, a parte i suoi vari gradi di inquinamento stridente per quel detto “addò vede e addò ceca”. Ma cos’è la libertà di stampa, che cosa è la libertà di espressione e, soprattutto, cos’è la satira e come possono essere difese, atteso che comunque vanno difese quando sono giuste, sensate e rispettose. Il filosofo – drammaturgo – saggista francese Voltaire (pseudonimo di Froncois Marie Arouet), prima di morire e dall’alto dei suoi 84 anni, amava dire: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”; ma sono già in tanti ad affermare che Voltaire non ha mai detto una cosa del genere !! Io più terra terra arriverei a dire semplicemente che queste cose le difendo con la mia libertà che non deve mai annullare quella dell’altro; saremmo tutti un po’ più tranquilli, giornalisti compresi. Oltretutto, contrariamente alle considerazioni del grande Voltaire,  non darei neppure un centesimo per difendere la libertà di chi si permette di offendere, anzi oltraggiare i morti di qualunque colore, ceto e nazionalità possano essere. Spesso a difesa di questa ormai presunta “libertà di stampa e di pensiero” vengono chiamati in causa i giovani, primi destinatari dell’ossimoro del ’68, che per forza di cose e in considerazione della giovane età e della mancanza di esperienza sono disposti a difendere quell’obbrobrioso “vietato vietare”. L’anno scorso, dopo la tragedia dei morti nella redazione parigina, mi piacque molto la risposta che Francesca, studentessa del Liceo Terenzio Mamiani di Roma (scuola storica fondata nel 1885, in prima fila negli anni della contestazione e primo istituto occupato nel 1998), uscendo da scuola, con una copia di Charlie allegata al Fatto Quotidiano in bella evidenza nel suo zaino, all’occasionale intervistatore televisivo rispose: “Compro sempre Il Fatto e sono contenta di aver trovato questa sorpresa. Ma non mi chiedere cosa penso di questa vignetta, della libertà di satira e dei suoi limiti. Sono questioni più grandi di me”.

One thought on “SATIRA: il terremoto, i morti e la non lezione di Charlie Hebdo

  1. Eppure, la citata espressione dialettale potrebbe essere applicata anche alla libera stampa.
    Era proprio necessario continuare a dedicare paginate di giornali o ripetere notizie televisive e radiofoniche per commentare in tutti i modi l’ultima bravata del giornale satirico francese?
    E tutto ciò in nome di una asserita libertà di espressione anche a mezzo satira.
    Credo che sarebbe stata ugualmente una più che lecita manifestazione di LIBERTA’ dare la notizia – come avviene con le vignette di Giannelli e simili – e finirla lì, senza esprimere o sollecitare reazioni di alcun genere.
    Il non averlo fatto ha invogliato i nostri … cugini ad una replica, peraltro di nessuna originalità !!

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