“Verità” e sistemi alternativi

di Angelo Giubileo

SALERNO – Vi è in questo universo una supercoscienza, corrispondente a quello che noi, appartenendo ad una tradizione posteriore, chiameremmo Dio? La risposta dovrebbe essere: non più che in Esiodo, il diretto predecessore di Anassimandro (G. de Santillana, Le origini del pensiero scientifico).

Pertanto, cosa dice a tale proposito Esiodo? Dunque, per primo fu Caos, e poi tutte le cose, di cui le divinità sono immagini e quindi rappresentazioni, finché – continua e precisa de Santillana – non si insedia sul trono Zeus, che regna su una base più o meno costituzionale.

Il Caos, dio primigenio, è – diversamente da quanto oggi comunemente si pensa e si dice – lo Spazio Illimitato dell’inizio, germe da cui il mondo ha avuto origine. Il concetto di “spazio” non ha qui in alcun modo a che fare con il concetto di moto o movimento di un corpo in relazione quindi alla misura del “tempo”. Pertanto, a nulla rileverebbe il fatto se questa “origine” sia effetto di un quid che precede oppure sia essa stessa l’inizio che è; e, in assenza eventuale di moto, sia esso stesso eterno. La tesi di Esiodo escluderebbe quindi l’esistenza di “Dio”. Ma vediamo meglio, il perché.

La tradizione storica, in genere ancora oggi, fa risalire l’inizio del pensiero filosofico e quindi del Logos, almeno per quanto riguarda la Grecia classica, per l’appunto ad Anassimandro e costui tra i primi cosiddetti fisici o studiosi della “natura” secondo le modalità che, almeno oggi e qui nel prosieguo del testo scopriremo ancora bene il perchè, contraddistinguono la ricerca “scientifica” che si basa sull’uso di entrambi i metodi sia di tipo induttivo (dal particolare al generale) che deduttivo (dal generale al particolare). De Santillana, attraverso un semplice esempio, ci aiuta in effetti a capire: la folgore non è più un attributo di Zeus e diventa fuoco “che scoppia” da una nuvola, fenomeno che, se confermato, potrebbe dare luogo a un principio.

Tornando all’immagine del Caos dell’inizio, Anassimandro dice dunque che si tratta dell’Illimitato che contiene e governa ogni cosa. Un sistema, cioè, che de Santillana non esita a definire autoregolatore. Altresì, un meccanismo coerente, secondo una forma aggettivante che serve a spiegare le conclusioni dei teoremi d’indecidibilità del matematico Kurt Godel (1906-1978), anch’egli senz’altro proteso alla vana ricerca di “una prova finitistica” dell’esistenza o meno di “Dio”; a tale proposito, l’astrofisico Hawking avrebbe poi parlato di “Tutto”.

E quindi: Anassimandro fu indotto a ideare un qualche meccanismo coerente, Aristofane doveva (n.d.r.: però) commentare più tardi: ‘hanno detronizzato Zeus, e ora il Vortice è re’.

Indirettamente, per l’uso che qui più interessa, la conferma innanzitutto che questa stessa storia (narrata da Aristofane) – senz’altro relativa a una fattispecie di mutamento di un’immagine nel tempo, e quindi un’esperienza di moto, ma meglio diremmo, e così esamineremo, relativa all’introduzione di un sistema alternativo – si ripeteva e finanche si ripeta a ogni epoca e quindi riteniamo, in continuità storica, da almeno l’era cosiddetta del Paleolitico. Il meccanismo di un sistema alternativo, e per entrambi i quali, può valere il “giudizio” storico di U. Eco: “ogni epoca ha il suo postmoderno”.

La partita, ci piace dire, è giocata (anche) sulla scacchiera del “Tempo”, e questo in quanto misura del movimento e quindi del “divenire” delle cose presenti in “natura”. Invece dei dadi o  qualsiasi altro strumento in uso al linguaggio del Mythos, i Greci decidono di servirsi del “Logos”, un nuovo strumento “formale”. Ed è a questo punto, in maniera decisiva per il futuro dei successivi all’incirca 2400 anni, che entra in gioco Aristotele.

Egli sa bene, e difatti lo scrive, che La maggior parte di coloro che per primi filosofarono ritennero che i soli principi di tutte le cose fossero quelli di specie materiale, perché ciò da cui tutte le cose hanno l’essere, da cui originariamente derivano e in cui alla fine si risolvono, pur rimanendo la sostanza ma cambiando nelle sue qualità, questo essi dicono che è l’elemento, questo il principio delle cose e perciò ritengono che niente si produce e niente si distrugge, poiché una sostanza siffatta si conserva sempre (DK metaph. A3. 983 b 6 sgg.) … Ci dev’essere una qualche sostanza, o una più di una, da cui le altre cose vengono all’esistenza, mentre essa permane (DK metaph. 13. 983 b 17).

Aristotele sa che non può annullare la “dinamica” (dal greco δύναμις, che indica innanzitutto potenza) dei corpi, e tuttavia egli si cura di costruire un’alternativa di sistema, e quindi un sistema alternativo d’interpretazione della realtà (nel trattato dal titolo Περί ἑρμηνείας o Sull’interpretazione), categoriale, e in definitiva quale che essa stessa sia o dimostri di essere. Pertanto, sulla scia di Platone che definisce il tempo come “immagine mobile dell’eternità”, egli elabora il concetto di “sostanza”.

E sostanza [οσία] è il sostrato [ποκείμενον], il quale, in un senso, significa la materia (dico materia ciò che non è un alcunché di determinato in atto, ma un alcunché di determinato solo in potenza), in un secondo senso significa l’essenza e la forma (la quale, essendo un alcunché di determinato, può essere separata con il pensiero), e, in un terzo senso, significa il composto di materia e di forma (Aristotele, Metafisica, VII, 1042a, traduzione di G. Reale).

Per Aristotele, la “sostanza” è quindi esattamente ciò che non muta, e pertanto non importa se essa sia in “potenza” o in “atto” ciò che essa stessa è. In base al logos aristotelico, la distinzione tra potenza e atto non serve ad altro che a giustificare, ma in base al solo ed esclusivo ragionamento del logos, l’immagine o la “forma” del movimento dei corpi.

Per comprendere appieno il rapporto, che lega la “sostanza” alla “forma” di Aristotele, è ancora utile ritornare al ragionamento sviluppato nel prosieguo dello stesso paragrafo del testo di de Santillana.

Anassimandro, come Solone, concepiva le cose, senza rendersene del tutto conto, nei termini della polis, in quanto essa era l’unico sistema autoregolatore che conoscesse. Vero? Falso? E qui, il discorso si fa davvero interessante anche per noi “moderni” democratici … l’Illimitato non dà ordini, come del resto non aveva fatto neppure la Terra-Madre delle antiche teogonie … ordini che tuttavia, aggiungerei, non avessero comunque già provveduto a dare re, imperatori, faraoni e sacerdoti a vario titolo del tempo passato, presente e ancora futuro.

Che cos’è dunque accaduto? Semplificando, dice de Santillana, ha avuto origine il “pensiero scientifico”. E come si è manifestato tutto questo? Semplice: lo stampo antropomorfico è stato infranto; non si tratta più della natura concepita come immagine della società, ma semmai del contrario, nella grande equazione che abbraccia entrambi gli aspetti

E’ bene ribadire: la natura non è più l’immagine della società, viceversa è la società l’immagine della natura. Risuona dunque l’eco della Genesi biblica, ma solo nel punto esatto in cui la “società” degli uomini (“maschio e femmina” li creò, sebbene nello stesso testo della Genesi si dica anche, e viceversa, che Dio creò solo l’Uomo “Adam”: cfr. H. Arendt, Vita activa), è concepita a immagine e somiglianza di Dio. E le altre cose? Ovvero, tutto il resto della creazione? Sarà asservito all’uomo e alla società degli uomini medesimi. Quale abominio!

Ma: il diverso sistema, elaborato da Aristotele, avrebbe poi retto alla cosiddetta “prova dei fatti”? Vi è in questo universo una supercoscienza, corrispondente a quello che noi, appartenendo ad una tradizione posteriore, chiameremmo Dio? Ancora una volta: La risposta dovrebbe essere: non più che in Esiodo, il diretto predecessore di Anassimandro.

Molti, finanche troppi, secoli dopo Aristotele, all’inizio del periodo storico che è detto Moderno, emergerà di nuovo quanto sostenuto dal nuovo filosofo, che è Leibniz: “i nostri ragionamenti sono fondati su due grandi principi: quello della contraddizione, per cui ti richiamo falso ciò che implica contraddizione vero ciò che è opposto al falso, e quello della ragion sufficiente, in virtù del quale giudichiamo impossibile che alcun fatto sia vero od esiste se non v’è ragione sufficiente perché sia così e non altrimenti” (Monadologia).

In base al primo principio – che presuppone e per così dire assorbe o ingloba il principio cosiddetto d’identità -, Aristotele sviluppa il concetto di verità di ragione. Al principio di ragion sufficiente, risalgono invece le verità di fatto.

Nel sistema aristotelico, la verità è espressione di un giudizio “analitico” del tipo: il triangolo ha tre angoli. Tale tipo di giudizio presuppone l’identità del soggetto (il triangolo), che è espressa dal predicato (ha tre angoli); e pertanto appare evidente che il predicato non dice e quindi non aggiunge altro a ciò che già pertiene – per definizione – al soggetto; di modo che si può ben dire che siamo in presenza di una tautologia e tuttavia determinata dalla ragione o per meglio dire, sulla scia di Leibniz e Cartesio, dal pensiero o “res cogitans” (o psichica).

Viceversa, in base al principio di ragion sufficiente, pur connettendo soggetto e predicato, le verità di fatto operano in modo che il predicato non è inerente al soggetto bensì alla realtà storica o “fatto” esterno (res extensa o fisica). E così, a esempio, si esplica anche come la cosa che noi umani chiamiamo albero possa avere un’esistenza sua propria anche prima della nostra eventuale comparsa sul pianeta, secondo lo schema o modello che denota il sistema dell’evoluzionismo.

Ciò detto, in definitiva non resta che affidarci alle conclusioni di de Santillana, e quindi riprendere esattamente il filo di Arianna del discorso più volte interrotto:

La physis, la cui giustizia è venuta ad identificarsi con la ragione astratta, è diventata autonoma, anzi automatica. Troviamo dunque qui il primo fondamento di un modo di pensare che verrà poi chiamato razionalismo scientifico. Lo si può formulare così: Tutto ciò che si può dedurre necessariamente da premesse che consideriamo vere, risulterà esistente in qualche momento, in qualche posto, in qualche modo

Salvo che, a ogni istante, la natura mostri esattamente il contrario.

 

 
 

 

 
 
 
 
 

 

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