L’uscita dalla crisi

Di Angelo Giubileo (scrittore)
SALERNO – L’uscita dalla crisi è un tema che ci ha accompagnato nella gran parte dell’ultimo quarto di secolo e che in Italia ha coinciso con i fatti della Seconda Repubblica. Non a caso, come riteniamo, dato che l’Italia, come la maggior parte dei paesi civili, ha vissuto in tutti questi anni il cambiamento di un’epoca globale di circolazione e scambio di persone e beni.
L’illusione – che fosse stato raggiunto l’apice del progresso culturale, sociale, politico ed economico dell’umanità – è stata efficacemente rappresentata nel saggio del 1992 del politologo americano, nato nel 1952 a Chicago, dal titolo The End of History and the last man, così come tradotto in italiano: La fine della storia e l’ultimo uomo.
L’illusione è stata appunto quella di credere, con la caduta emblematica del Muro di Berlino nel 1989, che il fatto in sé rappresentasse una tendenza globale di conformare i sistemi politici ai principi del liberalismo. E questo, prima che un altro fatto, altrettanto clamoroso, ne svelasse la natura viceversa pur sempre transitoria di fatto storico, ovvero l’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001. Ed è qui, simbolicamente, che è iniziata la crisi; e quindi, essenzialmente, la crisi di un modello di sistema politico, cosiddetto di democrazia liberale, i cui effetti si mostrano prorompenti ancora nell’attualità.
In questi giorni è uscito in Italia un ultimo saggio dell’attuale più celebre politologo americano, Parag Khanna. Nato in India nel 1977, egli è già stato autore in particolare di due bestseller internazionali, di matrice politica globale, tradotti in italiano nel 2009 e 2016 e, rispettivamente, con i titoli I tre imperi.Nuovi equilibri globali nel XXI secolo e Connectography. L’edizione di questo terzo saggio riguarda invece, è bene subito precisarlo, un’analisi principalmente del sistema politico americano, così come attualmente in crisi, e una proposta quindi di uscita dalla stessa. Il saggio è uscito negli Stati Uniti a gennaio con il titolo Technocracy in America e oggi in Italia con un titolo, La rinascita delle città-stato, che – oltre a non renderne percettibilmente il contenuto – è sintomatico del discorso culturale che in Europa, viceversa, non è stato e non è per la maggior parte ancora capace di discutere e affrontare i fenomeni di crisi generale incorsi in quest’ultimo quarto di secolo.
La crisi è dunque questa, in gran parte globale, che attanaglia forme di sistemi accomunate da Parag Khanna nella definizione di “liberalismo non democratico”; laddove negli Stati Uniti, secondo il riportato giudizio di un giurista affermato quale Lawrence Lessing di Harward, avrebbe equivalso la democrazia rappresentativa alla corruzione istituzionalizzata, per mezzo innanzitutto di un metodo di finanziamento dei partiti divenuti preda della finanza. Un sistema che lo stesso Lessing definisce “fund-ocracy, ‘finanzocrazia’”.
Ma, si diceva dell’illusione di Fukuyama caduta all’indomani dell’11 settembre, e si dice – nell’attualità – della prospettiva oltremodo degenerativa del sistema politico statunitense, a tal punto che – come riferisce Parag Khanna in quest’ultimo suo libro – “nel suo recente Political Order and Political Decay Francis Fukuyama si chiede se il sistema americano non abbia forse necessità di un qualche tipo di ‘shock all’ordine politico’ esogeno – come una guerra, o una rivoluzione – per riuscire a tirarsi fuori dall’attuale spirale discendente e tornare a concentrarsi sulle prestazioni anziché sulla politica. Forse Donald Trump rappresenta proprio uno shock di questo tipo …”.
E invece, per il nostro autore, esisterebbe una concreta alternativa democratica – da noi già altre volte condivisa – di uscita dalla crisi dell’attuale sistema di democrazia liberale, in particolare statunitense, attraverso il perseguimento e la realizzazione di un modello -solo in apparenza nuovo, bensì risalente al pensiero di Platone e quindi alle origini del pensiero politico in Occidente -, che è l’info-Stato.
Ovvero un sistema di “tecnocrazia diretta”, a modello dei sistemi di governo praticati, distintamente, da circa otto secoli ininterrotti in Svizzera e dalla fine del secolo scorso a Singapore. Nell’era acclarata della post-democrazia del presente e del futuro, un esercizio pragmatico dell’arte di governo che “combina priorità dal basso e management tecnocratico” e che “si serve di consultazioni in tempo reale dei cittadini attraverso plebisciti e petizioni, indagini e workshop pubblici”.
L’analisi e le proposte del saggio riguardano essenzialmente la situazione negli Stati Uniti, ma la lettura del saggio riteniamo s’imponga a tutti quegli addetti ai lavori che intendano davvero comprendere i fatti e le logiche del presente e scrutarne gli sviluppi futuri. E quindi, s’intende, anche per quanto concerne la situazione qui in Italia, in prossimità della nuova tornata elettorale e soprattutto di un rinnovato interesse del cittadino verso forme di democrazia partecipata, partecipativa e diretta. Ritenendo, e lo diciamo non senza una punta di sarcasmo, che non sia in gioco il destino di alcune “città-stato” ma il destino di un intero paese. E, analogamente e per la medesima via tecnocratica, il destino dell’Europa uscita dalla Guerra fredda del secolo scorso.
Che i nostalgici di “destra” e di “sinistra” se ne facciano almeno una ragione!

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