SqUOLA

 

 

Felice Bianchini junior

(corrispondente e notista politico)

 

Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR)

ROMA – Non provengo da una famiglia di estremisti, semmai di estremamente moderati. A scanso di equivoci: non sono possessivo, mi piace condividere quel che ho, ma non per questo sono sospettabile di voler abolire la proprietà privata, cosa che non penso neanche lontanamente. Credo che l’individuo e la sua libertà non vadano soffocati, sacrificati sull’altare dello Stato, come credo però anche che incrociare le dita e aspettare che mani invisibili riaggiustino le cose sia un atteggiamento da accantonare. In generale, credo nell’azione, anche e soprattutto collettiva.

 

Ho anche il dovere di dire che ciò che è scritto di seguito non è nient’altro che un esperimento, una provocazione, che va sì presa sul serio ma che più che essere presa alla lettera deve far ragionare, perché questo è il suo intento fondamentale, nonostante vada ricordato che in giro si sente chiedere, talvolta anche a gran voce, un forte ripensamento della nostra società, in tutti i suoi aspetti, in particolare quello che andremo a toccare. Se dovesse venire qualche dubbio in termini di realizzabilità o di principi, chiederei di ricordare ciò che ho appena detto; e di tenere a mente che in un mondo (e in un paese) in cui si tende generalmente ad indignarsi, anche senza motivo, e a classificare ogni genere di intervento, di dichiarazione, di posizione, nel limbo dello “schifo”, tanto valeva sbizzarrirsi con la fantasia ed esagerare – sempre che si possa dire che di esagerazione ci siamo macchiati. Nella peggiore delle ipotesi, tutto ciò che è scritto qui verrà gettato nello straripante cassonetto delle idee e dei progetti, in buona compagnia.

 

Al telefono…

 

Il problema secondo me è che le riforme sono sempre calate dall’alto, fatte da gente che non ha mai messo piede in una classe, il che non va bene, perché non hai la percezione del reale.

Hai ragione quando dici che nella scuola elementare deve avvenire la selezione naturale; va benissimo l’esame, come va benissimo riformare la scuola media. Il problema però è un altro: sono quelli che fanno scuola, sono i docenti, ma soprattutto i ragazzi, il problema è la società. La scuola è lo specchio della società.

La classe docente è una delle classi peggiori: ci sono professori che si appoggiano su una situazione chiaramente negativa e non fanno nulla, e questo è sbagliato; molti non si informano, non si aggiornano, non si formano.

Tu forse sei troppo indulgente verso i ragazzi: io li vedo tutti i giorni, sono estremamente disincantato, costantemente deluso, deluso da questa apatia. Puoi intervenire nella scuola quanto vuoi, però di fronte hai un capitale umano veramente impoverito, ci sono ragazzi che – è brutto dirlo – sarebbero da eliminare proprio, perché sono delle menti non pensanti. Ora, non si può dire che la colpa è della scuola, che questi hanno fatto delle cattive scuole elementari, delle cattive scuole medie, sono andati poi al liceo e hanno avuto dei pessimi insegnati e frequentato dei licei pessimi, no: secondo me il cancro sta nella famiglia, nella società, e quindi di riflesso anche nella scuola. Possiamo fare tutto quello che vogliamo, ma il problema rimane quello.

 

Partirei da un articolo della nostra Costituzione: il 4. Il primo comma recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.” Basta questo primo comma a conferirci il mandato di riformare la scuola: il percorso di formazione dell’individuo non è forse condizione necessaria per rendere effettivo il diritto al lavoro? Ma passiamo al secondo comma: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.” Ognuno di noi è vincolato (ha il dovere dice l’articolo) alla produzione di qualcosa, e questo qualcosa (un bene, un servizio, o che so io) non è altro che il frutto dell’attività di cui si parla nel secondo comma; e questa attività è frutto di una scelta. La domanda che pongo è: ad oggi, dove e quando avviene questa scelta? E poi: la produzione interna del nostro paese, la nostra economia, non dipende forse dalla scelta che in quest’ambito è stata (o verrà) compiuta dai cittadini?

Prima di ripercorrere la scuola dei miei sogni, vorrei soffermarmi sul succo del suo messaggio: prima di cambiare la macchina, bisogna cambiare il pilota. Detto così, non fa una piega. Ma siamo di fronte a un cane che si morde la coda: lei mi dice “la scuola è lo specchio della società”, “il cancro sta nella famiglia”, e che occorrerebbe quindi una rivoluzione sociale e familiare – tutti pensieri condivisibili, ma “chi pone chi?”, “cosa determina cosa?”. Occorre essere ordinati, pena la confusione. Il mondo in cui viviamo si riproduce in (o, se preferisce, “è il frutto di”) due sotto-mondi: Struttura e Sovrastruttura. La prima è l’insieme dei rapporti sociali ed economici, mentre la seconda concerne la cultura, la filosofia, l’arte, la politica (una volta si sarebbe detto l’Ideologia). Non intendo rispolverare vecchie battaglie ormai perse. Credo però che certe letture della realtà, come questa, siano utili ancora oggi, se non per comprendere nel profondo, quantomeno per descrivere la superficie del mondo che ci circonda.

Innanzitutto, occorre domandarsi: come si presentano oggi Struttura e Sovrastruttura? All’interno della seconda, le diverse visioni del mondo competono tra loro, ma solo una conquista l’egemonia culturale: un tempo Dio e la religione la facevano da padroni, poi fu la volta della scienza, oggi dominano la Tecnica e il Nulla (per intenderci sul Nulla: discutevo un po’ di tempo fa di musica ed una delle conclusioni a cui il discorso ha portato è che le nostre ‘classifiche’ sono piene di musica di plastica, usa e getta, e che gli artisti più famosi spesso sono individui, o gruppi di individui, la cui principale ambizione sono i soldi e lo sfascio, o comunque l’anestesia, il non pensare. Viviamo immersi in una gigantesca cultura dello “scialla”, del non pensiero, del Nichilismo di valori compensato dalla Volontà di potenza, o di potere d’acquisto).

A livello strutturale, invece, l’evoluzione dei processi di produzione (e recentemente – ormai si fa per dire – la fine del mondo dei due blocchi) ha portato all’attuale sistema capitalistico finanziario globalizzato (o “globalizzazione”, se preferisce). E arriviamo a ciò che ci preme. Un professore dovrebbe ritenersi fortunato, per certi versi, poiché si potrebbe dire che si trovi ogni giorno di fronte a Sovrastruttura e Struttura di tipo liquido, ossia in un certo senso plasmabile: gli studenti non hanno ancora effettuato la scelta che ci chiede di affrontare la Costituzione (che influenza principalmente la Struttura) e anche se testardi – come nel mio caso, ad esempio – hanno una mente più aperta di un adulto, che è solito solidificare la propria “fetta” di Sovrastruttura in rigide convinzioni. Dunque il ruolo del professore, e quello dell’istituzione che rappresenta, è fondamentale. La rivoluzione familiare che lei auspica non può avvenire per legge, come invece potrebbe avvenire quella scolastica; e tuttavia, quest’ultima, se architettata a dovere, sono convinto porterebbe automaticamente alla prima. Questo perché la Scuola è il vero centro di formazione dell’individuo. La famiglia agisce di fianco e di concerto; non viene né prima, né dopo. Ciò non significa togliere la potestà genitoriale a chi mette al mondo dei figli, né significa proporre sequestri legali di minori: la Scuola deve essere una seconda casa. Attualmente credo che nella testa di buona parte degli studenti somigli più ad una prigione. La mia scommessa è che un giorno sarà ciò che deve essere. Alla fine della fiera, ciò che intendo dire è che la Scuola abbiamo la possibilità di cambiarla direttamente, mentre la famiglia no. Cambia la scuola e cambierai la famiglia – e con entrambe la società.

Ma come si cambia? La prassi modificatrice può essere – ed è innanzitutto – frutto di un impulso del singolo, ma per farsi concreta deve necessariamente passare per un canale collettivo. La rivoluzione degli “esami di coscienza” è persa in partenza. Il cambiamento della società è un’azione concertata, organizzata da un gruppo. Se oggi ci troviamo dove ci troviamo è anche per via di una deteriorata coscienza sociale, accompagnata da una “fuga nella coscienza individuale” – o nel non pensiero -, un’esistenzialistica chiusura in sé stessi, operata da ognuno in modo e misura differente: è la morte della possibilità di cambiamento. Il singolo deve passare innanzitutto attraverso lo sviluppo dell’Autocoscienza, di ciò che io chiamo Consapevolezza, per poi organizzarsi in una collettività, una comunità: se l’obiettivo è semplicemente vivere, questo processo porterà all’organizzazione di una famiglia, di un gruppo di amici; se invece è cambiare, allora la collettività sarà un movimento politico, un partito. Cambia l’obiettivo, ma non ciò che consente al singolo di realizzarlo (e realizzarsi), ossia l’intermediazione di un’azione collettiva. Senza gli altri non siamo granché, e quel che siamo non ha modo di riprodursi socialmente.

Ma lei, magari anche interessato da quel che ho detto finora, mi farà notare che manca ancora un che di concreto; come mi potrebbe far notare che ad oggi le famiglie e i gruppi di amici si formano, ma assumono le sembianze di quel “gruppo di ragazzi soli” di cui parla Gemitaiz (mi servo di un rappresentante dell’arte musicale moderna: la canzone in questione è  Rollin’ – la invito ad ascoltarla, troverà bene o male tutto quello che ho detto sulla Sovrastruttura: anestesia, sradicamento, individualismo atomistico). Ma così ritorneremmo al punto di partenza e potremmo pensare che non ci sia via d’uscita, che invece c’è e passa per un cambio di paradigma tanto al livello di Struttura, quanto di Sovrastruttura. Non si può pensare di perseguire e compiere una rivoluzione sociale, se prima non si dà una scossa al percorso di formazione dell’individuo, alla matrice “pubblica” delle coscienze sociali, ossia la scuola (ponendo che quella “privata” sia la famiglia). Ma sarebbe ingenuo pensare di poter cambiare il sistema, se prima non si è ripristinata la sovranità economica: sta tutto lì (La Caverna). Uno Stato in grado di garantire serenità e prosperità al suo interno è il solo che può garantire il cambio di passo che serve. Lo dico per anticipare ciò che potrebbe legittimamente dire: “la tua riforma costa: dove trovi i soldi?” Stiglitz, nel libro L’Euro (Cap. X, pp. 280-291), svela come tutti noi siamo nati incatenati dentro una caverna, messi fin dalla nascita di fronte a un muro, sul quale vengono proiettate immagini, le quali sono state spacciate per la verità. Unendo la sovranità economica alla riforma scolastica che ho in mente (o un’altra, basta che sia sensata), si darebbe vita a un circolo virtuoso di produzione e investimento di capitale umano (visto che è un termine caro a molti).

 

La nuova scuola

 

Premessa Vorrei che si partisse da un presupposto: nessuno nasce “non in grado” – salvo chi ad esempio è affetto da sindrome di down o simili e non può ambire a determinati ruoli -, semmai ci si diventa, se lasciati a sé stessi. Dunque bisogna concentrarsi sull’accompagnare dove ci sono lacune e far emergere i punti di forza di ciascuno. E non pensare “povero bambino non può capire una cosa del genere”, ma avere più fiducia nel cervello e nel genere umano in generale. Certo, non dico di insegnare la relatività generale in prima elementare, ma neanche di trattare i ragazzini come dei deficienti, o, come dicevo, rischiano di diventarlo davvero.

 

Prima infanzia e scuola materna (3-5 anni)

 

Dopo il nido, facoltativo per chi ha impegni e scarso tempo libero, al raggiungimento dei 3 anni inizierà la scuola materna: in questa fase bisogna sì dare la precedenza al divertimento e allo svago, ma senza scadere nel vuoto. C’è bisogno di dare spazio alla creatività, di farla emergere anche nella misura minore possibile, ed accompagnare il bambino nei primi discorsi, nelle prime scritture e nelle prime letture (ricordare la premessa). Questo faciliterà il lavoro degli insegnanti della scuola primaria, e credo aiuterà anche il bambino ad accelerare il proprio apprendimento, rischiando meno di rimanere indietro (posto che comunque dei divari, anche minimi, ci saranno sempre).

 

Scuola Primaria e Secondaria (6-16 anni)

 

Questi due percorsi, di 5 anni ciascuno, saranno obbligatori e incentrati sulla Conoscenza:

 

Durante i primi 5, si seguiranno programmi di nozioni base, culminanti in un esame scritto e orale, con buona pace delle mamme oche che protestano per lo stress dei loro pargoli. Lo stress c’è se si affronta male la vita in generale e il percorso nello specifico (piccola nota: è importante che vengano insegnate lingue già da questa età, grammatica ma soprattutto comunicazione).

Nei secondi 5: sempre nozioni base ma con aggiunta di Greco, Latino e Filosofia, con buona pace dei “grandi innovatori” che ne farebbero a meno. Gli indirizzi? Fino a 16 anni occorre un percorso di formazione uniforme, dopo si può parlare di indirizzo. I famosi istituti tecnici (a meno che il processo tecnologico nel mentre non li renda obsoleti), faranno la loro comparsa alla fine dei 10 anni di formazione di base, mettendosi a disposizione di chi non vuole approfondire gli studi, e quindi ponendosi come alternativa ai 3 anni di orientamento-più studio universitario, di cui parleremo più avanti. Tornando ai primi due gradi: c’è da stabilire se si vuole far ripartire il programma, o se invece si vuole fare (come io credo sia giusto) un lungo percorso decennale. Faccio un esempio, per capirci: la Storia attualmente viene compressa e sostanzialmente ripetuta 3 volte; immaginate di elaborare un programma decennale, di modo da partire dall’origine del mondo e giungere al decimo anno alla storia contemporanea. Per ora è un successo se si arriva alla guerra fredda. Tagliare il ‘900 (tenendo ferma la buona fede, sia chiaro) è un’operazione di “idiotizzazione” di massa, che, se non è compensata da uno sforzo di ricerca personale, lascia un vuoto abissale a livello di coscienza storica, che ostacola la Consapevolezza. Bisogna discutere se un bambino in prima elementare sia in grado di comprendere una lezione sulle teorie di formazione dell’universo, sui dinosauri, e sull’evoluzione della vita, ma soprattutto di farsele bastare per il resto del percorso scolastico. Io credo di sì. In ogni caso, per vie traverse, certe lacune possono essere colmate strada facendo.

 

Prima di parlare di cosa viene dopo, occorre mettersi d’accordo su un punto. Prima ho detto che la scuola dovrebbe essere una seconda casa, e che ciò non voglia dire sequestrare i giovani. Quel che credo non serva sono i c.d “compiti a casa” (e qui qualcuno storcerà il naso, ma parlo con cognizione di causa, e ora si capirà perché). Ma andiamo con ordine. La settimana scolastica coprirà la fascia “Lun-Ven”, mentre Sabato e Domenica saranno dedicati a tempo libero e famiglia/amici. La fascia oraria andrà oltre quella classica 8-13: sì, sono per il tempo pieno, ma un tempo pieno sensato. Ho spesso parlato di Modello scuola-sport. Per capirci meglio, direi piuttosto Modello scuola-hobby, anche se quest’ultimo termine non mi va tanto a genio, e a breve dirò perché. Non tutti i bimbi e i ragazzi amano praticare uno sport: immaginate se vi avessero costretti, da piccoli, a praticare uno sport in generale o uno in particolare in cui non eravate portati. Posto che credo lo sport faccia bene a tutti, non è certo rovinare la vita di giovani cittadini il mio intento, semmai è quello di farla sbocciare, coltivarla. Per questo, il modello di cui parlavo non si limita al legare la scuola allo sport, ma anche a tutte le altre attività, come possono essere suonare uno strumento, scrivere, recitare e qualsiasi altra cosa possa essere un proficuo mezzo per coltivare talento e relazioni sociali. Ma quel che ho in mente non è dedicare il pomeriggio degli studenti a un passatempo fine a se stesso, visto e considerato che le attività che ho citato possono benissimo (direttamente o indirettamente) concorrere “al progresso materiale o spirituale della società”, ossia non sono “hobby”, nell’accezione che è conferita a questo termine dal senso comune, bensì sono attività che rientrano perfettamente nell’art.4, e in quanto tali vanno rispettate e incentivate. Ma come dovrebbe concretamente manifestarsi questo legame? Beh, innanzitutto, tutti i piccoli insegnanti di musica, “allenatori”, associazioni sportive e culturali, e figure professionali di vario tipo, attualmente atomizzate (e spesso ceppi di “nero” in termini di “contabilità statale”), dovrebbero legarsi alla scuola (mantenendo la loro identità, sia chiaro), e far parte di un grosso investimento in una fucina di talento che riempia il pomeriggio degli studenti, a seconda dei loro interessi. Ma ciò non in un’ottica autoreferenziale, ma il tutto inserito in un contesto interscolastico che dovrebbe prevedere eventi, manifestazioni, se non addirittura competizioni: ad oggi, in questo senso esistono investimenti (credo perlopiù privati), che però sono piccoli, se raffrontati al massiccio investimento pubblico che ho in testa. Tutto ciò fungerebbe da stimolo, sia per la Sovrastruttura che per la Struttura: sarebbe un incentivo al talento e all’intelligenza giovanile, dando uno sbocco all’impegno scolastico; e sarebbe un toccasana per l’economia, visto che queste manifestazioni creerebbero posti di lavoro, investimenti (anche privati) e consumi; inoltre, se ben congegnato, potrebbe dare anche visibilità al talento: immaginate competizioni a livello regionale, e successivamente nazionale, con tanto di vendita di diritti televisivi e streaming vari. Un ragazzo bravo a giocare a pallone, ad esempio, potrebbe farsi notare da club professionistici (i quali, se in questo momento ve lo steste chiedendo, vedrebbero tagliato il settore giovanile fino all’U16, età in cui si può firmare un contratto professionistico). Credo si sia capito cosa intendo, e potreste benissimo proseguire con la vostra immaginazione, pensando a concerti musicali, a spettacoli teatrali, e così via: non solo “ogni scuola per sé”, ma anche e soprattutto in collaborazione, visto che l’importante è valorizzare il talento. Come già detto, tutto questo creerebbe un circolo virtuoso di investimento sul talento, combatterebbe la noia e la depressione (piaghe del secolo XXI), e farebbe progredire materialmente e spiritualmente la società (non l’ho detto, ma è sottinteso che un progetto del genere farebbe ripartire anche gli investimenti in edilizia e infrastrutture). (Altra piccola nota: in questi 10 anni dovrebbe essere insegnata la famosa “educazione civica”, ossia una base di diritto pubblico e privato, un’infarinatura delle “regole del gioco”.)

 

Orientamento/Avviamento al lavoro (17-19 anni)

 

Terminata la formazione di base e conseguito l’esame della Scuola secondaria, come dicevo, si viene posti dinanzi a una scelta: o gettarsi subito nel mondo del lavoro, passando per gli “istituti tecnico-professionali” (che si dovranno concentrare, quindi, solo sulla formazione professionale, e nient’altro), o dedicarsi ai famosi 3 anni di orientamento. Ritorniamo dunque alle domande sull’art.4, più in generale a quella scelta che ognuno deve compiere per decidere come contribuire all’interno della grande famiglia che è (o almeno dovrebbe essere) la società. Tolto chi, ad esempio, ha firmato un contratto professionistico con un club di calcio, che proseguirà la sua formazione su un campo insieme a dei professionisti, e chi ha un posto riservato nella ditta di famiglia, o semplicemente vuole imparare un mestiere, e che quindi proseguirà la sua formazione in un “riqualificato” istituto tecnico, o direttamente all’interno dell’azienda; tolti questi, i restanti avranno a disposizione questi 3 anni per rifinire la propria formazione culturale e orientarsi all’interno delle proprie possibilità, arrivando a compiere la fantomatica scelta. Questa rifinitura di cui parlo dovrebbe essere incentrata sull’attualità, sull’approfondimento dei temi all’ordine del giorno; dovrebbe vedere sparire i manuali e affrontate letture di “classici” del pensiero, discussi con un corpo docenti che instauri un rapporto ancora più diretto rispetto a quello che già di per sé, in misura sicuramente non eccessiva, dovrebbe instaurare un professore. Il professore di questa fascia d’età dovrebbe essere una sorta di traghettatore, non pagato per mettere voti, ma per stimolare i ragazzi, moderare dibattiti, approfondire i punti di vista e le idee del prezioso capitale umano che ha di fronte. Un percorso del genere (che vedrebbe comunque continuare le attività pomeridiane), in cui si esplora il pensiero, si dialoga direttamente con i grandi del passato, credo consenta di eliminare la pratica dell’anno sabbatico, schiarisca le idee, e riduca di conseguenza gli sbandamenti, gli errori in termini di scelta del proprio contributo alla società.

 

Università e Mercato del Lavoro

 

L’università, infine, dovrebbe essere lo stadio successivo di questo modello scolastico, dovrebbe farlo proprio (con tutta la componente fucina di talento), investendo su ricerca, innovazione, progetti di vario tipo, mettendo alla prova gli studenti, più che con vuoti esami a crocette e simili, con esperienze pratiche, sul campo; diventando una sorta di grande e innovativo centro per l’impiego, legandosi strettamente al mercato del lavoro, di concerto con una rete di centri per l’impiego veri e propri; fornendo assistenza e “manodopera” fresca dove serve, qualsiasi sia il campo. Non c’è facoltà che non possa adattarsi a questo modello e trasformarsi da “esamificio” a – per usare un’altra figura suggestiva – banca di capitale umano. La prova dei fatti credo valga più di qualsiasi altra valutazione.

 

 

…Tu,tu,tu.

 

Non sono indulgente con i miei coetanei; semplicemente credo che la mia generazione, favorita anche da tanti progressi di tipo tecnologico (come ad esempio quello delle pagine di Stiglitz), possa cambiare le cose. Se ci chiudiamo in noi stessi e rinunciamo ad agire non avverrà mai niente: il mondo non si cambia da solo. Ovviamente il mio rimane un sogno, che – mi dirà – dovrà quantomeno accettare di farsi ridimensionare dal compromesso: vedremo. Può darsi che la mia vita vada a rotoli nei prossimi anni e non riesca a realizzare neanche il più banale dei miei svariati sogni. Magari non cambierò niente e non cambierà niente. Ma se così fosse, mi consolerei sadicamente guardando il mondo sprofondare insieme con me: perché questo aspetterebbe il nostro mondo, se dovesse rimanere tutto com’è (un po’ di pessimismo ci voleva, dopo tanto idealismo ottimistico).

 

Grazie per la pazienza!

 

 

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