Il Festival dell’Essere di Vittorio Sgarbi sorprende ed affascina. Il racconto del penultimo appuntamento a Padula

da Antonella Inglese

PADULA In un pomeriggio di autunno che sa di primavera, nel luogo in cui l’uomo di fede colloquiava quotidianamente con Dio, la scorsa domenica 20 ottobre, è andato in scena il dibattito filosofico sul tema più dibattuto in assoluto dalla filosofia: l’esistenza di Dio. Il Festival dell’Essere, questo il nome dell’evento natodalla direzione artistica di Vittorio Sgarbi e prodotto Angelo Tumminelli, è quanto di più ambizioso si possaconcepire nell’epoca in cui la mondanità è entrata a pieno titolo come forma unica di intrattenimento volta a ravvivare i luoghi della cultura; è l’azzardo della Regione Campania, con il supporto organizzativo della SCABEC, nell’investire in un prodotto in cui il dialogo, la riflessione e l’arte nella sua accezione più ampia“spettacolarizzano” (finalmente) la cultura stessa, attraverso una proposta che oggi potremmo definire “trasgressiva”. L’idea di Sgarbi è, infatti, quella di chiamare personalità provenienti da ambiti e mondi differenti a confrontarsi, con lui e tra di loro, sui grandi temi dell’esistenza, attualizzandoli e sviscerandoli fino ad esaurirli completamente, in quello che egli stesso definisce “il G7 del pensiero”. E allora, nel “quadriporticoche prima era luogo esclusivo dei monaci e che ora apre al mondo” , per citare l’accezione data dalla direttrice Tommasina Budetta a questo maestoso spazio del Chiostro Grande della Certosa di Padula, dopo la risposta arguta di Paolo Imparato a Sgarbi “E tu chi sei? Un tuo collega, sindaco di Padula!”, e dopo l’intervento dell’Assessore Regionale allo Sviluppo Turistico, Corrado Matera, che ha rivendicato l’attenzione da parte della Regione Campania verso le aree interne, beneficiarie anch’esse di contributi per le numerose iniziative culturali ma soprattutto per eventi ad ampio respiro come questo; si dà il via ad uno spettacolo di quasi quattro ore che se non fosse stato per l’aria raffreddatasi dopo il tramonto, sarebbe potuto andare avanti ancora e ancora senza stancare la platea di irreducibili. Sgarbi, che è protagonista e conduttore insieme a Greta Mauro, esordisce leggendo un estratto di YosslRakover si rivolge a Dio di Zvi Kolitz, storia di un combattente durante la rivolta ebraica di Varsavia che chiamain causa Dio di fronte all’orrore dei campi di sterminio nazisti. Legge con la stessa enfasi con cui siamo soliti vederlo inveire e sentirlo urlare negli studi televisivi ma, forse, proprio per questa sua attitudine a “recitare”, è interprete convincete di questa preziosa testimonianza carica di emotività. Prima di lui, il letterato NuccioOrdine, apostrofato più volte da Sgarbi perché “comunista”, esprime il suo pensiero da ateo sul divinoattraverso l’opera di Boccaccio e Lessing, spiegando che la fede è un mezzo e non un fine nella necessità suprema di esprimere il Bene. Arriva, allora, sul palco Sergio Rubini e i toni cambiano completamente.L’attore racconta la sua esperienza sul set de La passione di Cristo diretto da Mel Gibson con esilarantianeddoti che, tuttavia, sollevano la discussione su una fede “elastica” a cui siamo sempre più abituati, una fede carica di ipocrisia. Quella di Rubini è una critica velata che arriva da chi non crede ma non rinnega l’importanza della cultura cristiana, della ritualità religiosa che scandisce il nostro tempo e che, soprattutto chi vive al sud, difficilmente riesce a scrollarsi di dosso, cosa che da credente sosterrà anche Michele Placido, ricordando il nostro modo di vedere nel divino anche qualcosa di “magico”. Quello di Rubini, anche se i siparietti comici sono stati davvero tanti, resta in assoluto il momento più divertente della serata.

Arriva poi sul palco Violante Placido che legge il famoso monologo di Amleto “Essere o non essere…”, ma non convince e non offre grande apporto alla discussione filosofica se non per il fatto che ricorda che il divino è anche nell’arte e quindi nella musica e, siccome è anche cantante oltre che attrice, canta chitarra alla mano e con l’accompagnamento di un violoncello un bellissimo brano di Tim Buckley, brano che non cita ma raramente i riferimenti a musica e testi sono stati espressi durante lo spettacolo, forse volutamente per non rendere il tutto troppo “accademico” (comunque il brano era Song to the Siren).La discussione riprende i temi dell’ascesi con Padre Enzo Fortunato, Direttore della Sala stampa del SacroConvento di Assisi che da francescano non può che porre l’accento sui temi della solidarietà e a tal proposito viene richiamato sul palco il compagno, Nuccio Ordine, che pur essendo non credente è molto vicino alla posizione di Padre Fortunato. Qui Sgarbi da il meglio di sé da grande provocatore quale è adottando un metodo quasi “socratico” per far emergere la verità, usando la contraddizione anche quando è pienamente d’accordo con i suoi interlocutori. Mi chiedo, non potrebbe fare solo questo mestiere? Non sarebbe, forse, più apprezzato come intellettuale puro piuttosto che come il personaggio televisivo che tutti conosciamo? Probabilmente no! Padre Fortunato conclude il suo intervento riprendendo il testo di Kolitz letto all’inizio e sostituendo la parola “ebreo” con “immigrato”. Ed è sempre da questo testo che riparte l’ultima parte del talk show, la più intensa, ma non prima della disquisizione di Marcello Veneziani unico filosofo di professione intervenuto nel dibattito con un appassionante ragionamento che culmina nella tesi per cui Dio coincide con l’Essere. È quindi il turno di Michele Placido che affascina anche solo per il suo modo di stare sul palco, legge magnificamente L’infinito di Leopardi e dà il suo apporto, anche stemperando i toni, al momento intellettuale più alto della serata, il momento di quello annunciato da Sgarbi come “l’ebreo che odia Israele”, il momento dell’artista poliedrico, l’ebreo ateo, Moni Ovadia. A fine serata ho sentito l’esigenza di andare a stringergli lamano e dirgli che ascoltarlo è stato un piacere per quanto fossero stati appassionanti i suoi interventi che hanno spaziato dal fondamentalismo religioso all’interazione con la psicologa Vera Slepoj con la quale si eraaperto un interessante spunto di riflessione sul ruolo che ha la fede per il benessere psicologico dell’individuo. Un peccato che i tre abbiano dovuto condividere uno spazio temporale troppo ristretto per contenere quanto avessero da dire, tuttavia, la scelta di farli dialogare tra loro si sia rivelata fortunata. Tra una canzone di Franco Battiato e l’altra, troppe volte viene tirata i ballo la scommessa di Pascal come assunto che trova tutti d’accordo: crediamo in Dio perché ammesso che non esista avremo comunque vissuto una vita all’insegna della rettitudine. Forse una semplificazione un po’ banale di un concetto che ammette la necessità del dubbio, anche come fonte di riparo da fondamentalismi, e che non tiene abbastanza conto del ruolo fondamentale della fede, un dono che non hanno tutti. Sembra essere giunti ad una conclusione ideale, la verità sembra vicina, quando Sgarbi rimescola le carte lanciando una nuova provocazione: legge il testo della canzone di Fabrizio De André, il Testamento di Tito. Perché lo faccia sulle note di Nuvole bianche di Ludovico Einaudi resta un mistero, ma il polverone sulla religione è stato risollevato e la scelta dell’ultimo singolo del maestro Battiato, Torneremo ancora, è emblematica. È su queste parole, infatti, che cala il sipario: “…Molte sono le vie ma una sola quella che conduce alla verità, finché non saremo liberi torneremo ancora ancora e ancora…”.

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