“CARCERI SOVRAFFOLLATE E NON SEMPRE ADEGUATE A GARANTIRE IN PIENO I LIVELLI DI DIGNITÀ UMANA”

 

Avv. Giovanni Falci

SALERNO – Con queste parole il Presidente della Repubblica, ha risposto al recente appello da parte di detenuti del Nordest.

Al “problema carceri” già esistente nel nostro paese oggi si innesta la complicatissima gestione dell’emergenza epidemiologica.

Partiamo dai numeri: i più recenti rilevamenti, raccolti dal Garante Nazionale dei detenuti, indicano la presenza, nei carceri, di oltre 59.000 detenuti, rispetto alla capienza regolamentare di meno di 51.000.

Non si tratta di uno “scarto” irrilevante, dovendo considerarsi la necessità di offrire il rispetto di spazi vitali adeguati alla funzione costituzionale della pena.

Uno spazio vitale che possa giustificare il concetto di dignità umana.

Parliamo, di circa 7 mq da assicurare a ciascun detenuto e non di quanto talvolta si ironizza da parte di chi ama troppe volte esprimersi con frasi come “bisogna buttare la chiave” o “deve marcire in galera”.

Purtroppo però dobbiamo renderci conto che costoro sono gli interlocutori con cui confrontarsi per affrontare il problema “carcere”.

La difficoltà del confronto oltre che sul piano culturale deriva dal fatto che gli interlocutori in parola, spesso sembrano più interessati ad aumentare il numero dei “like” piuttosto che a trovare soluzioni che li rendano l’impopolari.

Si arriva perciò ad accettare che il sovraffollamento dei penitenziari, così come le pessime condizioni igienico sanitarie, vengano vissute come la regola di un luogo in cui, tutto sommato, le condizioni di normalità debbano considerarsi una “concessione” fin troppo generosa.

C’è bisogno di un cambio di prospettiva, un approccio al problema nel quale se non si pone al centro l’uomo e la sua dignità si finisce per trattare queste questioni con grande superficialità.

E per fare questo basta solo porre mente alla funzione rieducativa della pena che ancora, e meno male, è presente,  nella nostra Costituzione.

Il problema, invece, si aggrava per una visione rigidamente “carcero-centrica” di quei campioni del populismo che sono riusciti a saldare, nell’immaginario collettivo, il concetto di “certezza della pena” con quello di “più carcere”.

Non è così! Questo giustizialismo forcaiolo può giustificarsi, e neanche tanto, sui social network, ma è inammissibile sul piano della civiltà in uno Stato di diritto e le più recenti riforme ne sono la evidente dimostrazione.

Mi riferisco in particolare alla legislazione che ha deciso la ostatività delle pene alternative al carcere nei confronti dei condannati per una serie di reati contro la pubblica amministrazione.

Queste leggi ci fanno tornare indietro e l’informazione distorce la realtà inseguendo un sensazionalismo basato sulla enfatizzazione di fatti di cronaca che sembrano dare conferma della impossibilità di prevenire e reprimere se non attraverso lunghe detenzioni carcerarie.

Non è così! Basta guardare i dati sulla recidiva in rapporto alle modalità di esecuzione delle pene, quei dati, per intenderci, che dovrebbero orientare le scelte e formare la sensibilità sul tema.

I numerosi studi dimostrano la minore incidenza di recidiva per chi sconta la pena con misure alternative al carcere.

avv. Giovanni Falci (penalista - cassazionista)

In altre parole, ai fini preventivi e di ricaduta nel delitto, sono più efficaci espiazioni della pena con misure alternative al carcere che la reclusione intramuraria.

E’ chiaro che, certo, il delitto commesso da un condannato in espiazione alternativa fa rumore, ma, di contro c’è il silenzio di tante vite che si rimettono in carreggiata completando un percorso di reinserimento esterno.

Queste seconde sono la regola, le prime l’eccezione.

Oggi l’emergenza è rappresentata dalla necessità che vengano assicurate le condizioni indispensabili affinché nelle strutture carcerarie non si diffonda in modo esteso il  virus che ci tiene tutti in allerta.

Ora c’è un’emergenza nell’emergenza, ed è necessario agire presto anche a prescindere, a mio avviso, dalle singole visioni e concezioni in ordine alla sanzione penale.

Facciamo subito e poi elaboreremo teorie e meditazioni sul tema.

Adesso è necessario ampliare gli spazi disponibili all’interno delle strutture per avere la possibilità, in concreto, di isolare le persone consentendogli di essere opportunamente distanziate.

Se i liberi devono rispettare una distanza tra di loro di 1 metro, questo deve valere anche per i detenuti, lo impone l’art. 3 della Costituzione e, prima ancora, l’art. 32.

Pensare di intervenire come ha deciso il governo è semplice demagogia.

Il decreto, infatti, incide solo sulla posizione dei detenuti chiamati a scontare un residuo pena di diciotto mesi e prevede l’utilizzo degli strumenti di controllo a distanza (cd braccialetto elettronico) per la detenzione domiciliare.

In questo senso, è un provvedimento inattuabile nella  pratica.

Se fosse un provvedimento amministrativo sarebbe nullo perché privo di “copertura finanziaria” e il funzionario passerebbe anche un guaio che invece non passa il Ministro.

Se solo guardiamo alle difficoltà che da tempo si sono manifestate in ordine alle disponibilità degli apparati elettronici di controllo a distanza, abbiamo l’esatta portata della misura, solo di facciata, che è stata adottata.

Subordinare la detenzione domiciliare alla disponibilità del braccialetto elettronico significa dichiarare concretamente l’inapplicabilità della misura.

Quanto meno nell’immediato, ed è fin troppo evidente, con i tempi con i quali si diffonde il virus, che tale misura potrebbe essere incompatibile con quella di effettivo reperimento degli strumenti elettronici.

Mi auguro, perciò, che vengano ascoltate le sollecitazioni che da più parti stanno pervenendo al Governo, dalla magistratura, dall’avvocatura, dall’Unione delle Camere Penali, dal mondo accademico, per affrontare in modo più efficace e rapido l’emergenza.

Il tempo corre. C’è da mettere da parte al più presto le demagogie.

Servono provvedimenti immediati ed efficaci per assicurare il piano di prevenzione. Anche per evitare che si intervenga in ritardo in una situazione non più gestibile neanche per gli operatori sanitari.

Mi riferisco, inoltre, a un problema che riguarda, come è evidente, anche la tutela di tutto il personale impegnato quotidianamente all’interno delle strutture.

E allora, come ha detto il Presidente della Repubblica, la condizione che caratterizza lo status di detenuto comporta sì la perdita della sua libertà ma non può mai limitare il suo diritto alla salute. Meno che mai la sua dignità.

In questi giorni, in piena emergenza sanitaria, guardiamo a loro come esseri umani, riconoscendogli quel diritto alla salute che può concretamente essere tutelato nella nostra democrazia solo se inscindibilmente saldato al principio di uguaglianza.

Giovanni Falci

 

 

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