IL VALLO DI DIANO E LE BONIFICHE TRA IL 1800 – 1900. DELLA DINASTIA BORBONICA E QUELLE ATTUALI. NICOLA VIVENZIO DESCRIVE IL VALLO DI DIANO

Dr. Michele D’Alessio (giornalista-agronomo)

Il Vallo di Diano

Con il passare dei secoli, per la sua posizione geografica, il Vallo di Diano, questa terra che è stata, già in epoche antichissime un naturale crocevia delle culture sviluppatesi sui versanti adriatico, jonico e tirrenico, in particolare l’antica cultura villanoviana, la civiltà lucana e, in epoca successiva, la cultura greca. Divenne tra il Medioevo e l’ottocento, con la famiglia Sanseverino uno dei principali centri di cultura e di potere dell’Italia meridionale; Nel 1900 il territorio originariamente di tradizioni contadine, ha visto nel tempo la nascita di imprese sia legate all’agricoltura che al settore manifatturiero, in particolare legno, tessile, pelli e cuoio. Ad affiancare questi settori tradizionali, negli ultimi anni sorgono iniziative e idee imprenditoriali per la valorizzazione del turismo favorite anche dai programmi locali e dai piani regionali di riqualificazione. Tra le attrattive più note, si segnalano: la Certosa di San Lorenzo (Padula), dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, fondata agli inizi del Trecento dai Sanseverino che fu fino all’Ottocento uno dei principali centri di cultura e di potere dell’Italia meridionale; le Grotte di Pertosa – Grotte dell’Angelo, complesso speleologico con un elevato interesse scientifico; l’area archeologica greco – romana situata tra Sassano e Monte San Giacomo ed, infine, il centro storico di Teggiano. Come ci dirà il dottore Vitantonio Capozzi, con l’aumento della popolazione e del commercio, ci porterà ad una graduale bonifica della zona pianeggiante del Vallo, che interesserà anche il fiume Tanagro, con modifica del percorso e di opere fluviali, ma ascoltiamo il dottore Capozzi, con i suoi dettagli e aneddoti storici “….Il bacino d’acqua che si estendeva, per la lunghezza di due miglia di circonferenza, dalla Grotta di S. Antonio fino alle Crive (o Clive), e dal paese fino alla contrada Belvedere, aveva formato un’isola, dove oggi è il palazzo Palmieri, citato dal De Felici nella leggenda del Solitario della Polla. Chi però si sofferma sull’argomento, e in modo dettagliato, è lo storico pollese Francesco Curcio Rubertini. Questi, nel suo libro Origini e Vicende Storiche di Polla, edito nel 1911, ci parla dell’esistenza del bacino, del quale ne traccia i contorni e i luoghi, comparandoli con quelli descritti nella leggenda, affermando che: “Questo lago era circondato da tre parti da ameni boschetti, secondo che si legge nel Solitario della Polla, quali quelli dei Cappuccini, quello della Masticella e quello del Tempio, secondo le attuali denominazioni”. Va detto anche, così come peraltro confermato dallo stesso Curcio Rubertini, che nelle scritture della Camera della Sommaria di Napoli (1444 – 1806) spesso si fa menzione di fondi feudali lacustri esistenti in Polla, precisamente ubicati “in loco ubi dicitur lo lago della Grotta, in loco ubi dicitur lo lago la Criva. in loco ubi dicitur lo lago vivo, in loco ubi dicitur lo lago Madonna del Loreto, in loco ubi dicitur lo lago Belvedere”. È indubitabile quindi che un lago, o stagno, o palude, di due miglia di circonferenza, si era formato intorno a Polla su un vasto territorio comprendente la contrada Grotta, la contrada Belvedere e le Crive, e, sempre secondo il Rubertini, con in mezzo un’isola, localizzata ove oggi sorge il palazzo Palmieri e un tempo il Convento dei Domenicani. Quindi, è verosimile ritenere che su di essa fosse stato innalzato un piccolo castello o torrione, menzionato nel Solitario della Polla.

È utile qui ricordare, per dare un quadro espositivo completo, il ruolo rilevante che svolgeva la Camera della Sommaria, detta anche Regia Camera. Infatti aveva il compito precipuo di esaminare i conti del regio tesoro, dei ricevitori provinciali e di tutti gli altri funzionari, ai quali veniva affidato il denaro pubblico, i rendiconti dei pubblici amministratori e i conti relativi alle imposizioni fiscali delle universitates. Oltre a questi aspetti amministrativi di pura contabilità, ebbe anche il compito di tutelare le universitates dagli abusi dei baroni e dei governatori, i quali, non di rado, approfittando della loro posizione di privilegio, traevano profitti con mezzi ed espedienti illeciti.

Il fiume Tanagro

Ma come si regolavano i funzionari nel mappare e/o identificare i siti e le rispettive proprietà? Non avendo la possibilità di servirsi di mezzi e metodi tecnologicamente avanzati per gli accatastamenti degli immobili, adottavano un metodo empirico. Si basavano cioè sull’orografia dei luoghi, così come apparivano, le cui caratteristiche venivano assunte al momento delle identificazioni delle proprietà. Quindi, non esistendo una toponomastica ufficiale, venivano attribuiti alle contrade e ai luoghi, in virtù delle loro caratteristiche geologiche, litologiche e idrogeologiche dei terreni, che ne identificavano la posizione territoriale, soprattutto quelli per l’uso antropico. Il metodo così concepito, pur se molto rudimentale, serviva comunque ai funzionari per contabilizzare le imposizioni fiscali. Orbene, tornando al Curcio Rubertini, questi descrive i luoghi, ove si svolsero i momenti salienti della leggenda del Solitario della Polla, così ne riassume i contorni: “Verso l’anno 1430 o giù di lì (sic!), mentre regnava in Napoli la regina Giovanna II^ d’Angiò, Giacomo della Marca, di lei marito, disgustato della condotta niente onesta e lodevole di sua moglie, si ritirò in Polla e prese stanza in un edifizio fattosi costruire appositamente sul colle che sovrasta alla Criva. Fin dal primo giorno che vi arrivò incognito fu un venire ed andare continuo di grandi personaggi, che cercavano persuaderlo a tornare nella reggia di Napoli; ma egli oppose loro sempre ostinato rifiuto ed a breve andare cessarono di più molestarlo. Restò solo coi suoi familiari, inaccessibile a chiunque voleva visitarlo per conoscere chi era. Diè luogo a sospetto e gli furono fatti dei ricorsi alle autorità per allontanarnelo; ma non si approdò a nulla e Polla ignorò per tutto il tempo che vi rimase chi fosse ed a che fare venuto. Dopo aver egli invano tentato di contrarre un matrimonio clandestino nel castello di Sala con nobile donzella, figlia del barone di S. Nicandro, essendo venuta di persona Giovanna II^ ad impedirlo, partì per la Francia, sua patria, dove si vuole morisse romito in odore di santità”. Insomma, un lago, o stagno, o palude, o fosso, di due miglia di circonferenza, formatosi intorno a Polla è senza alcun dubbio esistito.

Fatte queste attente osservazioni, l’autorevole storico pollese tenta di delinearne la sua estensione secondo le attuali denominazioni dei luoghi circostanti. E, stando alla descrizione dei luoghi fatta dal De Felici, lo storico pollese deduce “che questo terreno acquitrinoso, che si riempiva nei periodi delle abbondanti piogge, era circondato da tre parti, Cappuccini, Masticella e Tempio, ma anche da ameni boschetti. Nella parte sud – est, invece, confinava con una folta boscaglia, come quella di Persano, che doveva estendersi lungo il Vallo di Diano”. E sempre secondo lo studioso pollese, gli inghiottitoi naturali, che ricevevano le acque del fiume, dovevano essere almeno quattro: il primo, dove tuttora ancora esiste il mulino, ora diruto, appartenente alla famiglia Curcio e ubicato davanti al Ponte romano, il secondo, dove è situata la casa Medici dirimpetto al Ponte romano, il terzo, importante per la sua capacità ricettiva delle acque superficiali, cosiddetto delle Crive o Clive, ed, infine, la voragine naturale della Grotta situata all’ingresso di Polla. Ritiene inoltre che le acque del lago durante il periodo estivo avrebbero dovuto conservare il medesimo livello, che invece nelle grandi piene dell’autunno e dell’inverno veniva alterato. Da qui si deduce che il lago, nei periodi di siccità, anziché essere un abbellimento naturale, era una fonte di malattie malariche che decimava la popolazione.

Nicola Vivenzio

La lunga e travagliata vicenda del fiume Tanàgro e della formazione del lago ai piedi di Polla, finirà solo con l’esecuzione dei lavori di bonifica nel Vallo di Diano eseguiti sotto i Borboni. Le opere, che ebbero inizio sul finire del 1700 e furono ultimate nei primi anni del 1800, metteranno fine ai rovinosi straripamenti del fiume Tanàgro nel Vallo di Diano.

Prima di questi lavori, però, il formarsi della grande massa d’acqua dolce, che si raccoglieva sulla superficie e nelle cavità terrestri, dava origine, ai piedi di Polla, al lago, che si colmava, quando le piogge stagionali erano abbondanti, specialmente nei periodi invernali.

Fu così che, avvenuta la bonifica, i terreni furono restituiti alla coltura e il territorio fu lasciato libero dalle acque del lago e destinato al pubblico pascolo col nome di Demanio comunale con uso civico. Quindi ebbero origine le contrade della Chiusa e della Tempa. Invero, il nome di Chiusa potrebbe derivare proprio dagli argini, o paratie, o terrapieni costruiti allo scopo di contenere le acque durante le piene che formavano il lago.

Alla luce di quanto abbiamo detto, aderendo all’ipotesi sostenuta dal Nostro, è verosimile pensare che l’isola del lago, ove il Solitario della Polla soggiornò, dopo aver costruito un piccolo castello o torrione, corrisponda esattamente al sito del poggio dell’attuale S. Rocco, già convento dei Domenicani ed ora palazzo Palmieri. Il lago, quindi, doveva estendersi dalla Grotta alle Crive, rasentando l’attuale via di Prato la Corte, l’attuale contrada del Belvedere, fino alle contrade dette la Creta o Barolato. L’attuale poggio di S. Rocco, che era circondato dalle acque, fu, giustappunto, denominato l’isola del lago, secondo la testimonianza documentaria della Camera della Sommaria (…in loco ubi dicitur lo lago vivo…).

Ed infine, per completezza di esposizione, proponiamo al lettore il brano che ci farà la sintesi di quanto abbiamo finora detto. Si tratta del brano ricavato dal suo libro-diario Considerazioni sul valore proprio a’ doni che ha la natura largamente conceduto al regno delle due sicilie, il cui autore è Carlo Afan de Rivera (Gaeta 12 ottobre 1779 – Napoli 11 gennaio 1852). Era questi un militare ed ingegnere, nonché direttore generale del Corpo di Ponti e Strade, Acque, Foreste e Caccia del Regno delle Due Sicilie; passò alla storia, per aver ideato e progettato numerose opere pubbliche, tra le quali l’aver messo in evidenza il progetto di bonifica del Vallo di Diano, intrapreso dalla dinastia borbonica.

Dalla lettura degli appunti raccolti emerge chiaramente come dalle autorità politiche fosse stato avvertito il bisogno assoluto di affrontare il problema anche perché, dalle stesse, fossero state ritenute prioritarie le opere di bonifica, per i benefici ad esse connessi, come, tra i tanti, la costruzione di tre molini a Polla e l’espandersi delle culture estensive e cerealicole in pianura. Il noto Ingegnere ricorda che: “Nel mezzo di una vasta regione montuosa giace l’ampia valle del Tanagro, lunga 20 miglia e larga ragguagliatamente tre miglia. Il suo sbocco inferiore è aperto tra un’angusta gola, che ha una cinta di roccia calcarea alquanto superiore al livello della valle. Per questa gola, che vien detta “Fossato di Maltempo” nelle straordinarie inondazioni si scaricavano le acque che superavano il livello della cinta anzidetta. Per tal impedimento allo scolo delle acque del fiume, il fondo della valle avrebbe presentato un lago perenne, se provvida natura non avesse aperto il passaggio alle acque per mezzo delle caverne che si trovano a traverso delle rocce calcaree ne’ siti i più bassi. Alcune di queste si osservano su la sponda dritta del fiume alquanto sopra corrente del ponte di Polla ed in esse si smaltiscono le acque di scarico di tre molini ivi stabiliti. Esse sono più numerose in un sito depresso detto “le Crive” su la sponda sinistra del fiume stesso in distanza di mezzo miglio in circa sotto corrente dal ponte mentovata”. Il Relatore poi passa a descrivere con meticolosità certosina come le acque, specie d’inverno, stagnassero procurando danni ingenti alle colture del piano. “Tutte quelle caverne sono atte ad assorbire le acque ordinarie del fiume, ma nelle piene le acque doveano rimanere stagnanti nel fondo della valle, finche tutto il loro volume non si fosse interamente smaltito. Nel verno, specialmente quando era molto piovoso, le campagne depresse della valle restavano sommerse per più mesi, e nelle dirotte piogge della primavera e dell’autunno erano distrutte le coltivazioni esistenti. Inoltre, sebbene lo spianamento del fondo della valle indicasse che le torbide si deponessero quasi uniformemente, pure i depositi erano maggiori lateralmente agli alvei, i quali soffrivano alterazione quasi ad ogni straordinaria piena. Da queste continue alterazioni derivava che molte ampie conche per difetto di scolo rimanevano palustri anche nella state e spandevano tutto all’intorno pestifere esalazioni. Quella fertilissima valle quindi era per la massima parte incolta e produceva principalmente fieno, mentre le popolazioni sparse su le alture soprastanti sperimentavano i tristi effetti dell’infezione.” Il Nostro passa quindi ad illustrare i momenti salienti che caratterizzarono quei lavori, che, come era ovvio che fosse, rappresentavano solo la prima di una lunga fase progettuale. “Ferdinando I°, comprendendo l’importanza di restituire ad una florida coltura una contrada così ubertosa situata in mezzo ad alpestri monti, fin dal 1786 ne fece intraprendere la bonificazione. Quindi derivandosi in estate le acque del fiume nel sito delle Crive, ove erano assorbite dalle caverne, si cominciò a profondare il fossato di Maltempo, che era il naturale canale di scarico del fiume. Sebbene questo lavoro fosse stato sospeso per le calamità politiche del regno prima di essere condotto a perfezione, pure il profondamento del canale per pochi palmi, facilitando lo scolo delle acque, diminuì grandemente la durata delle inondazioni. Per effetto di una tale operazione, estese campagne si misero a coltura e si accrebbe di molto la popolazione de’ dintorni”. A questo punto, il tecnico reale, ripercorrendo gli anni in cui furono effettuati i lavori, non senza mettere in evidenza la contrarietà dei proprietari terrieri, è dell’avviso che il continuo ruscellamento della acque provenienti dai monti provoca fenomeni alluvionali di grosse intensità, ricordando come “Nel 1816 furono ripigliati i lavori e condotti innanzi con lunghe interruzioni fino al 1825. Finalmente negli anni 1830 e 1851 dalle vicinanze di Sala fino a quelle di Polla si è formato un nuovo alveo, nel quale incanalandosi le acque del fiume, non si producono più inondazioni. Essendo stato il canale tracciato nel fondo più basso della valle, nel caso di straordinarie escrescenze le torbide che inondassero per breve tempo le campagne adiacenti, le concimerebbero, e scolando le acque nel fiume tosto che se ne abbassasse il pelo, le coltivazioni non ne soffrirebbero alcun danno. E qui il luogo di osservare che l’arte senza la molestia degl’interessi contrari de’ diversi possessori deve eseguire le opere principali della bonificazione, e che quando quelle sieno state condotte a termine, all’amministrazione si appartiene il perfezionarla e conservarla. Rispetto al Vallo di Diano il concorso dell’amministrazione deve essere più diligente ed efficace, per rendere di maggior utilità le opere eseguite e per farle conservare. La forsennata coltura delle scoscese gronde de’ monti soprastanti ha fatto di anno in anno imperversare i numerosi torrenti che ne discendono, menando seco immensa congerie di grosse alluvioni”. Preoccupato dei prevedibili disastri che le alluvioni possono produrre, ritiene urgente un adeguato e opportuno intervento, perché “Se non si apportasse prontamente riparo a questi gravissimi disordini, confarsi restituir salde e boscose le anzidette pendenze, le alluvioni nel giugnere al nuovo alveo lo colmerebbero. Restando così distrutte le opere eseguite, si riprodurebbero le inondazioni e ritornerebbero ad essere palustri le campagne depresse. Somma cura si richiede, per far rispettare le ripe e gli alvei e per impedire i danni che vi si sogliono produrre, affin di eseguire le irrigazioni senza costruire le opportune opere di arte. Eguali cure debbonsi avere per far conservare netti da interrimenti e da erbe palustri gli scoli delle campagne. La sperienza pur troppo ci ha mostrato che per l’incuria dell’amministrazione le bonificazioni non si sono perfezionate, o non sono riuscite corrispondenti all’oggetto che si proponeva, e sovente sono rimaste distrutte. Non si deve perdere di mira che il perfezionamento della bonificazione del Vallo di Diano, mentre ne migliorerebbe il clima, farebbe raddoppiare le produzioni ed il valore di quelle ubertose campagne…omissis…”.

Prof. Vitantonio Capozzi

Di fondamentale importanza, ai fini della nostra ricerca e per il loro contenuto storico, sono le due lettere del 1796, che Nicola Vivenzio (Nola gennaio 1742 – Napoli 27 agosto 1816), insigne giureconsulto e luogotenente della Regia Camera, scrisse al suo amico Argimiro Lucci, noto studioso della lingua latina che viveva a Napoli. Le due missive, date alla luce nel 1812 dal tipografo napoletano Angelo Trani, ci chiariscono essenzialmente due aspetti che caratterizzarono le operazioni di bonifica: l’uno, concernente la descrizione dettagliata dei luoghi ai piedi di Polla, ove esisteva il lago, e il disordine idraulico che regnava sovrano nell’intero Vallo di Diano, l’altro, che riguarda l’approntamento delle opere ritenute necessarie per il prosciugamento delle acque e la sistemazione degli argini del fiume Tanàgro ,ma anche i lavori che consentirono (finalmente!) l’apertura di un canale di collegamento tra le Crivee il Fossato Maltempo. I lavori furono magnificati in un’epigrafe ordinata nel 1796 dal Vivenzio. L’epitaffio così ricordava l’opera intrapresa: “FERDINANDO IV – Rex optimum et providentissimus agros a clivo Dianae ad montem Pollae gravi ceno corrupttos et inaccessos fossa per mila passum II rectaq adversos per monte set saxa ingenti molimine depressa qua, exundandisTanagri et circum surgentibus iugis dilabentes aquae in subiectam vallem plofuerunt paludibus exiccatis feracissimos redditi incolisque regionum aeris salubritatem restituit curante Nicolao Viventio fisci advocato magistro et machinatore Carolo Pollio – An. MDCCXCVI” (L. Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, IV, edito a Napoli nel 1797, p. 211). Non essendo stata rinvenuta, si ritiene che la menzione epigrafica sia apocrifa, riferita dal Giustiniani senza un effettivo riscontro.

Lo stesso re Ferdinando IV, al quale il Vivenzio aveva inviato un’apposita relazione, decise di visitare il Vallo di Diano nell’aprile del 1788, per verificare di persona i lavori di bonifica che erano stati effettuati. Ritornando alla seconda lettera del Vivenzio, quella che più ci interessa da un punto di vista documentale, per la sua minuziosa e dettagliata descrizione dei luoghi. Nella lettera ricordava come il fiume Tanàgro, straripando, determinasse un vastissimo allagamento “che si estendeva sopra cinquantamila moggia di terra dal colle di Diano fino alla Polla…omissis…e vi durava otto mesi dell’anno…omissis…. Tutte le acque, che scorrono per il Vallo, riunite sotto il monte della Polla, che ne chiudeva l’uscita, si aveano col loro peso aperto un cammino sotterraneo a traverso di alcune voragini, formate dalle fenditure degli strati calcarei del monte; e per tali voragini, che quei del paese chiamano Crive, trapassando le acque a poco a poco, dopo due miglia di cammino sotterraneo uscivano da una grotta del monte della Pertosa, formando il fiume dell’Auletta…omissis…”

Il Giurista non fa a meno di rilevare quanto necessaria ed opportuna sia stata l’apertura del Fossato. L’opera, infatti, permetteva il convogliamento delle acque fluviali, le quali, quando non defluivano, provocavano danni alla salute degli abitanti per le esalazioni moleste e malsane causate dall’impaludamento dei terreni. Ma leggiamo insieme la sua descrizione. “La quantità delle acque, che si raccoglievano sotto il monte della Polla, non potendo scorerre per le Crive che lentamente cresceva all’altezza di ventiquattro palmi: ed il suo rialzamento sarebbe stato maggiore, se a quest’altezza non avesse trovato uno scolo nel vallone formato dal pendio de’ monti dalla parte opposta alla Polla, che si chiama Fossato…omissis…E sebbene il ristagnamento delle acque su questo piano si disseccasse poi nell’està (estate); pure sotto la città di Diano, della Terra di Atena, e della Polla, vi rimaneva gran tratto di terreno paludoso, che rendeva malsana, ed infetta l’aria delle undici popolazioni, la Polla, S. Arsenio, S. Rufo, Diano, S. Giacomo, Sassano, Buonabitacolo, Montesano, Padula, Sala, ed Atena, che si trovano alle falde de’ monti d’intorno al Vallo, e contengono quarantamila abitanti…omissis…”.

Il Nostro con minuzia passa alla descrizione dei momenti salienti delle opere programmate, che ebbero inizio con il livellamento delle Crive, fino al poderoso intervento al Fossato Maltempo, ricordando come “S’incominciò il canale poco lontano dalle Crive, e fu tagliato per la lunghezza di seimila palmi nel masso del bassamento de’ monti laterali alla Polla: e per renderlo uguale al livello del fiume, fu cavato alla profondità di ventiquattro palmi, e da venticinque a trenta di larghezza. Dopo di questo tratto fu pure continuato a traverso de’ macigni, e delle rupi, che formano la parte superiore del Fossato per altri cinquemila palmi: ma perché nello intero tratto di tutto questo canale s’incontrarono delle grandi lavine di creta, che rivestono la superficie de’ monti laterali al taglio; furono costruiti da parte in parte fortissimi muraglioni a calcina su larghe basi stabilmente fondati colle opportune riseghe, e contrafforti. Intanto, siccome il fiume prima di arrivare al luogo, dove incomincia il nuovo canale, scorreva tortuosamente; così per dare alle acque una velocità maggiore, dalla imboccatura di questo canale per quattromila palmi sopra corrente, si è pure cavato un alveo rettilineo della larghezza di palmi centoventi, difeso a destra, ed a sinistra da grossi, e potenti argini alti ventiquattro palmi sul piano della campagna con le richieste scarpe, interrotte da due banchine, ciascuna di esse larga otto palmi; e nel piano superiore di questo alveo si è formata una strada di palmi sedici di larghezza, fornita a destra, ed a sinistra da un’albereta di pioppi. In questo nuovo alveo vanno a deporsi tutti gli scoli delle campagne laterali per cinque trombe sotterranee, che hanno alle loro foci i portelli a valvola, i quali si aprono dalla parte del fiume col peso stesso delle acque, che vi si radunano…omissis… Dopo tre anni di continuo travaglio, costrutto il nuovo alveo sopra corrente, ed aperto ancora il gran canale con dar libero corso al fiume per lo Fossato, i terreni, che fino a quel tempo erano stati paludosi, rimasero del tutto asciutti”. E mette in evidenza come in una fase successiva i terreni, che appartenevano al demanio pubblico, fossero stati resi asciutti, e che, in tal modo, si decise di assegnarli a ciascun nucleo familiare. A tal fine “furono divisi in porzioni eguali fra tutti i capi famiglia della Polla, con un piccolo censo a beneficio dell’Università, o dai censuarj posti subito a coltura..omissis…e fu costrutto alla destra del nuovo alveo arginato, e dove prima le acque si rivolgevano alle Crive, un ponte di un solo arco, e sopra di esso uno stanzone, in cui vi è l’argano, che alza, e bassa un portone di quattordici palmi di larghezza, e sedici di altezza. Laterale a questo ponte sul canale principale si è costrutta ancora una cateratta a cinque luci con doppia mano di porte per potere in tempo di està, che le acque sono più basse, aprendo il portone, rivolgerle alle Crive; e posto in secco tutto il tratto del canale esaminare lo stato, in cui si trova, e le fabbriche che lo difendono; con farvi, qualora vi bisognassero, i necessarj ripari.” .Infatti, solo dopo i lunghi lavori di bonifica, che furono effettuati per governare le acque, che prima ristagnavano sui terreni situati ai piedi di Polla, la valle incominciò a riacquistare la fertilità dei terreni e la salubrità dell’aria.

Per una informazione più completa da fornire al lettore, occorre precisare che, dopo la restaurazione borbonica, ripresero altri lavori di bonifica, per completare quelli già realizzati. Di essi si fa cenno in vari documenti che evidenziano come gli organi istituzionali si siano prodigati per la soluzione del secolare problema. Sappiamo anche che nel 1810 esistevano ancora quattro laghi in Sala, uno stagno in Atena, due laghi in Padula, un lago, uno stagno e una palude in Montesano, uno stagno in Diano ed, infine, uno stagno in S.Arsenio e che, in una sessione del 1814, il Consiglio Provinciale ebbe modo di ringraziare il sovrano “per avere autorizzato l’opera di bonifica delle terre sommerse nel Vallo di Diano”. Invero, per dare al lettore un’informazione più completa, va ricordato che Murat si adoperò per riprendere la bonifica del Vallo di Diano, prevedendo, per la politica del territorio, una spesa di circa 800.000 ducati all’anno “in aprire strade, gettare ponti, disseccare fonti e paludi”, a fronte della spesa di 240.924 ducati del periodo borbonico, di cui fa fede l’avvocato economista Giuseppe Maria Galanti (1743 – 1806) nel suo Nuova descrizione storica e geografica delle Sicilie. Il Cassese (op. cit.) ricorda che nel 1865 solo un decimo dei terreni vallivi risultava messo a coltura, mentre l’altro decimo era in corso di bonifica, ed infine vogliamo rammentare che presso l’Archivio di Stato di Salerno giace un programma di lavori del 1869, comprendente dieci progetti: il che dimostra come ancora altre opere di bonifica erano necessarie per porre rimedio al disordine delle acque nel Vallo di Diano.

Ciò ci fa capire che, nonostante la realizzazione di tante opere effettuate e la spesa di ingenti somme, solo alla fine del XIX secolo la prima fase della bonifica, finalizzata a riscattare il territorio dalla palude, possiamo dire essersi conclusa con apprezzabili risultati. Rimanevano ancora da risolvere i problemi di carattere idraulico. Non bisognava solo intervenire, con opere adeguate, ad arginare e risagomare il Tanàgro con i suoi affluenti vallivi, ma occorreva, altresì, provvedere al rimboschimento delle ormai denudate montagne e ad imbrigliare i torrenti che dai monti precipitavano a valle.

Si giunge così alla storia dei nostri giorni.

Il 14 Novembre del 1923, su iniziativa di alcuni cittadini residenti nel Vallo di Diano e interessati allo scopo di ottenere la costituzione di un consorzio per la esecuzione delle opere di bonifica del Vallo di Diano, presentavano apposita istanza alle autorità competenti. II 7 febbraio 1926 i proprietari dei terreni si riunirono in una pubblica adunanza al termine della quale la proposta riportò la unanimità dei voti degli interessati, in rappresentanza della maggior parte del comprensorio da bonificare.

Il 21 marzo dello stesso anno 1926 il Re Vittorio Emanuele III, su proposta del Ministro Segretario di Stato per i lavori Pubblici, decretò la costituzione del Consorzio speciale per la bonifica del Vallo di Diano, sulla base dell’elenco delle proprietà interessate e del tipo indicativo del perimetro della bonifica.

Con lo stesso atto veniva nominata la Deputazione Provvisoria del nuovo Ente.

Da allora trascorreranno altri decenni di attese che vedranno l’uomo instancabilmente intento a trovare rimedi definitivi, sia nei primi decenni del XX secolo, come ci attestano le cronache de “Il Mattino”, pubblicate a Sala Consilina nell’ottobre del 1928, riferite al decennio 1919-1928, sia negli anni trenta, periodo in cui il Governo Fascista intervenne con provvedimenti specifici di bonifica idraulica e di trasformazioni fondiarie…”.

Con la bonifica del Vallo ci fermiamo qui, anche perché la storia del recente risanamento del Vallo è conosciuta da tutti o quasi, per cui sarebbe inopportuno scrive e dire altre cose. Si ringrazia i tanti elettori per questi articoli dedicati e con lo scrittore e ricercatore storico Dr. Vitantonio Capozzi, per altre informazioni storiche sul Vallo e dintorni…

 

2 thoughts on “IL VALLO DI DIANO E LE BONIFICHE TRA IL 1800 – 1900. DELLA DINASTIA BORBONICA E QUELLE ATTUALI. NICOLA VIVENZIO DESCRIVE IL VALLO DI DIANO

  1. E’ necessario valorizzare di più il Tanagro, trovare una visione unitaria del patrimonio ambientale, territoriale e culturale, per restituire al Fiume Tanagro, in forme nuove il suo ruolo da protagonista

  2. Il Tanagro non solo come fonte idrica, e produttiva in agricoltura, ma anche luogo di fruizione turistica di paesaggi urbani, ricreativi, rurali e naturalistici di elevata qualità

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