San Matteo 2014: le condanne e la giustizia commutativa

 

Aldo Bianchini

Le foto parlano, e questa foto dimostra chiaramente che lo scontro curia-portatori è iniziato nel quadriportico del Duomo ben prima che la processione avesse inizio; quindi i portatori non hanno disatteso i pretestati accordi.

SALERNO – Si è conclusa, almeno per il primo grado, la lunghissima telenovela giudiziaria sulle eventuali responsabilità di portatori e cittadini nell’ambito di quella che è passata alla storia come “la rivolta di San Matteo”.

Dobbiamo tutti per prima cosa prendere atto che da quel lontano 21 settembre 2014 sono passati ben 2.592 giorni affinchè la prima parte della giustizia terrena trovasse una sua naturale sedimentazione in sede di pubblico dibattimento.

La cronaca impone di ricordare (come hanno già ampiamente riferito tutti i giornali) che il giudice monocratico dott.ssa Tiziana Santoriello (2^ sezione penale Tribunale di Salerno) ha assolto un solo imputato (il capoparanza di San Giuseppe) ed ha condannato gli altri diciannove a pene varie; a tutti è stata concessa la sospensione della pena e sull’onda delle circostanze attenuanti generiche (prevalenti sulle aggravanti specifiche) con condanne più lievi rispetto alle richieste del pm Francesca Fittipaldi che, nella requisitoria, aveva concluso per una condanna a due anni di reclusione ciascuno per tutti gli imputati e l’assoluzione per De Martino. Un processo che si avvia verso un sicuro appello e che in questa prima fase ha visto uno schieramento difensivo di tutto rispetto con gli avvocati: Cecchino Cacciatore, Genny de Martino, Angelo Gesummaria, Ciro Romano, Pierluigi Spadafora, Vincenzo Caliendo, Michelangelo Cirillo ed altri.

I nominativi dei diciannove condannati e dell’unico assolto li avete letti su tutti i giornali; a me interessa capire il perché di una decisione che, al di là delle scontate seppure eccessive richieste di condanna da parte del PM, sembrava avviata verso l’assoluzione collettiva se non perché il fatto non sussiste, almeno perché il fatto non costituisce reato.

Sembrava, difatti, molto complicata la dimostrazione che gli “inchini proibiti” e il cosiddetto “incitamento a lanciare invettive contro l’arcivescovo” potesse trovare una corposa prova provata utile per una condanna che oggi, dopo sette anni dai fatti, appare sicuramente eccessivamente punitiva. Oltretutto il giudice monocratico nella sua sentenza parla anche di accordi tra portatori e curia traditi dai portatori; le foto mostrano, invece, che ben prima dell’inizio della processione i clima tra portatori e arcivescovo era tesissimo e non prometteva niente di buono.

Ma andiamo alle radici di una sentenza che, per la prima volta in tanti anni, sembra evidenziare una propensione del giudice a far rientrare la giustizia nei ranghi che le sono più propri (giustizia commutativa) rispetto a quella giustizia socio-distributiva che consentendo l’analisi dei fenomeni sociali è molto amata dalla stragrande maggioranza dei magistrati quando intendono entrare nei ruoli propri della politica e delle istituzioni anche a costo di tracimare dalla giusta e corretta applicazione della legge con le relative condanne.

I tre imputati principali, tutti difesi all’avvocato penalista Cecchino Cacciatore, avevano difatti evidenziato un loro radicamento nelle tradizioni sociali e religiose della millenaria processione e che per questo si erano ribellati alla volontà restrittiva di un presule che pur non conoscendo bene la città e la storia delle sue tradizioni (Mons. Moretti prima di venire a Salerno nel 2010 aveva dichiarato che la città era per lui soltanto un puntino sulla carta geografica !!), mal consigliato, si era intestardito sulla eliminazione di alcuni riti che sulla carta potevano apparire anche di dubbio gusto ma che di fatto erano ben radicati nella tradizione.; anche se va chiarito che la giravolta in Piazza Portanova e quella in Portarotese non necessariamente vennero inscenate per omaggiare la memoria di Berardino Grimaldi e di Lucio Esposito (esponenti di spicco della malavita uccisi entrambi in differenti agguati di camorra).

Avv. Cecchino Cacciatore

Proprio su questo aspetto, socio-religioso, si era incentrata l’attenta difesa dei tre principali imputati da parte di Cecchino Cacciatore. Difatti nel contesto della sua ultima memoria difensiva il leale aveva evidenziato con molta chiarezza i confini della “dottrina ecclesiastica” compresa tra un sentimento religioso individuale ed uno collettivo, che spesso dà la stura ad un collettivo coinvolgimento affettivo ed emozionale del sentimento, con le conseguenze pratiche di quella sera della lontana festa del Santo Patrono.

Insomma questa prima fase di un processo che si annuncia lungo ha detto con chiarezza che il giudice non ha inteso rincorrere ragionamenti sul piano squisitamente socio-distributivo ma ha preferito fermarsi nei confini del suo recinto per meglio applicare la giustizia commutativa.

Il caso sollevato dall’avv. Cacciatore è di assoluta importanza che dovrà essere ben seguito in tutte le fasi tra appello e Cassazione.

 

 

 

 

 

 

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