Tangentopoli: sabato 4 luglio 1992 … l’arrivo di mons. Pierro

 

Aldo Bianchini

SALERNO – La gente, a fiumi, accorre per le strade del centro storico cittadino. Vuole salutare il nuovo pastore di anime, l’arcivescovo metropolita S.E. Mons. Gerardo Pierro, con la speranza che Egli, figlio della stessa terra, diventi un punto di riferimento morale e civile per tutti coloro che s’impegnano per la crescita sociale del complesso e disarticolato territorio salernitano.

Nel Duomo attendono tutti i big della politica nostrana: dal potente gran-visir di Nusco Ciriaco De Mita al ministro Carmelo Conte, dal sottosegretario Paolo Del Mese al presidente della Provincia Andrea De Simone, amministratori provinciali e comunali; insomma un parterre di rara eccezione per un’intera classe politica ormai allo sbando sotto le raffiche del vento di tangentopoli. Nella cattedrale, difatti, sembra quasi di assistere non al solenne pontificale di consacrazione del nuovo arcivescovo ma al requiem di un’intera classe politica assolutamente indifendibile, tanta è la marea di fango che sta per sommergerla.

Pochi minuti prima, in piazza Amendola, il sindaco Vincenzo Giordano (notoriamente ateo) ha recitato la parte più importante, quella della consegna delle “chiavi della città” a Mons. Pierro, un atto previsto dal protocollo cerimoniale (attentamente curato da Giuseppe Ientile e Alfredo Grimaldi); un atto che letto a distanza di trent’anni può apparire come un estremo tentativo della classe politica di consegnare tutti i segreti della città per farli chiudere, per sempre, nel più profondo buio delle segrete stanze del Palazzo.

Forse, ma questo con il senno di poi, anche un atto estremo di riconciliazione globale, nulla a che vedere con il presumibile quanto improbabile tentativo di accordo (tra politica e malavita organizzata) consumato la sera del 12 febbraio 1992 sulle colline del Picentino, quando due carabinieri improvvidi (Fortunato Arena e Claudio Pezzuto) imposero l’alt al fuoristrada del presunto “summit itinerante” e persero brutalmente la vita sul marciapiede di Faiano.

Nel Duomo di Salerno, invece, l’accordo sembra una cosa bella è fatta, ci sono tutti, c’è anche il nuovo arcivescovo imposto da De Mita ma ben accetto da tutti gli altri. La speranza è corposa, in Piazza Amendola e nel Duomo si respira l’aria delle grandi riconciliazioni, del resto gli scoponi scientifici giocati allo stesso tavolo da De Mita e da Pierro sono visti da tutti come la panacea di tutti i mali.

Invece quella che sembrava dover essere la “chiave risolutiva” non funziona; non chiude ma apre le segrete stanze del “palazzaccio” situato a pochi passi dal centro storico. Sia in piazza che nella cattedrale non c’è un solo magistrato, manco a pagarlo a peso d’oro; la presenza di tutti i politici rappresenta, probabilmente, per loro soltanto una puzza di regime da evitare e da distruggere. Il nuovo arcivescovo, del resto, non muove neppure un dito, probabilmente gli ordini di De Mita vanno nella direzione della neutralità, lui ha già mosso le pedine importanti con i “servizi segreti”, il resto devono farlo i magistrati.

E i magistrati lo fanno, eccome. In piccole stanze stracolme di enormi faldoni, proprio in quelle ore, i “tre Di Pietro di Salerno” (Michelangelo Russo, Vito Di Nicola e Luigi D’Alessio) stanno per prendere decisioni importanti e devastanti al tempo stesso; partono i primi ordini di custodia cautelare in carcere per Francesco Volpe e Giacomo Mazzotti (già segretario e già sindaco di Montecorvino Pugliano) per la vicenda del finanziamento allegro di lavori pubblici ex legge 219/81 sulla ricostruzione post-terremoto. Nei giorni successivi tocca agli imprenditori Luigi Cirillo di Castel San Giorgio e Rocco Botta di Salerno. Sono i chiari segnali del disastroso uragano che sta per abbattersi sui governanti della città capoluogo. Segnali che nessuno percepisce o che tutti fanno finta di non percepire.

Ricordo benissimo il momento della consegna delle “chiavi della città” dalle mani di Vincenzo Giordano in quelle di mons. Gerardo Pierro; lo vidi imbarazzato, da ateo essere quasi costretto ad un gesto di genuflessione il passaggio era sinceramente troppo; mi risuonano ancora nella mente le parole del sindaco: <<Eccellenza, a Lei le chiavi della città, Salerno è sua e Lei deve difenderla, come San Matteo>>. Sembrava fatta, la riconciliazione e la pace, invece tutti dimenticavano che San Matteo ha due facce. E la fine arrivò molto presto.

 

 

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