L’Ucraina e l’Eldorado conteso

 

scritto da Luigi Gravagnuolo il 23 Febbraio 2023

per Gente e Territorio – Cava T.

 

L’immensa area geografica che va da Lisbona a Vladivostok, che si snoda per dodici fusi orari, è l’Eldorado del mondo. È stracolma di materie prime, di manodopera, di conoscenze e di tecnologie, di cultura e di arte, di beni monumentali ed ambientali impareggiabili. Chi la possiede, possiede il mondo.

Ma nessuno la possiede. Occidente e Oriente se la contendono da millenni, sicuramente dalle Guerre greco-persiane del V secolo a.C. Alternativamente nel corso dei secoli, ora l’Oriente ha cercato di espandersi verso l’Occidente, ora viceversa; ma mai nessuno è riuscito a unificarla sotto un unico governo.

Prendiamo una mappa dell’Eurasia e focalizziamoci sulla faglia di demarcazione tra Est e Ovest, il quadrante delimitato tra il 55° ed il 30° parallelo e tra il 15° e 50° meridiano, da secoli teatro di scontri e guerre furibonde tra Occidente ed Oriente. Una faglia maledetta, intrisa del sangue di soldati, guerrieri, religiosi e civili. Qui tra il XIX e il XX secolo si sono svolti i conflitti più lunghi e cruenti dell’età contemporanea, qui sono scoppiate le due Guerre Mondiali del XX, qui i due mondi continuano ancora oggi a combattersi.

Tra la fine del secolo scorso ed il primo decennio di questo secolo pareva che l’Unione Europea stesse riuscendo ad aggregare quest’area per via pacifica, ma il processo di integrazione si è arenato agli inizi degli anni dieci nella crisi ucraina. Vale la pena di rimarcare come l’UE aveva addirittura immaginato di poter progressivamente inglobare in una stessa area geo-politica anche la Federazione Russa, con la quale stava stringendo rapporti economici sempre più stretti. Passi in avanti verso una maggiore cooperazione economica, culturale e sociale tra UE e Federazione Russa si stavano facendo. La cosa non poteva non preoccupare le due potenze globali di questo inizio millennio, Stati Uniti e Cina.

Ad entrambi l’attuale rottura del processo di integrazione tra Europa e Russia sta più che bene. Si preparano ogni giorno e da anni alla sfida tra loro nell’Indopacifico – sfida che minaccia di essere apocalittica – ma entrambi convergono per scongiurare l’entrata in scena di una terza potenza, virtualmente in grado di assumere l’egemonia nel pianeta, l’Eurasia.

Procedendo per sillogismi si potrebbe dunque legittimamente dedurne che Putin non abbia torto quando denuncia che sono stati gli USA ad agire per determinare lo scontro tra la Federazione Russa e l’UE. Ma i fatti dicono esattamente il contrario: è stato lui, con una decisione tanto improvvida quanto avventuristica, a sfidare il mondo occidentale, l’UE in primis, con l’invasione dell’Ucraina; ed è stato lui ad offrire su un piatto d’argento ad USA e Cina la traumatica interruzione del processo di integrazione euroasiatica. Ha sbagliato tutto da solo: i calcoli strategici militari, quelli politici sulle divisioni interne all’Occidente, quelli sulla stessa tenuta morale delle democrazie euroccidentali, a suo avviso debosciate e prive della capacità di accettare le privazioni derivanti dalla guerra, quindi prone all’invasore.

Inquadrati in questo scenario sono ben leggibili gli ultimi eventi della crisi russo-ucraina, la visita blitz di Joe Biden a Kiev e il Discorso alla Nazione russa del 21 febbraio u.s. di Putin. Più difficile invece decifrare i contenuti dell’offensiva diplomatica cinese in corso, su cui torneremo in un secondo momento.

Al di là dei comprensibili motivi di sicurezza, il fatto che il Presidente degli USA abbia deciso ex abrupto di recarsi nella capitale ucraina, avvertendo in anticipo il Cremlino e non Bruxelles, la dice lunga sulla strategia degli Stati Uniti: l’Ucraina libera potrà pure stare nell’UE, ma essa dovrà fungere da bastione degli angloamericani a controllo delle dinamiche geopolitiche del vecchio continente, funzione analoga a quella che già svolgono la Polonia e i Paesi Baltici. Nella visione della Casa Bianca l’UE non dovrà mai debordare dai limiti di un accordo commerciale e di un’istituzione burocratica.

L’altro evento di questa settimana è stato il discorso di Putin alle Camere riunite della Federazione russa. Letto in profondità, esso lascia trasparire un qualche avvio di riflessione sulla follia del 24 febbraio dello scorso anno. Certo, lo ‘zar’ ha ribadito la determinazione della Federazione Russa a portare avanti il conflitto fino alla vittoria finale, ma stavolta è parso quasi come volersi giustificare agli occhi del mondo e del suo stesso popolo.

Eravamo e siamo minacciati dal regime neonazista dell’Ucraina – ha sostenuto – eppure “abbiamo fatto tutto il possibile per risolvere il problema con mezzi pacifici e abbiamo pazientemente condotto colloqui per una soluzione pacifica a questo devastante conflitto”. Quindi ha snodato il consueto rosario di ‘prove’ della minaccia ucraina alla madre patria Russia ‘per procura’ degli Stati Uniti, che “stavano rapidamente dispiegando le loro basi militari e i loro laboratori biologici segreti vicino ai confini del nostro Paese”. Mentre la Russia ricercava una soluzione pacifica, l’Occidente – a suo avviso – giocava con le carte truccate. Ciononostante, la Russia sarebbe ancora pronta ad accettare “una partnership onesta, che in linea di principio rifiuta qualsiasi esclusività, specialmente quella aggressiva”. “Voglio ripeterlo: sono stati loro a iniziare la guerra, e noi abbiamo usato la forza e useremo la forza per fermarla”.

Poi la ripresa delle tradizionali accuse che consapevolmente riecheggiano l’armamentario ideologico sulla Russia costretta a difendere la civiltà cristiana dalla decadenza dell’Occidente – “Guardate cosa stanno facendo al loro stesso popolo: la distruzione della famiglia, dell’identità culturale e nazionale, la perversione, l’abuso di minori, persino la pedofilia, sono dichiarati una norma, una norma della loro vita, e i sacerdoti sono costretti a benedire i matrimoni omosessuali. Che vadano al diavolo…” – e sulle minacce militari degli USA guerrafondai – “Si sono comportati in modo altrettanto spudorato e doppiogiochista nel distruggere la Jugoslavia, l’Iraq, la Libia e la Siria. Non riusciranno mai a lavarsi da questa vergogna. L’onore, la fiducia, la decenza non fanno per loro”.

Tornano in mente le parole di Pogodin – il Dugin di quei tempi – in una missiva allo zar Nicola I durante la Guerra di Crimea del XIX secolo: “La Francia sottrae l’Algeria alla Turchia, occupa Roma con i suoi soldati e nessuno parla. L’Inghilterra dichiara guerra ai cinesi ed interviene in Grecia e nessuno ha il diritto di parlare. Quando però la Russia richiede un trattato per proteggere milioni di cristiani, si pensa lo faccia per rafforzare la propria posizione in Oriente a scapito degli equilibri di potere. Dall’Occidente non possiamo aspettarci altro che odio e cieca malizia, poiché l’Occidente non capisce e non vuole capire”. “Il punto è tutto qui!”, chiosò di suo pugno su quel foglio Nicola I. E Putin oggi, riesumando l’antico astio russo antioccidentale, conclude con il Qoelet: “Non c’è nulla di nuovo, nessuna novità, tutto si ripete”.

Ma proprio perché non c’è nulla di nuovo, Putin sa bene che l’esito della sua avventura può anche essere disastroso per la Russia e che prima o poi, in un modo o nell’altro, ci sarà un tavolo di pace. Non chiude perciò ad un possibile dialogo, neanche quando alza il tiro e sospende la Russia dall’adesione al Trattato START sulle armi nucleari: “Sono quindi costretto ad annunciare oggi che la Russia sospende la sua partecipazione al Trattato di riduzione delle armi strategiche. Ripeto: la Russia non si ritira dal Trattato, no, sospende la sua partecipazione. Ma prima di tornare a discutere di questo tema, dobbiamo capire cosa sostengono i Paesi dell’Alleanza Nord Atlantica come Francia e Regno Unito e come terremo conto dei loro arsenali strategici, cioè della capacità di attacco aggregata dell’Alleanza”.

In questo scenario è in corso l’iniziativa diplomatica della Cina. Varrà la pena di seguirne gli sviluppi con attenzione.

 

 

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