La sindrome di Robespierre

 

 

da Antonio Cortese (giornalista)

 

Garantismo, giustizionalismo, termini importati nella politica dei paesi moderni come per i termini e i neologismi della tecnologia nei vocabolari svegliati.

 

Tribunali, tribune politiche e tribune mediatiche, specie oggi sul web rivoluzionano qualunque personaggio politico in un processo corredato da giurie impersonali e ampie quanto dislocate per ogni dove, ogni scrivania o tablet o comunicatore mobile in grado di “inoltrare” la propria idea da destra o da sinistra.

 

Da queste personali sedie che assicurano l’anonimato senza nessuno che chieda “Senta, ma lei da dove digita?” le sedi governative vengono invase senza bisogno di uscieri come a Montecitorio, tramite un fenomeno che ha coinvolto dapprima le classi scolastiche dei giovani alunni nel mondo dell’istruzione e poi ogni sede fisica.

 

Prendendo spunto dall’editoriale del direttore sulla tanto discussa politica israeliana, sto a ribadire la constatazione finale poiché la bilancia democratica dovrebbe misurarsi tra le parti e non ogni volta ricorrendo alle toghe.

 

Purtroppo però questa nuova prassi si é connaturata nelle democrazie moderne e anche se ha una giustificazione antitotalitaria, spesso però non fa altro che avallarla.

 

Ciò accade perché le magistrature di mezzo mondo sono ancora distratte nella propria burocrazia fatta di carte e fiumi di inchiostro, senza tener conto incredibilmente da almeno sessanta anni che ci sono i media, caldi o freddi che dir si voglia, antichi, tradizionali o digitali che le soverchiano.

 

In pratica le “parrucche” dei tribunali, per quanto si possano sforzare in una onesta pretesa di riequilibrio democratico, che possa anche partire da una costituzionale divisione dei poteri, laddove sia più o meno determinata, vengono scapigliate in pochissimo tempo dalla velocità delle comunicazioni in generale: pratiche che possano andare da semplice rettifiche, aggiornamenti, fino alle applicazioni sui telefonini, che consentono a chiunque di svincolarsi in particolare nei casi fraudolenti pertanto perseguiti, o addirittura di continuare in posizioni di abuso anche se ritenute comunemente scandalose o inammissibili o illegali.

 

Se la comunicazione oggi può sommariamente essere inglobata nel quarto potere, ebbene le magistrature devono seriamente, urgentemente, finalmente e responsabilmente prendere in considerazione che é a questo podio di legno che si legano tutte le trame dei giochi, politici, sociali ed economici.

 

Cicerone, Robespierre: uno decapitato, l’altro messo da parte;  seppur fautori e protagonisti di oneste rivoluzioni sociali, con la sola gloria nei secoli sono divenuti archetipi stampati sul rullo della storia e pur volendosi oggi appellare ai principi morali di qualunque altro personaggio insigne del passato, non possono salvare nessuna buona coscienza politicamente corretta dal fuoco incrociato della comunicazione contemporanea fatta di nuovi linguaggi, algoritmi, computer, sat, app, phone, smart o scart.

 

Le tivvù odierne in particolare, che come direbbero a Napoli fanno di ogni canale “nù tribbunale”, potrebbero almeno essere calmate da una deontologica imparzialità nel momento in cui si parli di taluni protagonisti alle prese con la giustizia; senza sensazionalismi, che poi la gente si impressiona e i magistrati rimangono a piedi, confusi e felici.

 

 

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